di Valeria Cagnazzo –

Pagine Esteri, 8 febbraio 2022 (nella foto il premier greco Mitsokatis e il presidente turco Erdogan) – Senza scarpe e senza vestiti. Sono stati trovati così i corpi di almeno dodici migranti morti di freddo nel villaggio di Pasakoy in Turchia, lungo il confine con la Grecia, il 2 febbraio scorso. Il ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu ha subito scagliato le sue accuse contro un’Unione europea “debole e disumana”, e in particolare contro la Grecia, responsabile delle morti per congelamento lungo il confine a causa dei respingimenti operati dalla sua polizia di frontiera. Critiche che la Grecia ha rispedito al mittente, contestando l’inefficacia delle misure di controllo della Turchia sulle partenze clandestine verso il confine greco. Non è la prima volta che i due Paesi si scontrano negli ultimi anni: la questione dei migranti è un terreno scivoloso sul quale i toni delle reciproche diplomazie non esitano a infiammarsi ciclicamente. Le divergenze politiche, tuttavia, tra le quali la gestione dei flussi migratori è solo quella più drammaticamente attuale, non hanno impedito alle due potenze di riaffermare le proprie intese economiche.

E’ stato firmato il 24 gennaio scorso ad Atene, infatti, il nuovo protocollo di cooperazione tra Grecia e Turchia, in occasione della quinta sessione del Comitato economico congiunto. L’ultimo incontro tra i due Paesi si era svolto ad Ankara quasi dodici anni fa, nell’ottobre del 2010. Il viceministro degli Esteri greco incaricato per la Diplomazia economica, Kostas Fragogiannis, e il viceministro del Commercio turco, Mustafa Tuzcu, i due portavoce delle rispettive delegazioni, hanno espresso viva soddisfazione per la ripresa del dialogo e per il nuovo accordo stipulato. Obiettivo del Comitato Congiunto Economico greco-turco, stabilito per la prima volta nel 2000, è quello di stabilire un’agenda pacifica ed equa di accordi economici bilaterali. La firma dell’accordo è avvenuta solo tre mesi dopo il Comitato Congiunto per il Turismo, tenutosi anch’esso ad Atene nel novembre nel 2021 dopo una sospensione, anche in questo caso, di quasi dodici anni.

Sul tavolo delle trattative, il potenziamento dei traffici commerciali tra Grecia e Turchia, gli investimenti reciproci nelle imprese statali, la cooperazione nella gestione dei trasporti, delle risorse energetiche e in nuove strategie di tutela ambientale. Un incontro necessario e urgente per ratificare i rapporti tra due Paesi tanto divisi politicamente quanto vicini e dipendenti economicamente. Negli ultimi anni, il commercio tra Grecia e Turchia ha rapidamente aumentato i suoi volumi: i traffici economici sono triplicati dal 2005 ad oggi, e hanno raggiunto un valore di 5.2 miliardi di dollari nel 2021.

Ufficializzare la ripresa dei traffici economici tra i due Paesi non equivale e non è sufficiente, tuttavia, a riavvicinarli sul fronte politico. Diversi restano i nodi da sciogliere. Decine di migranti hanno perso la vita dall’inizio dell’inverno nel mar Egeo. Secondo la Grecia, la Turchia avrebbe periodicamente allentato il suo controllo sui flussi di persone verso ovest strumentalizzandoli per fare pressione sull’Unione Europea: nel 2016, l’Europa aveva designato proprio Ankara come guardiano delle sue frontiere, al prezzo di sei miliardi di euro, e da allora il governo turco riceve investimenti per contenere i flussi migratori illegali. Dal canto suo, la Turchia accusa il governo greco di adottare politiche di respingimento disumane nei confronti dei migranti, non solo nella tratta via terra. Secondo un rapporto della guardia costiera turca, nel 2021 oltre 23mila migranti sarebbero stati soccorsi dalla Turchia al largo del Mar Egeo, quasi 16mila di loro dopo un respingimento da parte della Grecia. Ankara avrebbe addirittura richiesto un’inchiesta internazionale sui respingimenti dalla Grecia. “Queste pratiche illegali”, ha dichiarato il ministro degli Esteri turco Cavusoglu a proposito delle vittime lungo il confine, “resteranno scolpite nella memoria come la vergogna dell’Europa”.

