AGGIORNAMENTO DICEMBRE 2021

Non si arresta la mobilitazione degli studenti dell’Università Boğaziçi cominciata a inizio anno per la nomina Melih Bulu, un islamista scelto dal presidente Erdogan, come rettore dell’università, e la successiva nomina di Naci İnci per la stessa posizione, anch’essa respinta perché ritenuta un tentativo di normalizzazione dell’ateneo. In queste ultime settimane 45 giovani sono stati arrestati dalla polizia dopo che il comitato studentesco aveva eretto una tenda di protesta.

 

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di *Ayça Alemdaroğlu, Elif Babül 

(Traduzione dall’inglese: Elena Bellini) – 

Pagine Esteri, 16 aprile 2021 – Il 1 gennaio, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha annunciato la nomina di Melih Bulu a rettore dell’università di Boğaziçi, una delle più rispettabili istituzioni di formazione superiore. Pochi giorni dopo, migliaia di studenti si sono radunati davanti all’università per protestare contro la decisione di Erdogan, imposta dall’alto e volta a controllare una delle poche università ancora in grado di mantenere un minimo di autonomia istituzionale e libertà accademica. Ad aspettarli c’era la polizia in assetto antisommossa, che ha bloccato l’università per evitare che gli studenti potessero entrare nel campus. Il significato della nomina da parte del presidente – e lo stato di polizia da lui rafforzato a sostegno delle proprie decisioni unilaterali – è stato simbolicamente catturato dalle immagini, condivise sui social media, dei cancelli del campus chiusi con le manette.

Nelle ore e nei giorni successivi, la polizia ha arrestato decine di studenti, facendo incursione nelle loro case all’alba e in piena notte, a volte anche sfondando i muri. Il governatore di Istanbul ha vietato ogni incontro, dimostrazione e marcia nella parte europea della città, dove si trova l’università di Boğaziçi, utilizzando la pandemia come scusa per fermare ogni ulteriore protesta. Raggiunti dai loro colleghi di alte università, gli studenti di Boğaziçi si sono quindi imbarcati sui traghetti che attraversano lo stretto verso la parte asiatica della città, per continuare a gridare la loro opposizione. Hanno chiesto le dimissioni di Bulu, l’immediata liberazione degli studenti detenuti ed elezioni democratiche e trasparenti con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati dell’università per eleggere un nuovo rettore. Il corpo docente si è unito alle proteste mettendosi ogni giorno, in gruppi e a turno, in piedi con le spalle rivolte all’ufficio del rettore. Nel frattempo, gli studenti hanno continuato ad esprimere la propria contrarietà in modo creativo. Hanno chiesto le dimissioni di Bulu ballando sulle note di “Master of Puppets” dei Metallica davanti al suo ufficio, rifacendosi alla sua dichiarazione d’amore per la band. Hanno organizzato una preparazione comunitaria di halwa, (dolce) che di solito si serve ai funerali, per celebrare simbolicamente la morte del rettorato, e poi hanno fatto yoga tutti insieme. Hanno anche organizzato una mostra d’arte in cui sono state esposte rappresentazioni satiriche di Bulu e del governo.

Mentre la polizia continuava ad arrestare gli studenti e ad avviare procedimenti penali contro di loro, Erdogan difendeva la legittimità della propria decisione di nominare Bulu, esaltando i meriti del rettore. Ha descritto i manifestanti come un gruppo di ingenui mossi da provocatori legati ad organizzazioni terroristiche. “Terrorismo” – termine flessibile, pratico e utilizzato di frequente nella Turchia di Erdogan – è stato usato ancora una volta per colpire gli studenti, i professori e i loro alleati nella lotta per un’università democratica. Alcuni opinionisti filogovernativi hanno attaccato Boğaziçi descrivendola come un’istituzione elitaria, suggerendo che sia tutto tranne che democratica, stravolgendo le rivendicazioni di studenti e professori.

