AGGIORNAMENTO

La centrale di Zaporizhzhia si è ritrovata la scorsa notte al centro di combattimenti, quindi è stata colpita, pare e incendiata in parte. Per qualche ora si è temuto lo spettro di una nuova Chernobyl. La calma è tornata solo dopo l’intervento dei vigili del fuoco che sono riusciti a spegnere le fiamme. E’ stato danneggiato il compartimento di uno dei reattori, ma senza conseguenze apparenti. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) comunica che non si registra un aumento della radioattività dentro e intorno all’impianto. Le autorità ucraine denunciano tiri dell’artiglieria russa e riferiscono di tre soldati morti e due feriti. Mosca smentisce l’attacco da parte delle sue forze. La centrale afferma è sotto il suo controllo dal 28 febbraio. E parla di un’azione di sabotatori ucraini.

 

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Michele Giorgio

Pagine Esteri, 3 marzo 2022 (nella foto la centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia © Energoatom) – È stata prestata molta attenzione all’occupazione russa dell’area di Chernobyl ma in queste ore cresce la preoccupazione, non solo all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), per quanto potrebbe accadere a quattro centrali atomiche attive che forniscono all’Ucraina metà dell’elettricità di cui ha bisogno. Situate a breve distanza da centri abitati e città, le centrali contengono 15 reattori di vecchia generazione. Il timore è di un disastro nucleare se gli impianti saranno danneggiati da bombardamenti, lasciati senza manutenzione o staccati dalla rete elettrica necessaria per raffreddare i reattori.

Martedì l’Ispettorato statale per la regolamentazione nucleare dell’Ucraina aveva informato l’Aiea che le centrali restavano sotto il suo controllo. Ieri c’è stata una prima svolta. Mosca ha comunicato al direttore generale dell’Aiea Rafael Mariano Grossi che le sue forze militari ora controllano il territorio intorno alla centrale di Zaporizhzhia, la più grande dell’Ucraina con sei dei 15 reattori. Subito dopo le autorità di Kiev hanno chiesto all’Aiea «di fornire assistenza nel coordinamento delle attività per la sicurezza della centrale di Chernobyl (Chernobyl) e di altri impianti», senza nominare Zaporizhzhia. Grossi da parte sua ripete l’appello «ad evitare qualsiasi azione che possa mettere a repentaglio la sicurezza degli impianti».

Nella centrale di Zaporizhzhia (foto Energoatom)

Appello condiviso da James Acton, un esperto del Nuclear Policy Program presso il Carnegie Endowment for International Peace. Venerdì, Acton ha scritto di essere più preoccupato per le quattro centrali atomiche attive che per Chernobyl dove avvenne il disastro nucleare del 1986. Acton ha spiegato che i 15 reattori in Ucraina, in caso di un attacco militare o un incidente grave, rilascerebbero radiazioni più forti di quelle generate da Chernobyl. Non solo. Il personale incaricato di far funzionare gli impianti potrebbe non recarsi più al lavoro e se le centrali venissero disconnesse dalla rete elettrica si rischierebbero problemi molto seri. L’elettricità è necessaria per evitare che il combustibile nucleare esaurito, contenuto nelle vasche di stoccaggio, si surriscaldi, altrimenti potrebbe verificarsi una fusione o un incendio. Tutte le unità nucleari ucraine sono state progettate nella ex Unione sovietica. Nessuna di esse soddisfa i moderni standard di sicurezza internazionali.

Ma i rischi più immediati ora sono legati alla guerra. Nel caso della distruzione di una centrale nucleare, spiega Dmytro Gumenyuk, un esperto ucraino, «le conseguenze sarebbero peggiori che a Fukushima e Chernobyl insieme. L’Europa sarà totalmente contaminata». E c’è di più. Una bomba a orologeria radioattiva sta già ticchettando nella miniera di Yunkom, a Donetsk. Si tratta dell’esito di un test nucleare sotterraneo del 1979. L’esplosione creò una capsula vetrificata di radioattività che richiede un pompaggio costante di acqua cessato dopo la secessione di quel territorio. La capsula si è allagata e acque radioattive di basso livello sarebbero già entrate in fonti di acqua potabile e potrebbero arrivare al Mar d’Azov e nel Mar Nero fino al Mediterraneo. Pagine Esteri

Questo articolo è stato pubblicato il 3 marzo dal quotidiano Il Manifesto