di Valeria Cagnazzo –

Pagine Esteri, 05 aprile 2022 – Heartbreaking –  “E’ un giorno devastante. I talebani avevano promesso che avrebbero permesso alle ragazze di tornare a scuola. E’ una promessa che avevamo già sentito in passato, e sappiamo che i talebani continueranno a inventare scuse per impedire alle ragazze di accedere all’istruzione. Le abbiamo sentite nel 1996, le abbiamo sentite nella valle dello Swat, le sentiamo di nuovo oggi nel 2022. Useranno la scusa dell’uniforme scolastica, del camminare da sole per andare a scuola, delle classi separate, delle insegnanti donne. Credo che l’Afghanistan che i talebani stanno concependo è un Paese in cui le ragazze non ricevono un’educazione, in cui non vanno mai oltre la scuola primaria e in cui non ci sono donne istruite. E’ un Afghanistan in cui metà della popolazione è relegata nell’ombra. Non credo che di questo passo l’Afghanistan potrà vedere la pace e il progresso che si merita. E’ straziante – it’s heartbreaking.”

La Premio Nobel Malala Yousafzai ha commentato così ai microfoni della BBC il passo indietro del governo talebano in Afghanistan sull’apertura delle scuole secondarie di grado inferiore alle ragazze del Paese. Dieci anni fa, in Pakistan, nella valle dello Swat dalla quale proviene, un gruppo di terroristi talebani le sparò alla testa sull’autobus che la riportava a casa da scuola, per punirla delle posizioni prese contro il regime talebano e il suo divieto di istruzione alle donne della sua regione. Aveva quattordici anni all’epoca. A quasi venticinque anni, adesso, una laurea all’Università di Oxford in Filosofia, Economia e Politica alle spalle, dall’Inghilterra guarda con amarezza e senza stupore alle prevedibili mosse del governo talebano sull’accesso all’istruzione per le donne afghane, e sembra che tutto questo tempo sia passato solo per non far cambiare niente.

Nel settembre 2021, alla riapertura delle scuole dopo la pausa estiva, il governo talebano aveva permesso il rientro in aula solo agli studenti maschi – e solo con insegnanti maschi. Per le bambine, si era provveduto a una graduale e parziale riapertura delle aule, ma non per tutte: le allieve dal sesto grado in poi ne erano rimaste escluse. I talebani avevano recentemente designato il 23 marzo 2022 come data ufficiale per la riapertura delle scuole medie e superiori anche alle ragazze. Entusiaste, le studentesse quella mattina hanno indossato le divise scolastiche e si sono finalmente ricongiunte nei corridoi delle scuole e tra i banchi delle aule abbandonate, per accorgersi presto, però, che qualcosa non andava. Dopo un’attesa interminabile, in cui la felicità di essersi ritrovate lasciava spazio alla preoccupazione, alle ragazze è stato intimato di tornare a casa: la scuola per loro non era ancora accessibile.

Nella notte, il ministero dell’istruzione talebano aveva, infatti, rilasciato una dichiarazione ufficiale con la quale annunciava che le scuole secondarie sarebbero rimaste ancora chiuse per le ragazze fino a nuovo ordine, vale a dire fino a “quando sarà sviluppato un piano globale, in conformità con la Sharia e la cultura afgana”.

Quali alibiAnche negli anni ’90 il governo talebano aveva vietato alle ragazze l’accesso all’istruzione. Che la proscrizione dell’agosto del 2021 rimanga ancora in piedi non stupisce, anche se diverse fonti parlano di una spaccatura tra gli uomini del regime. Il dietrofront improvviso, stabilito poco prima dell’alba della riapertura, sarebbe un segnale delle divisioni tra la vecchia e la nuova generazione di talebani.