Gli attacchi per delegittimare e diffamare le proteste studentesche hanno raggiunto un nuovo picco quando l’Islamic Studies Club (BİSAK) dell’università di Boğaziçi ha postato su Twitter una foto di un’opera d’arte realizzata da uno studente ed esposta alla mostra organizzata in contemporanea con le proteste, definendola un insulto ai loro sacri valori religiosi. L’opera in questione raffigurava la Grande Moschea della Mecca decorata con bandiere arcobaleno, e la Ka’ba era sostituita con la figura mitologica di Shahmaran, mezza donna e mezzo serpente, un’immagine sovversiva che lo studente artista aveva utilizzato per mettere in discussione la legittimazione religiosa alla base di molta misoginia e omofobia. La vicenda è stata ripresa da organi di informazione filogovernativi, e Bulu si è precipitato a condannare la foto su Twitter. Com’era prevedibile, questo demagogico cliché religioso è riuscito nell’intento di mobilitare un gran numero di personaggi pubblici. Il Presidente degli Affari Religiosi ha condannato gli studenti in protesta per aver attaccato i sacri valori musulmani. Il Ministro degli Interni ha denunciato gli studenti come “pervertiti LGBT” e ha avviato un’inchiesta penale che ha portato all’arresto di quattro studenti con l’accusa di oltraggio ai valori religiosi di una certa parte del pubblico. L’Università di Boğaziçi ha chiuso l’associazione studentesca LGBT+. Anche il portavoce del principale partito nazionale di opposizione, il Republican People’s Party (CHP) ha rimproverato i manifestanti per la presunta offesa. L’inquietante similitudine di questo episodio con scandali inventati – ad esempio, il pubblico pestaggio di una donna che indossava il velo, e il consumo di alcolici in una moschea, che erano circolati per screditare le proteste di Gezi nel 2013 – non è sfuggita all’attenzione degli opinionisti. Le proteste, che continuavano dentro e fuori dal campus, sono sfociate nell’arresto violento di altre centinaia di studenti. Mentre Bulu stava faticando per ottenere, da parte del corpo docente, abbastanza sostegno per mettere insieme una direzione amministrativa, un decreto presidenziale – annunciato alla mezzanotte del 5 febbraio – ha istituito due nuove scuole a Boğaziçi, con l’intento di avere docenti filogovernativi con cui riempire l’università.

Quest’ultima intromissione nell’università di Boğaziçi fa parte di una lunga storia di controllo governativo sulla formazione superiore in Turchia. Riflette anche la strategia di Erdogan di tenere a bada istituzioni autonome per sopprimere i dissidenti, e il desiderio dell’AKP di raggiungere l’egemonia culturale coltivando “una gioventù locale e nazionalista” tenacemente devota e politicamente obbediente, ma altamente istruita. Erdogan ha criticato gli istituti di formazione per aver prodotto “alienazione dai valori e dagli interessi nazionali,” in particolare dalle proteste di Gezi nel 2013, e ha determinato un aumento impressionante delle scuole superiori religiose negli ultimi 20 anni. Assumere il controllo sulle università come Boğaziçi è la mossa più recente per riallineare quelle ultime resistenze semi-autonome al progetto di Erdogan di sottometterle agli interessi nazionali, come stabilito dal regime.

Controllo statale sull’Università

La base giuridica per la nomina di Bulu a nuovo rettore di Boğaziçi risiede in un decreto esecutivo (KHK/676) emesso durante lo stato d’emergenza dichiarato in seguito al tentativo di colpo di Stato del 2016. Lo stato d’emergenza, prorogato sei volte dal 2016 al 2018, ha attribuito ad Erdogan ampio potere di modifica delle leggi, con l’obiettivo controllare, tra le altre cose, il potere giudiziario, le agenzie di sicurezza, l’apparato della difesa nazionale, il personale governativo e gli istituti di formazione. L’art.85 del decreto ha modificato la Higher Education Law (n. 2547, art.13), cancellando le elezioni del rettore nelle università pubbliche e garantendo invece al presidente ed al Consiglio per la Formazione Superiore (YÖK) pieni poteri riguardo alle nomine. La nuova normativa permette allo YÖK di decidere sulla lista dei candidati secondo criteri propri, senza consultare le università in questione. Un altro decreto esecutivo emesso nel 2018 ha eliminato l’unico requisito che i candidati dovevano avere, cioè l’aver esercitato come professore ordinario in una qualsiasi università per almeno tre anni. Questa modifica ha causato un forte abbassamento delle qualifiche accademiche dei rettori di nomina recente. Una ricerca del 2019 ha dimostrato che, su 196 rettori nominati, 68 non hanno alcuna pubblicazione internazionale e 71 non sono mai stati citati in una pubblicazione accademica. Solo 49 rettori sono autori di più di una pubblicazione o hanno ricevuto più di una citazione.

