di Franco Ferioli – 

Pagine Esteri, 24 marzo 2022 – Il Capitalismo della Tarda Decadenza così come il Comunismo della Tarda Decadenza possono solo reggersi sparandole sempre più grosse.

I due rivali ideologici si apprestano a scontrarsi apertamente e lo faranno per mangiarsi la faccia a vicenda, per tirarsi giù la facciata l’uno con l’altro, per mandare in frantumi le rispettive vetrine in scenari di scontro e campi di battaglia intermedi, fuori portata, consunti e sacrificabili, come quelli offerti dai territori, dalle economie e dai falsi valori dell’agonizzante Unione Europea.

L’Europa, centro di irradiazione della devastazione colonialista, non avendo l’onestà di riconoscere le responsabilità del colonialismo nella miseria e nelle migrazioni, non avendo il coraggio di riconoscere il capitalismo industriale come causa principale dell’inquinamento e del cambio climatico, né avendo il coraggio di riconoscere le responsabilità della NATO nelle catastrofi afghane, mediorientali e nell’escalation militare nell’Est Europa, si affretta a salire sul carrozzone dei «buoni», prima che parta e lasci qualcuno a piedi, dove «buono» non è più solo chi si accoda prendendo le distanze da Vladimir Putin, ma dalla Russia intera e da tutti i cittadini e le cittadine russe residenti in patria o all’estero.

Appena l’esercito russo ha iniziato a invadere l’Ucraina, si sono innescati una serie di cortocircuiti economico-mediatici che affermano l’egemonia intellettuale della cultura della cancellazione della cultura attraverso una nuova crisi, una nuova emergenza e una nuova infodemia.

Insieme a crisi, la parola emergenza è una delle parole preferite dal sistema politico e quella di vivere in stato di emergenza è divenuta una condizione trainante e strutturale per il sistema economico-finanziario di molti Paesi Occidentali, incluso il nostro, che ormai da decenni si trova impegnato a fronteggiare sempre nuove emergenze economiche, sociali, ambientali, sicuritarie e sanitarie.

Prima ancora che terminasse l’emergenza da pandemia -chiamata ‘guerra contro il Covid’- con un’accelerazione da paso doble e la velocità di un decreto-legge,   (http://www.regioni.it/news/2022/03/01/ulteriori-misure-urgenti-per-la-crisi-in-ucraina-decreto-legge-28-02-2022-n-16-gazzetta-ufficiale-n-49-del-28-02-2022-646377/), la guerra è divenuta appoggio e partecipazione a un conflitto armato e paradossalmente sono molti di coloro che si definiscono democratici, progressisti e pacifisti ad approvare l’invio di armi e soldati e a chiedere un embargo tutto ciò che appartiene al mercato, alla cultura e alla tradizione russa.

Anche l’infodemia (circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, che rendono impossibile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di distinguere notizie affidabili dalle fake news), è altrettanto strutturale, trainante e funzionale per l’affermazione dell’economia di guerra e del militarismo culturale imperante.

La lista di proscrizione è lunga e in continuo aggiornamento.

La Fiera Internazionale del Libro per l’Infanzia Bologna Children’s Book Fair, ha annunciato di voler interrompere ogni relazione con le istituzioni editoriali russe.

Il fotografo Alexander Gronsky, arrestato in piazza a Mosca per aver manifestato il suo dissenso contro la guerra, si è visto annullare la partecipazione al Festival della Fotografia Europea di Reggio Emilia perché russo.

Il Museo nazionale del Cinema di Torino ha cancellato una retrospettiva sul regista russo Karen Georgievich.

Il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha ingaggiato un braccio di ferro col direttore d’orchestra Valery Gergiev, considerato filogovernativo, coinvolgendo nella querelle la soprano Anna Netrebko, nonostante avesse condannato l’aggressione all’Ucraina.

A Milano il corso su Fëdor Michajlovi Dostoevskij -uno dei geni dell’umanità, dei giganti della letteratura, segnato da una vita di persecuzione e vittima del dispotismo- che lo scrittore e traduttore Paolo Nori aveva in programma presso l’Università Bicocca, viene prima eliminato dal contenuto di una mail in cui è scritto: “Caro professore, il prorettore alla didattica ha comunicato la decisione presa con la rettrice di rimandare il percorso su Dostoevskij. Lo scopo è evitare qualsiasi forma di polemica, soprattutto interna, in questo momento di forte tensione”, poi rettificato da una seconda lettera nella quale la rettrice Giovanna Iannantuoni, facendo notare che si è trattato di un semplice malinteso, si dichiara disposta a ‘ristrutturare il corso e ampliare il messaggio per aprire la mente degli studenti, aggiungendo a Dostoevskij alcuni autori ucraini’.