Come segnalato dal Guardian, ad esempio, Abdul Salam Zaeef, diplomatico e uomo storico del regime, avrebbe criticato il divieto, sottolineando che le donne dovrebbero tornare a scuola “il prima possibile” e aggiungendo un sibillino “Dobbiamo conservare la nostra dignità”. Dall’altra parte, l’anziano Hasan Akhund, primo ministro ad interim, avrebbe affermato, secondo l’International Afghanistan Television, di non voler vedere le ragazze della sua provincia nativa di Kandahar frequentare la scuola “finché sarà in vita”. Un’affermazione, tra l’altro, che potrebbe essere stata interpretata fallacemente dai suoi colleghi come una posizione possibilista nei confronti dell’istruzione alle donne del Paese, con la sola eccezione di quelle di Kandahar. Il malinteso potrebbe insomma essere una delle cause del confusionario comportamento recente sul tema da parte del governo talebano.

Giovani e anziani, i talebani si sono trovati comunque costretti a giustificare il cambio di passo del regime. Suhail Shaheen, portavoce dei talebani nelle relazioni internazionali, ha parlato di un ritardo ulteriore sulle riaperture delle scuole alle ragazze solo a causa di un dibattito interno riguardo alle uniformi femminili. Una questione tecnica, dunque, stilistica, si potrebbe dire. Zabihullah Mujahid, al ministero della cultura e dell’informazione, ha dichiarato “Non siamo contro l’educazione. In molte province, le classi superiori per le ragazze sono già aperte, ma in molti posti in cui sono chiuse ci sono delle questioni di crisi economica e sociale alle quali dobbiamo lavorare”. Mujahid ha anche aggiunto, come ulteriore scusante, il fatto che in alcune regioni molto povere non ci siano spazi adeguati e sufficientemente grandi per separare le classi per genere.

Giustificazioni che servono al governo talebano soprattutto per rispondere agli attacchi lanciati dalla comunità internazionale in seguito a questo dietrofront. Tom West, inviato speciale degli Stati Uniti per l’Afghanistan, ha scritto in un tweet: “Esorto i talebani a rispettare i loro impegni nei confronti del loro popolo”. Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha parlato di un “danno per tutto l’Afghanistan”.

Prima dell’estateNel 1978, in Afghanistan le donne costituivano il 40% dei medici e il 60% degli insegnanti dell’Università di Kabul. Sotto il regime talebano, poi, la storia le vide relegate al silenzio e all’ignoranza a lungo, finché nel 2001 la comunità occidentale, con l’ingresso delle sue truppe nel Paese, pensò di poter elargire i suoi diritti alla società afghana.

Molti ostacoli imposti all’educazione femminile sono stati effettivamente rimossi grazie agli sforzi delle agenzie internazionali e del nuovo governo afghano negli ultimi vent’anni. Il numero di studentesse è cresciuto (dati dell’Onu) da circa il 3% di tutti gli studenti nel 2002 fino a circa il 25% del 2020. Il numero di studenti negli istituti di istruzione superiore afghani è raddoppiato ogni 5-7 anni. I bambini iscritti in un istituto scolastico sono passati da 1 milione nel 2001 (quasi tutti maschi) a 8,6 milioni nel 2013 (di cui il 39% erano ragazze). La legge sull’Istruzione del 2008 ha, infine, ratificato ufficialmente il diritto a un’istruzione gratuita fino alla laurea per tutti.

I programmi delle Nazioni Unite, inoltre, hanno finanziato la formazione di docenti universitari e di istituti secondari, che erano passati da circa 2.000 insegnanti nel 1989 a quasi zero nel 2001. Zero erano le donne docenti nel 2003: nel 2020 sarebbero arrivate a rappresentare quasi il 20% del corpo dei docenti. Nel 2015 presso l’Università di Kabul è stato addirittura inaugurato il primo master in studi di genere e delle donne in Afghanistan.

Passi avanti incoraggianti, per quanto lenti e complicati e nonostante i limiti dell’applicazione di leggi sociali in un Paese occupato e frammentato come l’Afghanistan dell’ultimo ventennio. Malgrado i dati  forniti dalle Nazioni Unite, molte regioni del territorio afghano sono, infatti, rimaste ancorate a sistemi patriarcali in cui per gli anziani è sempre “inconcepibile fino alla loro morte” che le nipoti vadano a scuola, come per Hasan Akhund. Anche lo stanziamento di fondi elargiti dalle agenzie internazionali per le politiche sociali non ha raggiunto, tra l’altro, equamente tutte le province del Paese.