L’attacco del governo alla libertà di espressione, alla libertà accademica e all’autonomia dell’università in Turchia non è certo iniziato con il governo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo di Erdogan (AKP). La Higher Education Law, che ha istituito lo YÖK come meccanismo centrale di controllo sulle università, è un retaggio del regime militare del 1980, che aveva abolito la relativa autonomia di cui le università avevano goduto negli anni ‘60 e ‘70. Il ruolo dello YÖK è definito dall’art.131 della costituzione autoritaria del 1982: “pianificare, organizzare, amministrare e supervisionare la formazione fornita dalle università, orientare le attività di insegnamento, l’educazione e la ricerca scientifica, assicurare la costituzione e lo sviluppo di tali istituzioni in conformità con gli obiettivi e i principi stabiliti dalla legge, assicurare l’effettivo uso delle risorse attribuite alle università e pianificare la formazione professionale del personale docente”.

Nel momento della sua fondazione, il Consiglio comprendeva anche funzionari militari, ed aveva creato un sistema secondo cui i rettori delle università venivano nominati dal capo della giunta militare. Nei primi anni ‘90, il sistema è stato parzialmente allentato, lasciando che le università svolgessero le proprie elezioni sottoponendo allo YÖK una lista di candidature che veniva controllata, ridotta e perfezionata prima di essere presentata al presidente per la decisione. Tuttavia, anche se il Consiglio e il presidente hanno per lo più rispettato i voti accademici, il loro ruolo nel controllo dei candidati e nel prendere la decisione finale ha portato non solo alla politicizzazione della carica di rettore, ma anche al rafforzamento del controllo politico sulle università. L’impegno del regime militare per controllare le università si è concretizzato, nel corso degli anni, nel licenziamento in tronco di 90 docenti universitari in seguito al colpo di Stato, nel divieto di indossare il velo nei campus universitari e nel controllo da parte dello YÖK sulle nomine accademiche e sulle promozioni, nonché sui temi di ricerca.

Quando è salito al potere nel 2002, l’AKP aveva promesso di porre fine al rigoroso controllo statale sulle università e di abolire lo YÖK. Nonostante abbia messo fine alla guida militare, il regime dell’AKP ha scelto di mantenere le istituzioni statali ereditate dal governo militare degli anni ‘80 ed impossessarsene per consolidare il proprio potere e sopprimere il dissenso. Lo YÖK ha giocato un ruolo cruciale nel portare avanti l’agenda dell’AKP in tema di formazione superiore. Per prima cosa, ha realizzato la promessa elettorale di Erdogan: aprire un’università in ogni città, a dimostrazione della sua politica intenzionata a rendere alla portata di tutti la formazione superiore. La diffusione delle università pubbliche è andata di pari passo con l’aumento della privatizzazione della formazione superiore. Il risultato è stato un aumento del numero di università nel Paese, da 76 a 207 tra il 2002 e il 2020. La qualità dell’insegnamento, però, è rimasta bassa, a causa della mancanza di professori qualificati e di servizi adeguati. Inoltre, senza un’apposita pianificazione, molti nuovi dipartimenti sono rimasti senza studenti. L’errore di Erdogan e del suo staff dello YÖK è stato quello di equiparare la formazione superiore ad ogni altro servizio pubblico: non lo è. Richiede molto più che la concessione di appalti governativi o incentivi agli amici per la costruzione di edifici universitari. In Turchia, è diventato molto popolare un nuovo termine per indicare la vacuità di queste nuove istituzioni: “università di facciata”.

