di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 10 febbraio 2022 – Ramallah dista da Hebron una cinquantina di chilometri. Ma in questi giorni le due città sono sembrate lontane anni luce. Le forze di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese faticano ancora adesso a riprendere il controllo completo delle strade di Hebron, teatro per giorni di una violenta faida tra famiglie locali ben armate, mentre a Ramallah, presieduta da Mahmoud Abbas (Abu Mazen), si è tenuta la prima seduta in quattro anni del Consiglio Centrale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp).  Annunciata come «decisiva per le sorti palestinesi», la riunione si è conclusa con la semplice cooptazione nel Comitato esecutivo dell’Olp di uno stretto alleato del presidente palestinese.

Le notti passate sono state un inferno nella zona H1 di Hebron dal 1997 nelle mani – solo sulla carta – dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). L’area di Bab Zawiye e altri quartieri si sono trasformati in campi di battaglia: auto, bus, negozi, abitazioni, una piccola fabbrica e ristoranti dati alle fiamme mentre i membri di due famiglie – Abu Eisha Awiwi e Jabari –, mitra in pugno, si combattevano senza sosta, come mostrano i video postati dalle due parti puntualmente su Tik Tok. Diversi i feriti, tra cui un bambino di sette anni e un anziano. I Jabari insistono per vendicare Basil, un giovane taxista ucciso senza motivo apparente dagli Abu Eisha-Awiwi e non accettano risarcimenti come vorrebbe in questi casi la tradizione.

Sullo sfondo c’è l’Anp incapace di imporre il rispetto della legge, quella penale e non tribale, e di amministrare una città spaccata e in parte (zona H2) nelle mani dei coloni israeliani. Pare che nell’intero distretto di Hebron, il più grande della Cisgiordania, la polizia possa contare su appena 300 agenti perché 500 sono stati trasferiti da Hebron a Jenin, altra città che le forze fedeli ad Abbas faticano a controllare e dove la popolarità delle organizzazioni islamiste, a cominciare da Hamas, è in costante crescita. Senza dimenticare che lo stesso governatorato di Hebron da anni simpatizza per Hamas e non per Fatah, il partito di Abbas.

Eppure nel 2021 l’Anp ha investito il 22% del suo budget da 16 miliardi di shekel (4,37 miliardi di Euro) negli apparati di sicurezza. Un percentuale elevata, se si considerano le poche risorse disponibili per sanità ed istruzione, che, sostengono i critici del presidente Abbas, non è impiegata per garantire la sicurezza dei cittadini palestinesi ma quella di Israele, attraverso il coordinamento tra i servizi segreti delle due parti nella Cisgiordania occupata. Coordinamento di cui i palestinesi chiedono l’interruzione ma che Abbas non ha mai sospeso.

Quella a Ramallah doveva essere una seduta di eccezionale importanza per i 124 membri del Consiglio centrale dell’Olp che include le principali le organizzazioni palestinesi (ma non Hamas e Jihad). «Prenderemo molto sul serio il processo di riforme e di rinnovamento», aveva assicurato l’ottantaseienne presidente palestinese all’apertura domenica scorsa del Consiglio centrale, assemblea ridotta del Consiglio nazionale dell’Olp, il «parlamento» di tutti i palestinesi nei Territori occupati, nei campi profughi e in esilio. Alla vigilia erano state annunciate «risoluzioni» volte a ridare slancio alle aspirazioni palestinesi pur nel quadro della soluzione a Due Stati con Israele. «Niente di tutto questo», ci dice, visibilmente deluso, Nasser H., un militante di Fatah, «chiedevamo un cambiamento vero e l’adozione di una linea ferma nei confronti di Israele che nega i nostri diritti, ma non è stato così. Anzi, Abbas sta stringendo i rapporti con il governo israeliano e si affida sempre al ruolo degli Stati uniti che pure si è rivelato dannoso e sempre a favore di Israele».

Per il rinvio della riunione del Consiglio centrale si erano schierati vari partiti, in particolare il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (sinistra) che aveva accusato Abbas di voler cogliere l’occasione per favorire l’ascesa di alcuni dei suoi fedelissimi ai vertici dell’Olp. E così è stato. Hussein Sheikh, ministro molto vicino al presidente e responsabile per i rapporti con Israele, è stato nominato membro e soprattutto segretario generale del Comitato esecutivo dell’Olp. Un incarico che fa di Sheikh, noto per le sue posizioni molto moderate, uno dei favoriti nella corsa alla successione di Abbas. Pagine Esteri