di Eliana Riva

Pagine Esteri – 26 Aprile 2021 Violenza sessuale in Sud Asia, Equality Now e Dignity Alliance International realizzano e diffondono un report sulle cause legali e di altro genere che impediscono alle vittime di ottenere giustizia o anche solo, spesso, di rivolgersi alla legge.

Il report si focalizza, in particolare, su sei regioni: Bangladesh, Bhutan, Nepal, Maldive, India e Sri Lanka. In molti paesi del sud Asia sono alti i numeri di casi di stupro e violenza sessuale nei confronti di donne e ragazze. Ma i dati reali sono, con ogni probabilità, ancora più preoccupanti, a causa delle condizioni che rendono difficile la denuncia e del protocollo burocratico, medico e sociale che umilia la vittima.

In questi sei Paesi, la legge pone limiti precisi alla definizione di violenza sessuale, la riconosce solo a seconda di certe precise forme di penetrazione sessuale e non tiene conto delle circostanze coercitive, della volontà, dell’incapacità della vittima di dare il proprio consenso. A parte Bhutan e Nepal, la violenza sessuale da parte del proprio marito viene considerata di minore gravità rispetto ad altre forme di stupro e i 5 Paesi, ad esclusione dell’India, permettono l’utilizzo di prove che documentino le abitudini sessuali della vittima di stupro, ritenendo il suo passato e le sue storie fondamentali per valutare la gravità e persino la veridicità della violenza sessuale.

Tutto ciò senza contare i tempi lunghissimi che richiedono le indagini della polizia, gli esami medici obbligatori per la vittima, la mancanza di supporto economico, psicologico e legale e le difficoltà di tipo sociale.

Il report si dilunga sulle cause profonde della concezione della violenza sessuale nei Paesi presi in esame e lega le sue considerazioni ai sistemi di disuguaglianza e oppressione di tipo sessuale ma anche etnico e legati alla disabilità, concentrandosi, in particolare, sulle comunità che sono escluse sulla base del sistema delle caste, delle origini etniche e della religione.

La situazione, già molto complicata, è stata resa ancora più drammatica dalla pandemia e dalla crisi Covid-19: i numeri delle violenze in alcuni Paesi sono esponenzialmente cresciuti.

Equality Now è una organizzazione internazionale che si occupa di diritti umani e promuove i diritti di tutte le donne e le ragazze nei vari paesi del mondo. Le campagne si concentrano sull’uguaglianza giuridica, sul traffico sessuale, in particolare per i casi di bambine e adolescenti. Ma anche sui protocolli legali e medici che rendono più difficile, per la vittima, decidere di denunciare.

Parliamo, ad esempio, di una pratica medica estremamente invasiva che continua ad essere perpetrata per legge o per consuetudine nei Paesi del Sud Asia. Si tratta di un test sulla verginità che i medici fanno a mani nude sulle vittime. Lo scopo è quello di verificare l’integrità e lo stato dell’imene. Se la vittima di violenza ha ancora l’imene intatto, quella prova viene utilizzata per escludere la violenza sessuale, seppure è chiaro che la violenza stessa possa compiersi in modi diversi, con conseguenze fisiche differenti da un caso all’altro.

Ma il test è utilizzato anche per realizzare una sorta di analisi sui costumi della vittima: tutte le sue abitudini sessuali vengono inscritte nel fascicolo delle prove e spesso utilizzate per insinuare dubbi sull’avvenuta violenza o sulla castità e l’onore della donna. La direttrice esecutiva dell’organizzazione Donne per i diritti umani, in Nepal, ha dichiarato al The Guardian che il test è “umiliante e disumano. Non si tratta solo di provare se è avvenuto o meno uno stupro, ma è come mettere alla prova la tua verginità”.

I codici penali dello Sri Lanka e del Bangladesh, in alcuni passaggi, specificano che nei casi di stupro è possibile cercare e portare in tribunale le prove di eventuali “atteggiamenti immorali” tenuti in passato dalla vittima.

 

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