Lo straordinario incremento dell’accesso alle università si è verificato nel contesto della graduale discesa della Turchia da democrazia elettiva ad autoritarismo elettorale. I leader autoritari tendono ad impedire l’accesso all’università ad un’ampia parte della popolazione, perché temono che la formazione superiore, promuovendo il pensiero critico e il dissenso politico, possa insidiare la tenuta del regime. La struttura preesistente dello YÖK si è rivelata utilissima a risolvere proprio questo problema, assicurando che la democratizzazione dell’accesso non significasse democratizzazione all’interno delle istituzioni. Grazie a rettori compiacenti nominati dal presidente, sia gli studenti che il corpo docente sono stati tenuti sotto scacco attraverso l’impiego di punizioni disciplinari per attività che normalmente, in un Paese democratico, verrebbero tutelate dalle norme su libertà di espressione e libertà accademica. Nel quadro dello stato d’emergenza successivo al tentato colpo di Stato del 2016, le università sono diventate l’obiettivo principale della caccia alle streghe governativa. Molte università sono state chiuse per punire i loro fondatori a causa della loro appartenenza politica, provocando un danno enorme a studenti e professori che lì lavoravano. Centinaia di professori sono stati licenziati e hanno dovuto affrontare processi penali e, in qualche caso, condanne alla detenzione per accuse legate al terrorismo, come nel caso dei membri degli Academics for Peace (Professori per la Pace) che avevano firmato una petizione critica verso la politica governativa di militarizzazione nelle regioni a maggioranza kurda.[1] La più agghiacciante conseguenza dell’attacco dell’AKP alle università è costituita dalle decine di migliaia di studenti attualmente in carcere in Turchia. Secondo quanto riportato, gli studenti detenuti subiscono gravi violazioni dei diritti umani, perquisizioni corporali e restrizioni arbitrarie inflitte dai direttori delle carceri al loro diritto di proseguire la formazione.

 

La battaglia per Boğaziçi

Se Boğaziçi è una tra le tante istituzioni soggette al clima restrittivo della formazione superiore in Turchia, ha però anche una storia ed una reputazione uniche. Fondata nel 1863 come Robert College, è stata il primo college americano fondato fuori dagli Stati Uniti. Per oltre 100 anni, ha ricoperto il ruolo di istituto di alta formazione in lingua inglese per giovani uomini, che attirava principalmente giovani della minoranza cristiano-ottomana, oltre agli stranieri che vivevano a Istanbul. Dopo l’instaurazione della Repubblica turca nel 1923, il College ha adottato un modello educativo rigorosamente laico nel rispetto dei principi repubblicani. Nel 1971, il Consiglio di Amministrazione del College ha approvato una risoluzione che trasferiva tutti i terreni, i servizi e il personale al governo turco per la creazione di Boğaziçi come università pubblica. Oggi è considerata una delle più prestigiose università del Paese, famosa per il rigore accademico e per la sua variegata cultura studentesca, vivace ed impegnata. La lingua di insegnamento a Boğaziçi è ancora oggi l’inglese, ed il corpo docente è composto da studiosi di alto profilo, che hanno il dottorato e che provengono dai migliori istituti di tutta Europa e degli Stati Uniti. Gli studenti vengono selezionati tra i candidati che ottengono i punteggi migliori all’esame nazionale di ammissione all’università. Vengono da tutto il Paese, arricchendo il campus di diverse appartenenze etniche, religiose e di classe, nonché politiche.

La reazione negativa a Bulu deriva dal dubbio sulla sua compatibilità con gli alti standard accademici dell’Università di Boğaziçi, oltre che dalla natura faziosa e antidemocratica della sua nomina dall’alto. Bulu è da lungo tempo affiliato all’AKP, e ha fondato, nel 2002, una sezione del partito nel distretto Sarıyer di Istanbul. Nel 2015, si è proposto, senza successo, come candidato AKP alle elezioni. Prima della sua nomina a Boğaziçi, aveva ricoperto il ruolo di rettore nelle università di İstinye e Haliç, istituzioni private di livello accademico inferiore. Inoltre, la sua tesi di master e quella di dottorato – entrambe ultimate a Boğaziçi – sono piene di paragrafi copiati e incollati da altri testi accademici, il che solleva questioni sulla sua credibilità come studioso. Bulu ha negato le accuse, rivendicando che, se non ha usato il virgolettato in alcune parti della sua ricerca, ha pur sempre citato le fonti nella bibliografia, perché le regole per le citazioni erano diverse all’epoca. Infine, il fatto che Bulu non abbia mai lavorato a Boğaziçi prima della sua nomina è stato sollevato come ulteriore elemento di dubbio sulla carenza di qualifiche per quel ruolo.