L’agosto del 2021, infine, ha segnato una battuta d’arresto improvvisa e drammatica nel lento cammino verso l’uguaglianza nell’accesso all’istruzione nel Paese. Per le studentesse della scuola secondaria oltre il sesto grado in Afghanistan le porte sono chiuse dal settembre del 2021: le vacanze estive sono diventate una trappola senza uscita.

Il rapporto Unicef Il sistema scolastico afghano è organizzato in scuola primaria, che va dal primo al sesto grado, frequentata da studenti dai 7 ai 13 anni, cui segue la scuola media (o secondaria inferiore), dal settimo al nono grado. Gli studenti possono poi decidere di frequentare i tre anni di scuola superiore, in preparazione a un eventuale percorso accademico, o di optare per percorsi professionalizzanti nell’ambito del commercio, dell’arte, dell’agricoltura, dell’insegnamento. Al momento, alle bambine in Afghanistan è riconosciuto solo il diritto all’istruzione in una scuola primaria, una formazione elementare che oltre i 13 anni le vuole rinchiuse in casa.

Il sistema scolastico afghano, tuttavia, è gravato da pesanti carenze per entrambi i generi e per tutte le età. Secondo il più recente rapporto completo sulla situazione dei bambini e delle donne in Afghanistan stilato dall’Unicef (il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia), almeno 3.7 milioni di bambini sarebbero esclusi dal sistema scolastico in Afghanistan. Oltre il 60% di loro sono donne. Il rapporto risale all’agosto 2021, l’inchiesta è stata chiusa subito prima della definitiva ascesa del governo talebano, e offre dati sconcertanti.

Già prima delle proibizioni dei talebani, appena la metà dei giovani era regolarmente iscritta a scuola. Nel 2019, i tassi di frequenza netti dei maschi nelle scuole primarie e secondarie erano rispettivamente del 51,1% e del 41,8%, sempre di più rispetto al 36,6% e al 24,9% delle ragazze. Solo un bambino su due nel 2015 aveva completato la scuola primaria.

Nella maggior parte dei casi, però, non si tratta di abbandono, quanto di mancato inserimento scolastico. Quando i bambini vengono iscritti a scuola, poi, di solito lo fanno tardivamente. Per quanto i bambini dovrebbero iniziare a frequentare la scuola primaria all’età di sei o sette anni, solo un bambino su due e due bambine su cinque iniziano a studiare a quell’età (dati dell’anno scolastico 2016-2017, Unicef). Esiste, inoltre, un profondo divario tra aree urbane e aree rurali, con una differenza almeno del 10% tra i rispettivi tassi di frequenza scolastica.

I motivi dello scarso accesso all’istruzione segnalati dall’agenzia delle Nazioni Unite sono molteplici. La crisi umanitaria che l’Afghanistan affronta da decenni ha colpito e continua a danneggiare il settore dell’istruzione in diverse maniere. Anni e anni di guerra e occupazione militare hanno provocato la distruzione degli edifici scolastici: la metà delle scuole del Paese non è ospitata in strutture adeguate, il 62% non hanno mura di cinta, nel 31% dei casi non è disponibile l’acqua potabile.

I trasporti pubblici sono insufficienti, le strade dissestate e poco sicure: anche questo può frenare i genitori dal mandare i figli da soli a scuola. Nelle zone rurali, le scuole sono assenti, e l’unica possibilità di istruire i propri figli è costringerli a lunghe camminate attraverso sentieri impervi e pericolosi.

La qualità dell’istruzione in Afghanistan, del resto, è estremamente bassa. Sempre secondo il rapporto, solo il 65% degli insegnanti raggiunge i prerequisiti minimi per completare il 14° grado di istruzione, e solo il 48% dei docenti è in possesso delle qualifiche accademiche minime richieste per svolgere la professione. Ciò significa che il rapporto studenti-insegnanti qualificati è di 111 a 1. Le conseguenze sulla formazione sono importanti: il livello minimo di profitto nella lettura e in matematica viene raggiunto solo da circa un quarto degli studenti.