Destoricizzare, decontestualizzare, banalizzare, capovolgere, confondere i termini delle questioni; mischiare e indifferenziare punti di vista, prese di posizione, ideologie e appartenenze politiche: la cultura della cancellazione della cultura è totalitaria e ha preso il posto del dibattito ragionato, esiliando il volere, i valori e le valenze dell’uso dell’intelletto, del confronto, del dialogo, della ragione e della diplomazia.

Si tratta di una operazione portata avanti quotidianamente da provocatori, opinionisti, giornalisti, scrittori, intellettuali mainstream e da tutto un esercito di commentatori social, oltre che da esponenti politici sia di destra che di sinistra.

Le federazioni sportive occidentali eliminano le squadre russe di calcio e di basket dalle competizioni internazionali e il Comitato Paralimpico Internazionale decide di escludere gli atleti disabili della Nazionale Russa e Bielorussa dalle Paralimpiadi Invernali. Poco importa ai rappresentanti dei paesi difensori ed esportatori dei diritti democratici se, fin dall’antichità greca, le olimpiadi sono sempre state simbolo di pace tra i popoli, in grado di sospendere qualsiasi guerra con la cosiddetta tregua olimpica e facendo partecipare anche gli atleti nemici alle gare.

È la formulazione di un nuovo ‘razzismo democratico’ quello che vediamo oggi sulla scacchiera geopolitica, esaltato dalla sinistra ormai divenuta braccio armato del Pensiero Unico Liberale.

Ovunque in Italia manifestazioni, preghiere, presìdii, discorsi, canti, inni e bandiere per celebrare la prima delle vittime: il significato espresso dalla parola pace e il concetto stesso di pacifismo: assenza di conflitti e affermazione della cultura della pace.

Che si tratti di razzismo, immigrazione, militarismo, giustizia climatica o pandemia da coronavirus, lo schema è sempre lo stesso: l’arroganza dei liberali di sinistra alimenta l’avanzata delle destre. E più la destra si rafforza, più i liberali di sinistra si sentono giustificati nelle loro posizioni. È anche per questo che agli occhi di molti la sinistra non viene più associata alla giustizia sociale ma ad un moralismo ipocrita offensivo, respingente e degradante.

“Liberismo di sinistra” o “Sinistra liberale”, sono termini fuorvianti per indicare quella corrente di pensiero né liberale, né di sinistra portata avanti da tutti quei partiti di centro sinistra che hanno preparato l’ascesa delle destre attraverso il militarismo, la distruzione delle tutele sociali, le privatizzazioni, lo sdoganamento del libero mercato e il conseguente aumento delle diseguaglianze e della precarietà esistenziale.

I liberali di destra e i liberali di sinistra sono talmente simili sia nel loro atteggiamento che nei propri contenuti, da risultare indistinguibili l’uno dall’altro.

I temi internazionali come la globalizzazione e il migrazionismo sono impareggiabili per smascherare la degenerazione dei moderati di sinistra italiani.

Alla sinistra liberale i migranti piacciono solo se e quando stanno sulle navi delle ONG, se vengono arrestati dalla polizia o se si arrogano il ruolo di partigiani.

Riescono a stare dalla loro parte soltanto se sono compresi nel ruolo strappalacrime delle vittime, così da poter far emergere il proprio caritatevole umanitarismo piccolo borghese intriso di falso cristianesimo, dopo aver negato le proprie responsabilità colonialiste e neocolonialiste in Africa e mentre celebrano, a suon di petrodollari e mercato delle armi, i fasti di meravigliose società libere e felici come l’Arabia Saudita, “Paese del Nuovo Rinascimento”, o Israele, “Unica Democrazia del Medio Oriente”, o mentre si affrettano a riconoscere milizie di mercenari come patrioti.