In risposta alle critiche, Bulu ha sostenuto che, anche se non si è laureato a Boğaziçi (ha frequentato la  Middle East Technical University di Ankara, altra prestigiosa università pubblica in lingua inglese), o non vi ha insegnato come professore a tempo pieno, non è così estraneo alla ”cultura di Boğaziçi”. Nel suo primo discorso alla comunità di Boğaziçi, si è detto “entusiasta di tornare a casa”, là dove ha passato i migliori otto anni della sua vita durante gli studi universitari. Contrariamente a quanto sperato da Bulu – essere cioè visto come “uno di loro” – il suo discorso alla comunità di Boğaziçi, con l’accenno alle più diffuse esperienze studentesche, ha suscitato un’altra reazione, perché è stato considerato un’ulteriore prova della sua scarsa comprensione del carattere peculiare dell’università. Studenti e professori hanno risposto che non sono le piacevoli attività studentesche a cui si è riferito Bulu a rendere Boğaziçi ciò che è oggi, bensì la cultura democratica, la libertà accademica, i metodi basati sul merito e la tradizione amministrativa trasparente, messe a rischio dalla sua nomina imposta dall’alto.

Le proteste contro la nomina di Bulu e le preoccupazioni sull’insufficienza delle sue qualifiche hanno scatenato accuse di elitarismo. Una loquace esponente di un organo di stampa pro-Erdogan ha twittato che, in quanto anche lei laureata a Boğaziçi, aveva previsto “sedicenti, arroganti obiezioni” contro la nomina di Bulu. Ha scritto che “Boğaziçi non appartiene solo agli elitaristi, ma alla nazione intera”.[2] Descrivendo le proteste come ”le doglie di una trasformazione in atto”, ha poi fatto appello agli alleati per ”demolire l’oligarchia di Boğaziçi” nel momento in cui l’università ”si sta depurando dall’influenza statunitense”[3]. Contrariamente al ritratto di istituzione anti-musulmana e torre d’avorio che ne fanno i media pro-Erdogan, Boğaziçi in realtà era una delle poche università in Turchia in cui, mentre era ancora in vigore il divieto di indossare il velo, il diritto all’istruzione delle studentesse che lo portavano era strenuamente sostenuto sia dagli studenti che dal corpo docente.

Per esempio, nel 2008 il campus fu tra gli organizzatori dell’iniziativa Take Care of Each Other (Birbirimize Sahip Çıkıyoruz) – una piattaforma variegata di donne che si opponevano al divieto di indossare il velo e ad altre forme patriarcali di controllo sul corpo femminile. Alcuni dei ferventi sostenitori del governo, che oggi stanno demonizzando le proteste, avevano partecipato a questa iniziativa. Simile al profilo dei manifestanti del 2008, quello dei manifestanti di oggi comprende alcune studentesse religiose che indossano il velo, dipinte dai media filogovernativi come “gruppo di studentesse religiose di Boğaziçi che si sono lasciate conquistare dai mantra liberali invece che da una prospettiva islamica”. [4]

