di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 24 dicembre 2021 – Gli addobbi non mancano, un alto albero di Natale domina la piazza della Mangiatoia e nelle stradine del centro riecheggiano le note di «Laylet Eid», la «Notte della Festa», della celebre cantante libanese Fairouz. L’atmosfera festosa non deve ingannare. Anche questo sarà per Betlemme un Natale amaro, privo di turisti e pellegrini stranieri, il motore dell’economia cittadina. Nel 2020 la pandemia paralizzò Betlemme: chiusi gli hotel e una buona parte dei ristoranti. Ma quest’anno le speranze di poter vivere un Natale quasi normale erano alte. Israele a novembre aveva riaperto l’aeroporto di Tel Aviv ai turisti stranieri e la palestinese Betlemme si preparava ad accoglierli, almeno la porzione che di solito riesce ad arrivare nella Cisgiordania occupata. L’ottimismo è durato meno di un mese.

Betlemme (foto di Michele Giorgio)

Il governo israeliano ha reagito all’emergere della variante Omicron e alla quinta ondata della pandemia richiudendo tutto: lo stop all’ingresso agli stranieri è stato subito rinnovato. Se per gli operatori israeliani del settore turistico sono previsti aiuti pubblici, per migliaia di palestinesi di Betlemme, cristiani e musulmani, che vivono di turismo è un disastro totale. L’Autorità Nazionale di Abu Mazen, con le casse vuote, non potrà aiutarli in alcun modo. «Siamo ben coscienti della pericolosità della pandemia ma non poter decidere in autonomia come affrontarla e quali misure adottare, è frustrante. Israele prende le sue decisioni e i palestinesi devono assorbirle. I nostri hotel avevano registrato un buon numero di prenotazioni e a novembre centinaia di pellegrini vaccinati provenienti da Italia, Romania e altri paesi finalmente giravano per le strade di Betlemme. In un attimo è andato in fumo tutto», racconta al manifesto il sindaco di Betlemme, Anton Salman. «Sino a quando non saremo liberi – prosegue – e non avremo il controllo delle frontiere del nostro Stato e un aeroporto, non potremo mai decidere le nostre politiche e le misure adatte per fare fronte a qualsiasi situazione. Rimarremo sempre condizionati dalle decisioni dell’occupante, di Israele». Salman lancia un appello alla comunità internazionale: «Betlemme e tutti i palestinesi chiedono la pace, abbiamo bisogno della nostra libertà, dell’autodeterminazione, di uno Stato indipendente. Passano i decenni e il problema è sempre lo stesso, l’occupazione (israeliana) e sino a quando non sarà risolto non saremo mai padroni delle nostre vite e delle nostre decisioni».

La Chiesa della Natività senza turisti (foto di Michele Giorgio)

La Chiesa della Natività quasi deserta, con i suoi meravigliosi mosaici da poco restaurati da una impresa italiana, è il simbolo di una Betlemme senza turisti stranieri. La città stasera, Vigilia di Natale, e nei prossimi giorni potrà contare solo sulle visite di palestinesi provenienti da Gerusalemme Est e da Israele. Le prospettive, tuttavia, sono poco incoraggianti perché la città è avvolta nel clima cupo che regna in Cisgiordania. La tensione tra coloni israeliani e i palestinesi, specialmente nelle regioni di Nablus e Hebron, ha toccato livelli mai raggiunti. L’aggressività dei coloni, denunciata anche da una parte dei media e da alcuni politici israeliani, è cresciuta in modo esponenziale nell’ultimo anno. E si aggiunge a richieste politiche radicali dopo l’uccisione qualche giorni fa di un colono venticinquenne, Yehuda Dimentman, in un agguato di una cellula armata palestinese. Ieri centinaia di settler, guidati dalla vedova di Dimentman, hanno marciato accanto ai villaggi palestinesi di Burqa e Sebastiya, e invocato a gran voce la ricostruzione dell’insediamento di Homesh demolito dall’esercito nel 2005 nel quadro «ridispiegamento» da Gaza e in Cisgiordania attuato da Ariel Sharon. Invece, per il premier israeliano Bennett la causa del problema non sono l’occupazione militare, i coloni e le loro pretese ma il «terrorismo palestinese» che vede in forte crescita. L’altra sera un’unità speciale israeliana ha aperto il fuoco e ucciso Mohammed Abbas, 26 anni, nei pressi del campo profughi di Amari (Ramallah). I militari, secondo i residenti, lo avrebbero confuso con un ricercato. L’esercito sostiene di aver aperto il fuoco quando una pattuglia sarebbe stata presa di mira da spari nei pressi della colonia di Psagot.

Questo articolo è stato pubblicato il 24 dicembre dal quotidiano Il Manifesto