Aderiscono a un’agenda atlantista che dimostra come la supremazia occidentale declini sistematicamente in climax di destabilizzazioni, sanzioni, embarghi, esercitazioni, operazioni, interventi, missioni, conflitti asimmetrici e a bassa intensità che durano decenni in modo che l’opinione pubblica li dimentichi, e in guerre-fiere o guerre-mostre-mercato create con la logica di marketing con la quale si potrebbe organizzare un’expo internazionale dell’industria della morte, o addirittura in guerre umanitarie, condotte per salvare qualche popolo da qualche tiranno che, finiti i soldi per essere considerato un buon cliente, diventa un nemico da combattere per ristabilire la “democrazia”.

Il termine “Missione di Pace”, ad esempio, insieme all’altro devastante ossimoro “Guerra Umanitaria”, fu coniato dal governo presieduto dall’on. Massimo D’Alema e utilizzato per la prima volta dalla neolingua orwelliana della sinistra e dei suoi mass media di riferimento, per edulcorare l’impegno dell’Italia nei bombardamenti aerei compiuti dalla NATO contro la Iugoslavia a favore del Kosovo (marzo-giugno 1999) per abbattere il governo socialista in carica del “cattivo” di turno: Slobodan Milosevic.

Visto il successone mediatico ed economico riscontrato, questo modello è stato esportato e ripetuto su scala planetaria ovunque ci fosse un governo che rifiutasse di inginocchiarsi agli USA, che avesse la pretesa di non farsi saccheggiare dall’Occidente e che nutrisse l’ardire di dichiararsi socialista.

Anche il modello della transizione e del progressivo slittamento del liberalismo di sinistra verso il centro attraverso PCI PDS ULIVO DS PD IV è merito della vecchia scuola dalemiana ed è forse anche per questo che il totalitarismo liberal di cui la nostra società è intrisa non si accorge di conflitti che hanno generato uragani di sangue e violenza, veri e propri cataclismi umanitari applauditi da tutti quegli stessi filantropi così tanto attenti ai “diritti umani” da non accorgersi che le cause e le proporzioni delle ondate migratorie verso l’Europa attraverso il Mar Mediterraneo sono direttamente proporzionali alle svariate e immani forme di sfruttamento economico-militare neocolonialista sistematicamente applicate in loco.

Le tematiche ecologiche sono altrettanto rivelatrici: coloro che tutti i giorni mostrano al mondo quanto siano preparati, sensibili e politicamente corretti nelle pratiche del loro buon governo in materia di ecologia, ambientalismo e “giustizia climatica”  sono gli stessi che subiscono condanne per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale doloso e colposo, come nel caso delle sentenze di primo grado emesse dalla Corte d’Assise di Taranto contro amministratori pubblici accusati di aver procurato “gravissimo pericolo per la salute pubblica” e causato “eventi di malattia e morte” mediante sversamento di emissioni diffuse, inquinamento atmosferico, contaminazione del suolo, avvelenamento di sostanze alimentari, di bestiame e di specie marine.

O rieccoli ancora, sempre gli stessi, a battere la grancassa mediatica del circo politico celebrando eroi in camice bianco, medici, infermieri e personale sanitario che vengono omaggiati per occultare le responsabilità e le colpe di chi per decenni ha privatizzato, parcellizzato e screditato il sistema sanitario nazionale tagliando posti letto, chiudendo ospedali e trasformando anno dopo anno un diritto di tutti nel privilegio di pochi.

Vengono celebrati ipocritamente oggi per essere dimenticati domani, allo stesso modo dei medici e infermieri Cubani della Brigata Medica Henri Reeve, chiamati per aiutare i colleghi lombardi a combattere il Coronavirus nel momento dell’esplosione dell’epidemia e che, appena scesi dall’aereo, hanno riferito di non considerarsi né santi né eroi, ma personale sanitario qualificatosi in un piccolo Paese rivoluzionario dove probabilmente non esistono diritti umani nell’accezione occidentale, ma sicuramente esistono umani con diritti inalienabili all’educazione, all’istruzione, alla salute, allo sport e alla vaccinazione libera da copyright.

Dopo sette mesi dalla loro partenza, l’Italia ha ritenuto giusto votare contro la risoluzione presentata al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU per chiedere lo stop delle sanzioni economiche contro i cittadini cubani, sottoposti tutti, uomini, donne, bambini, infermieri, medici e ricercatori, a un blocco economico da parte degli USA che dura consecutivamente da oltre sessant’anni.