Gli ambienti filogovernativi hanno più volte accusato Boğaziçi di elitarismo e alienazione dai valori e dagli interessi nazionali. Nel 2018, Erdogan ha partecipato all’assemblea generale della Boğaziçi University Reunion Association (BURA), un’organizzazione conservatrice di ex allievi nata nel 2003, durante la quale ha sollecitato la comunità di Boğaziçi ad adottare una posizione “locale e nazionalista” per contrastare chi agisce “contro lo Stato e i valori della sua gente”. Il suo pensiero è stato ripreso da un consigliere del BURA e da un rappresentante degli studenti, che hanno condiviso la loro visione di Boğaziçi come istituto di formazione in cui sono rappresentati “i componenti principali” della società, anziché “un’oasi circondata da muri di elitarismo.”[5] Nel corso dello stesso anno, un gruppo di studenti ha protestato contro le azioni degli studenti dell’Islamic Studies Club (BİSAK), che avevano allestito, nel campus, un tavolo di distribuzione di dolcetti turchi per celebrare l’incursione militare ad Afrin, città sotto controllo curdo nel nord della Siria. Erdogan ha pubblicamente ripreso i manifestanti: “Quei comunisti, terroristi e traditori hanno tentato di distruggere il tavolo dei nostri devoti giovani locali e nazionalisti… Non daremo loro il diritto di studiare al college”. [6] Dopo questo discorso, 21 studenti sono stati arrestati.

credit Wikipedia Commons

 

Gioventù devota, locale e nazionalista

La promozione di una “gioventù devota, locale e nazionalista” è stato il programma di Erdogan fin dai primi anni del 2010. Le proteste di Gezi del 2013 hanno conferito un senso di urgenza a questa priorità, dimostrando ad Erdogan che la maggior parte dei giovani del Paese non solo non votava per lui, ma poteva di fatto portare alla sua caduta, come era successo ai suoi colleghi leader autoritari in Tunisia ed Egitto. Da allora in avanti, forgiare una gioventù politicamente compiacente, moderna e devota, educata e rispettosa dei valori nazionali è diventato l’obiettivo principale del governo. Erdogan ha ribadito, nel corso degli anni, la sua aspirazione ad una gioventù dotata di “fede nel cuore, Corano e computer in mano, scienza in testa e vocazione verso Dio”, contrapponendo quest’immagine ai giovani dissidenti curdi o ai giovani coinvolti nelle proteste di Gezi. [7]

Oltre a costituire un elemento essenziale per il raggiungimento dell’ambita egemonia culturale di Erdogan, la devota gioventù moderna è anche il motore del suo programma evoluzionista, neoliberale e nazionalista. Le priorità del tipo di istruzione che potrebbe far crescere questa gioventù si possono cogliere nel progetto di Melih Bulu per Boğaziçi, che comprende il rilancio della collaborazione dell’università con i settori pubblico e privato, il miglioramento della sua integrazione nell’“ecosistema dell’imprenditoria turca” e la riprogettazione degli spazi dell’università per aumentare l’“innovazione”. È un modello educativo che enfatizza l’innovazione tecnologica, l’integrazione dei mercati e l’imprenditoria per promuovere gli interessi nazionali, come stabilito dal governo. In questo particolare modello di università, la produzione del sapere è valorizzata solo se rispetta le priorità del governo. Il pensiero critico ed il porsi delle domande, soprattutto se riferite ai proclamati interessi nazionali, non sono graditi, o vengono addirittura criminalizzati.

Nel 36° giorno di proteste, Erdogan è salito sul palco per rivelare il programma spaziale turco dei prossimi 10 anni, che include anche il raggiungimento della Luna nel 2023, nel centesimo anniversario della fondazione della Repubblica turca. Altre missioni prevedono l’invio di astronauti turchi nello spazio, la costruzione di una base spaziale turca e lo sviluppo di un sofisticato satellite e della tecnologia meteo. Ma le decine di università che il governo ha costruito negli ultimi 20 anni, in larga parte gestite attraverso reti di clientelismo, non hanno la capacità di ricerca per raggiungere tale livello di innovazione, né sono in grado di produrre un livello così avanzato di conoscenza. Bülent Küçük, professore a Boğaziçi, ha opportunamente sottolineato che “accumulare capitale intellettuale e culturale richiede più tempo di quello politico e finanziario”.[8] Da qui, il tentativo di Erdogan di prendere il controllo di un istituto di ricerca affermato come Boğaziçi.

