di Urayb ar-Rintawi – www.eremnews.com

Pagine Esteri, 10 gennaio 2022 (nella foto il presidente tunisino Kais Saied) – Il percorso di transizione democratica nel mondo arabo ha subito due grandi battute d’arresto nella seconda metà dell’anno passato: le misure di emergenza di Kais Saied in Tunisia (il 25 luglio) e il colpo di stato Burhan/Hemeti in Sudan (il 25 ottobre). Ciò è avvenuto prima che l’Amministrazione Biden, “tedoforo” della democrazia e dei diritti umani, completasse il primo anno del suo mandato.

Sia nel caso tunisino che in quello sudanese, non si può sostenere che le condizioni che hanno preceduto le battute d’arresto fossero rosee. I partiti tunisini e sudanesi sono stati spaccati da divisioni e conflitti e devastati dalla corruzione e dal denaro politico. Hanno distolto la loro attenzione dalle preoccupazioni e dai bisogni della gente, scatenando le conseguenze della dottrina dell’empowerment (della Fratellanza Musulmana) non applicandola più solo all’islamista Ennahda e ai suoi membri o al movimento islamico sudanese e ai suoi sceicchi ma estendendola in vari gradi anche alle fazioni e ai partiti espressione della società civile.

Le condizioni di vita nei paesi si sono deteriorate, i salari e le valute si sono deprezzati e i redditi sono scesi oltre i livelli nell’era delle dittature. Lo spettro di un’altra guerra di Dahis e Ghabra (una guerra tribale lunga decenni all’inizio del VII secolo in Arabia che è diventata un’espressione proverbiale per qualsiasi conflitto violento e interminabile, ndt) tra potere ed elezioni ha gettato un’ombra sulle prospettive future fino a quando non è apparso evidente che i due paesi fossero  in una situazione inestricabile. È forse per queste ragioni combinate che le misure di emergenza di Saied e il Comunicato n.1 di Burhan hanno raccolto il sostegno almeno di una parte del pubblico in entrambi i paesi e generato spaccature nei ranghi delle “forze della rivoluzione e del cambiamento”.

Ciò non ha impedito che crescesse il rischio di un ritorno alla dittatura e all’autocrazia, sia pure in forme diverse. In Tunisia è sembrato che l’immagine di un “autocrate giusto” prendesse piede e si affermasse attraverso un discorso populista in linea con quello (dell’ex leader libico) Gheddafi sui comitati popolari e sulla democrazia diretta che prescinde da partiti e organizzazione. In Sudan i generali hanno mostrato la volontà di allearsi con tutti i demoni della terra pur di rimanere al potere. Nel caso del Sudan, l’elenco dei demoni della terra si è ampliato per includere Israele, i resti dell’ex regime (di Omar Al Bashir) e il movimento islamista che hanno portato al potere tre decenni fa.

Le strade tunisine e sudanesi non hanno accettato nessuna battuta d’arresto. Nella terra di Jasmine (Tunisia), sono bastati pochi mesi perché il quadro delle misure di emergenza diventasse chiaro e le intenzioni del “giusto tiranno” fossero smascherate. Ogni giorno che passa, il presidente tunisino “eletto” perde parte del consenso popolare e sempre più forze si spostano nella trincea avversaria. Nella Terra dei Due Nili (Sudan) il quadro è stato chiaro fin dal primo momento, consentendo alle folle inferocite di continuare a radunarsi nelle strade e nelle piazze per chiedere di salvare la rivoluzione e bloccare il percorso del golpe e dei golpisti.

Il generale golpista sudanese Abdel Fattah al Burhan

Sia nel caso tunisino che in quello sudanese, sullo sfondo delle crescenti proteste popolari, la comunità internazionale ha continuato a brandire espressioni di “preoccupazione”, “condanna” e avvertimento, costringendo i nuovi regimi ad adottare misure tattiche di contenimento. In Tunisia, alla vigilia dell’undicesimo anniversario della rivoluzione, il primo dicembre, il presidente ha svelato una nuova roadmap che gli darà un anno in più come “autorità assoluta” del Paese. In Sudan, alla vigilia del terzo anniversario della rivoluzione, il 21 novembre, il generale (e capo dei golpisti) Abdel Fattah al Burhan ha stretto un patto politico con il premier Abdalla Hamdok (che in precedenza aveva fatto arrestare, ndt), mantenendolo alla guida del regime di transizione per altri due anni. Il “generale” (al Burhan) e il “solo tiranno” (Saied) puntano a sviluppi che potrebbero prolungare il loro governo e forse riprodurre il mandato dei loro predecessori.

Ironia della sorte, sia Saied che Burhan sono riusciti a commercializzare con successo i loro nuovi/vecchi prodotti presso la comunità internazionale. Invece di insistere sulla ripresa del percorso civile/democratico di transizione, le nazioni del “mondo civilizzato” guidate dal democratico Joe Biden hanno gareggiato per acquistare i “prodotti” boicottati dalle strade sudanesi e tunisine, sostenendo che sono un passo nella giusta direzione. Che razza di ipocrisia è questa? Pagine Esteri