Nel frattempo, nel corso della pandemia, l’industria militare non si è mai fermata, la produzione e la vendita di armamenti non si è mai interrotta e gli investimenti per la difesa sono aumentati.

La dilagante militarizzazione della società e della sanità, l’uso a 360 gradi delle forze armate e di polizia per gestire lo “stato di guerra” dichiarato contro il Covid-19, hanno fornito le condizioni e il consenso generale per favorire un’emorragia di risorse pubbliche destinate alle spese militari e al rafforzamento dell’ampio contesto dell’apparato di difesa, controllo e sicurezza.

Nell’introduzione del Ministero della Difesa al Documento Programmatico della Difesa per il Triennio 2020-22, (http://www.difesa.it  22 ott. 2020 -Approvato il Documento Programmatico Pluriennale della Difesa per il triennio 2020 – 2022-), viene spiegato chiaramente come le mutazioni socio-economiche causate dalla pandemia debbano imporre una rivisitazione del concetto di “sicurezza” e dunque un più forte impegno del sistema militare-industriale-finanziario in quasi tutti gli aspetti della vita sociale ed economica.

Ciò comporta la disponibilità di maggiori risorse per nuove ricerche, nuove sperimentazioni, nuove armi, nuovi sistemi di controllo e distruzione e soprattutto la piena legittimazione e il più ampio dispiego degli apparati militari.

Non solo: “l’impegno totale e instancabile” delle forze armate nella “guerra al Covid” – sempre secondo gli estensori del Piano Pluriennale – deve essere comunque ampiamente riconosciuto da tutti e soprattutto premiato.

Come? In qual modo? Con quale prassi e procedura? Prevedendo un taglio di 6 miliardi di euro per la spesa sanitaria per gli anni 2023  e 2024 e approvando con 391 voti favorevoli su 421 in data 16 marzo 2022, un ordine del giorno collegato al “Decreto Ucraina” che impegna il governo del partito unico Lega Nord, PD, IV, FI, PdL, M5S, capitanato dal banchiere Draghi, di aumentare fino al 2% del PIL, cioè da 25 a 38 miliardi all’anno e da 68 a 104 milioni di euro al giorno che cosa?: le spese militari.

Ancora una volta risorse pubbliche -più l’indebitamento consequenziale generale- vengono destinate a favore di ristrette oligarchie finanziarie, ampliando i divari tra i sempre più pochi ricchi e sterminate masse di vecchi e nuovi poveri, con il risultato che da una parte il sistema sanitario è al collasso grazie ai tagli costanti della spesa e dall’altra la spesa per gli armamenti continua a crescere con il benestare di quasi tutte le parti politiche.

Se fosse a cuore la nostra salute, alla sanità sarebbero stati accordati fondi e si sarebbero contrastati  i sostenitori della sanità  privata, invece  i soldi del Recovery Fund il governo italiano li chiederà in prestito a Bruxelles per finanziare il complesso militare-industriale e realizzare i nuovi sistemi d’arma da destinare alle forze armate, rivolgendosi a un network civile-militare-industriale all’interno del quale spariscono differenze, metodologie e applicazioni tra attività e operazioni civili e militari, pubbliche e private, aderendo e auspicando in toto l’affermazione del ‘modello israeliano’ o dell’’israelizzazione’, con cui si intende un ordinamento statale per la messa in pratica delle più avanzate politiche e dottrine d’intervento militare e di controllo sicuritario, governate da ristrette élite a capo di un inestricabile complesso militare-finanziario-industriale-scientifico.

E’ sempre stata la destra a caratterizzarsi per la difesa della guerra, del nazionalismo e dei tagli alla spesa sociale. Ma oggi queste sono posizioni condivise da quasi tutta la sinistra.

La destra è tradizionalmente e storicamente demagogica, padronale, retorica, xenofoba, spregiatrice della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, serva dei forti, sempre pronta a indicare negli ‘altri’ le cause della sua impotenza o sconfitta cosi come lo è divenuta la nuova sinistra liberale.

Il capovolgimento della realtà è invece sempre stato un punto cardine del sistema capitalista.

Fa comodo indignarsi in un sistema borghese: si rischia poco, aumenta il consenso elettorale e si rende sempre più piatto il dibattito politico, focalizzato su luoghi comuni e dualismi costruiti a tavolino, l’uno funzionale e speculare dell’altro.