Mentre il governo tenta di sradicare dall’università i gruppi “non conformi” attraverso indagini disciplinari e processi penali, la Turchia si trova ad affrontare una fuga di cervelli senza precedenti. Dai sondaggi sull’opinione pubblica emerge che i giovani sono, in larga maggioranza, disillusi sulla direzione che il loro Paese sta prendendo con Erdogan. Tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni, più di tre su quattro vorrebbero lasciare la Turchia in cerca di un futuro migliore. Quasi la metà degli intervistati considera la disoccupazione come il maggiore dei problemi che i giovani devono affrontare, mentre oltre il 70% crede che il merito sia irrilevante, visto che pensa che non riuscirebbe a trovare lavoro senza avere conoscenze nell’apparato statale. Un video recente girato da un gruppo di studenti di Boğaziçi e diffuso sui social media con ’hashtag #ülkemadınaçoküzgünüm (#midispiacetantoperilmiopaese) è un’ulteriore espressione dei sogni frustrati dei migliori studenti turchi.

La determinazione dei manifestanti di Boğaziçi riflette una rabbia, accumulata contro il governo, che ricorda le proteste di Gezi del 2013. Vent’anni di governo AKP hanno causato un danno senza precedenti all’autonomia dell’università ed alle libertà accademiche. Inoltre, il tentativo dell’AKP di conquistare una delle università più prestigiose, che fino ad oggi è stata in grado di mantenere la propria autonomia, sembra aver oltrepassato un limite simbolico. Resta da vedere se le proteste riusciranno a liberare Boğaziçi dal giogo del governo, aprendo la strada ad un impegno più ampio per l’autonomia accademica, o se invece la loro brutale repressione segnerà un punto di svolta nel consolidamento delle università turche come strumenti coercitivi e disciplinari al servizio del controllo autoritario dell’AKP. Fino ad allora, gli studenti di Boğaziçi e il corpo docente, e il numero sempre maggiore dei loro sostenitori dentro e fuori la Turchia, continueranno a ripetere #WeWillNotLookDown. (#NonAbbassereomoLoSguardo)

Questo articolo è stato pubblicato in origine da MERIP (Middle East Research and Information Project). E’ possibile leggere l’originale in lingua inglese cliccando il link   https://merip.org/2021/02/bogazici-resists-authoritarian-control-of-the-academy-in-turkey/

 

*Ayça Alemdaroglu è ricercatrice e direttore aggiunto del Programma sulla Turchia presso il Center for Democracy, Development and the Rule of Law all’Università di Stanford. Elif Babul è professoressa associata di Antropologia al Mount Holyoke College. Entrambe collaborano con il comitato di redazione di MERIP.


Note

[1] Muzaffer Kaya, “Turkey’s Purge of Critical Academia,” Middle East Report 288 (Fall 2018).

[2] @hilal_kaplan, “Bir Boğaziçi mezunu olarak, kerameti kendinden menkul bir kibirle size karşı çıkacaklar olacağını biliyorum ve aldırmadan yolunuza devam etmenizi bekliyorum. Boğaziçi sadece elitistlerin değil, milletindir. Allah muvaffak etsin,” Twitter, January 3, 2021

[3] Hilal Kaplan, “Bogaziçi Amerikan Etkisinden Arınırken,” Sabah, February 2, 2021.

[4] Ibid.

[5] “14. Olağan Genel Kurulumuz Cumhurbaşkanımız Sayın Recep Tayyip Erdoğan’ın Teşrifleriyle Gerçekleşti,” Boğaziçi Üniversiteliler Derneği (BURA).

[6] Carrie Shawn, “On an Istanbul Campus, Turkish Afrin Delight Leads to Arrests,” Middle East Eye, March 30, 2018.

[7] @RTErdogan, “Elinde taşla molotof kokteyliyle değil, göğsünde iman, elinde bilgisayar, Kur’an ve zihninde ilimle Hakk’a çağıran bir gençlik var,” Twitter, December 28, 2012.

[8] Neşe İdil, “Neoliberal Authoritarianism at Its Best: Boğazici University Academics Defy Erdoğan’s Rector Appointment,” Duvar English, January 7, 2021.

Fonte: Ayça Alemdaroğlu, Elif Babül “Boğaziçi Resists Authoritarian Control of the Academy in Turkey,” Middle East Report Online, February 23, 2021