Non solo migranti: le acque del Mediterraneo orientale sono al centro non solo di attenzioni umanitarie ma anche di interessi economici, per le risorse di gas di cui sono ricche. La delimitazione delle proprie piattaforme continentali e la definizione delle acque territoriali continuano a generare attriti tra le due amministrazioni. L’ultimo episodio risale all’11 gennaio scorso, quando la Turchia ha invitato la Grecia a rinunciare al proposito di ampliare le proprie acque territoriali nell’Egeo dalle 6 alle 12 miglia dalla costa. Un’espansione giustificata dalla presenza di piccole isole greche disseminate fino a pochi km di distanza dalla costa turca e che sarebbe di fatto attuabile secondo la Convenzione ONU della Legge del Mare, alla quale la Turchia non ha aderito. Qualora l’espansione fosse realizzata, le imbarcazioni turche dovrebbero effettivamente attraversare acque greche, e dunque richiedere un permesso all’amministrazione di Atene, prima di immettersi in acque internazionali. Un’evenienza che il governo turco desidera stroncare sul nascere prima che possa trasformarsi in un “casus belli”. “Non dovrebbero cercare di provocarci”, ha dichiarato il ministro della Difesa turco Halusi Akar, “Che razza di idea è questa? Sarebbe ingiusto e illegale. Esiste uno status-quo nel Mar Egeo. Avete 6 miglia di acque territoriali, siate grati di questo. Da entrambe le parti si dovrebbe beneficiare di questa ricchezza e vivere in pace”. Tensioni analoghe si erano già accese quando la Grecia aveva firmato un trattato di definizione delle zone economiche esclusive con l’Egitto nel 2020, in contrasto con gli interessi di Ankara, e quando nel 2019 la Turchia dal canto suo aveva fatto lo stesso con la Libia.

Resta poi aperta la questione di Cipro. L’isola resta divisa tra la Repubblica di Cipro supportata dalla Grecia e la Repubblica turca di Cipro del Nord. Proprio a Cipro Nord, Repubblica riconosciuta solo dalla Turchia e non dalla comunità internazionale, a fine gennaio scorso si sono tenute le elezioni legislative che hanno confermato la vittoria del nazionalismo di destra filo-turco, con quasi il 40% dei voti al Partito di Unità Nazionale. La permanenza di un governo conservatore nella Repubblica del Nord segna un’ulteriore retromarcia nel timido processo verso la riunificazione dell’isola che la comunità internazionale e anche buona parte della comunità locale cercano di portare avanti da decenni. Invasa dalle truppe turche nel 1974, Cipro è divisa da allora tra una nazione abitata dalla maggioranza della popolazione, i greco-ciprioti, e il territorio turco, autoproclamatosi Repubblica indipendente nel 1983. Da allora, i negoziati Onu per la riunificazione e pacificazione dell’isola sono andati incontro a ciclici fallimenti. L’ultimo, il tentativo del Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres nel 2021 di riaprire un dialogo sulla questione, conclusosi pressoché con un nulla di fatto. L’ascesa di un nuovo governo vicino a Erdogan, da sempre ostile ai negoziati tra le due parti, arena inevitabilmente il processo, con ripercussioni inevitabili sulle relazioni tra le due potenze continentali di Grecia e Turchia.

L’accordo economico del 24 gennaio scorso è stato certamente un segnale di dialogo importante tra il governo di Ankara e di Atene. Resta il fatto, tuttavia, che l’economia è una questione politica almeno quanto è vero il contrario. I dissapori storici e politici restano tanti. L’inverno gelido che uccide i migranti respinti sul confine li riaccende e li attualizza, anche laddove le diplomazie preferirebbero nasconderli sotto ai tappeti dei propri artigiani locali e lasciarli covare nella polvere. Le rette dell’economia e della strategia politica potrebbero restare parallele e andare dritte nella loro direzione senza incrociarsi, ma è forte il dubbio che un’influenza reciproca sarà inevitabile. A quel punto, gli interessi commerciali tra i due Paesi, in un periodo di crisi mondiale, potrebbero finire per ammorbidire anche le tensioni sui fronti di politica estera, o potrebbe verificarsi il contrario: in tal caso, le rivalità politiche metterebbero in discussione l’adempimento agli impegni dell’agenda redatta ad Atene due settimane fa.