Per le minoranze etniche e linguistiche, infine, e per i bambini disabili o colpiti dal conflitto, il sistema scolastico afghano non ha posto: nel 2018, il 95% degli 800.000 bambini con “esigenze speciali” è stato escluso dai programmi educativi.

Le ragazze in trappola – Se il sistema scolastico afghano risente pesantemente delle catastrofi e della guerra della storia recente, sono le bambine a pagare il prezzo più alto. Il loro dramma non è ricominciato nell’agosto del 2021, perché non si era mai concluso del tutto. A concorrere al loro scarso accesso all’istruzione si aggiungono pesantissimi determinanti socio-culturali.

Se mandare i propri figli a scuola da soli a piedi per molte famiglie rappresenta un deterrente, l’ostacolo si ingigantisce se a doversi muovere sono le figlie femmine.

Soprattutto nelle zone più conservatrici, poi, i genitori non accettano che le bambine abbiano insegnanti maschi. Un limite enorme, dato che, secondo i dati Oxfam del 2007, le insegnanti femmine non superavano negli ultimi anni il 25% del corpo docente. Solo il 16% delle scuole sono istituti esclusivamente femminili, un numero bassissimo in un Paese in cui le norme religiose e la tradizione impongono ancora una rigida separazione tra i generi.

A ostacolare, infine, l’istruzione femminile c’è il matrimonio. Per le famiglie, mandare a scuola le ragazze pur sapendole destinate a diventare madri e casalinghe rappresenta spesso un inutile impiego delle proprie scarse risorse. Una volta sposate, poi, in diverse comunità le figlie diventano proprietà dei futuri mariti, e anche questo riduce ulteriormente il valore dell’investimento nell’educazione. Il 17% delle ragazze, inoltre, si sposano prima di compiere 15 anni – quando ancora frequentano la scuola media. Questo stronca del tutto le loro speranze educative.

Dopo otto mesi lontane dalle aule scolastiche, le ragazze afghane sono di nuovo costrette ad aspettare. I talebani, però, hanno cercato di giustificare il loro dietrofront e di prendere tempo, promettendo un loro ritorno in classe non appena saranno meglio definiti i dettagli relativi alle uniformi. “Hanno avuto sette mesi per decidere che tipo di sciarpe le ragazze avrebbero dovuto mettersi in testa”, ha commentato la direttrice della divisione per i diritti delle donne di Human Rights Watch, Heather Barr. Al governo talebano, tuttavia, trovare giustificazioni più credibili e adottare politiche più caute in tema di istruzione femminile potrebbe questa volta seriamente convenire: sull’altro piatto della bilancia, ci sono gli aiuti della comunità internazionale.

Di fronte alla gravissima crisi umanitaria in Afghanistan, l’Onu aveva già chiesto lo stanziamento di 4,4 miliardi di dollari di aiuti per il Paese. Il 31 marzo, la conferenza internazionale di Ginevra ha annunciato la donazione di 2,4 miliardi di dollari, una cifra per ora molto più bassa. A spaventare i donatori, proprio la repressione nel Paese e il rischio che i fondi possano essere sfruttati dal governo talebano. Il direttore del Programma Onu per lo Sviluppo, Achim Steiner, ha sottolineato: “Talvolta ci troviamo di fronte a sfide che, come l’istruzione delle ragazze in Afghanistan, possono diventare linee di frattura. Sia i ragazzi che le ragazze devono essere ammessi nelle aule perché il futuro dell’Afghanistan deve essere per tutti gli afghani, non solo per pochi eletti”. Un messaggio chiaro al governo talebano.

Se è vero che senza i finanziamenti adeguati il sistema scolastico afghano non potrà essere adeguatamente ricostruito, a partire dagli edifici, dai servizi igienici e dagli stipendi agli insegnanti, fondamentale sarà innanzitutto la volontà di assicurare il diritto all’istruzione a tutta la popolazione. Del resto, come aveva già detto Malala Yousafzai, “Non mi importa di dovermi sedere sul pavimento a scuola. Tutto ciò che voglio è l’istruzione”. Pagine Esteri