La sinistra si è privata della capacità e degli strumenti di analisi critica e conferma la massima di Gramsci: “la Storia insegna, ma non ha scolari”, con il risultato evidente che il centrodestra è un comitato d’affari che canta faccetta nera e il centrosinistra è un comitato d’affari che canta bella ciao.

Resistenza contro foibe o foibe contro resistenza: risultato partita sospesa per impraticabilità del campo sul risultato di zero a zero.

La cultura della cancellazione della cultura produce solo nemici e applicata ai fenomeni sociali come ad esempio le emergenze antiterrorismo o antiCovid, raggiunge apici strepitosi di intolleranza e discriminazione.

Basti pensare a quanto si è spostato a destra, in senso atlantista, l’asse della politica estera del nostro Paese.

Oggi una classe politica indecorosa – da destra a sinistra – striscia in modo trasversale ai piedi degli USA e di Israele, ripetendone la propaganda, celebrandone le carneficine, irridendo le loro vittime.

Trentacinque anni fa il Presidente della Repubblica affermava il diritto alla lotta da parte del popolo palestinese paragonando i combattenti dell’Intifada a Giuseppe Mazzini, venendo applaudito dall’intero emiciclo parlamentare tranne i fascisti del MSI e il gruppuscolo del Partito Liberale.

Al giorno d’oggi le parole di un ex partigiano come Sandro Pertini sarebbero stigmatizzate come estremiste, filo terroriste e antisemite e discorsi del genere non avrebbero diritto di cittadinanza all’interno di un Parlamento occupato dall’unificazione e dall’omologazione del Partito Unico Liberale.

Una classe politica vile, meschina e collusa come la nostra non può che ripetere la lingua dei più forti e riconoscere le forme di resistenza altrui solo come lucrosi affari e vantaggiose speculazioni macro economiche.

La sinistra liberale, i butta dentro, i cani da riporto e gli house organ giornalistici del conformismo vedono fascismi e totalitarismi dappertutto tranne dove ci sono veramente e dove ci sono veramente li appoggiano in totale scioltezza difendendoli come baluardi della democrazia.

I fascisti hanno ucciso Gramsci una volta sola. La sinistra liberale, portando avanti esattamente il contrario di ciò che predicava, continua a ucciderlo tutti i giorni.

In conclusione, sembra avere ragione sempre più contestualmente Ennio Flaiano: “I fascisti in Italia si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti e gli antifascisti”.

Oltre a chiedersi cosa sia e cosa sia rimasto di sinistra bisognerebbe continuare a chiedersi cosa sia stato prodotto dalla digestione del liberalismo e dalla fagocitazione della democrazia.

Gli studiosi sono concordi nel ritenere che in Italia non ci sia stata una vera cultura liberale e che quel poco che c’è stato sia stato minoritario e politicamente quasi irrilevante.

Ed è per questo che in Italia non c’è oggi una destra liberale democratica ma solo una destra che deriva direttamente dal fascismo o che fa l’occhiolino al fascismo.

Carlo Rosselli, in Socialismo Liberale -scritto durante il confino a Lipari, stampato per la prima volta a Parigi nel 1930 e pubblicato in Italia da Einaudi nel lontano 1973-  pone la questione che ha caratterizzato gran parte del dibattito politico del Novecento europeo fino alle estreme conseguenze dei tempi attuali: come conciliare l’idea di libertà individuale con quella di giustizia sociale.

Questa opera risente degli influssi del laburismo inglese di John Stuart Mill e di Adam Smith e del revisionismo tedesco di Eduard Bernstein e si pone in una posizione eretica rispetto ai partiti della sinistra italiana del suo tempo, per i quali Il Capitale di Marx, era ancora considerato come la Bibbia.

La sintesi a cui giunge il pensiero rosselliano, è: “Liberalismo come metodo, socialismo come fine”, unione della tradizione liberale con quella socialista basata sullo stato di diritto.

Rosselli era convinto che l’insieme delle regole della democrazia liberale fossero essenziali non solo per raggiungere, ma anche per realizzare una formula di socialismo liberale in quanto libertario, riformista, decentralista, non comunista marxista-leninista, in aperto e dichiarato contrasto sia con lo stalinismo che con il “socialfascismo” che accomunava, allora come oggi, socialdemocrazia, liberalismo e fascismo.

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