di Valeria Cagnazzo – 

Pagine Esteri, 13 aprile 2022  (nella foto Nasrin Mohamed Ibrahim @UNDP) – Indossa occhiali da vista con lenti strette che si oscurano all’aperto, Nasrin Mohamed Ibrahim. Parla con voce forte e decisa e gesticola qualche volta mentre si rivolge alla telecamera. Gioca a calcio ed è appassionata di motociclismo, ma è al giornalismo che ha consacrato la sua vita: ha solo ventisette anni, vi si dedica da almeno dodici ed è tra i soci fondatori della Somali Women Journalists Organization. Sarà lei la caporedattrice di un progetto rivoluzionario.

E’ stata lanciata lunedì 11 aprile Bilan, la prima redazione giornalistica tutta al femminile in Somalia. Avrà sede a Mogadiscio e sarà ospitata nella sede di Dalsan Media, una delle più grandi emittenti mediatiche del Paese, per la quale produrrà contenuti radiofonici, televisivi e video per la sua pagina Youtube. Il suo nome in lingua somala significa “luminoso e chiaro”: la sua missione sarà fare luce sui problemi delle donne e andare a scovare le loro storie sconosciute e dimenticate che meritano di essere raccontate. La redazione sarà composta da sei giornaliste.

“È triste che il nostro Paese abbia bisogno di una casa mediatica per sole donne, ma è questa la realtà qui. Le donne possono blaterare di tutto ciò che vogliono in cucina, ma devono tenere la bocca ben chiusa in pubblico”. Non usa mezzi termini Nasrin Mohamed Ibrahim in un suo articolo pubblicato sul Guardian. “Per la prima volta, abbiamo uno spazio in cui ci sentiamo al sicuro, fisicamente e mentalmente. Mai prima d’ora alle giornaliste somale è stata data la libertà, l’opportunità e il potere di decidere quali storie vogliono raccontare e come raccontarle”.

Parla non a caso di sicurezza fisica, innanzitutto. Per le donne in Somalia non è facile scegliere il giornalismo come professione. Se già la categoria è costantemente sottoposta al rischio di attacchi da parte dei terroristi islamici, le donne devono scontrarsi anche con il pregiudizio sociale che considera spesso questo mestiere non adatto e spesso disonorevole per il genere femminile. Sul posto di lavoro, inoltre, le donne si confrontano quotidianamente con discriminazioni e molestie sessuali fisiche e verbali.

Fathi Mohamed Ahmed ha venticinque anni ed è la viceredattrice di Bilan. “La sfida più grande che le giornaliste devono affrontare in Somalia”, ha raccontato, “sono gli abusi. Gli uomini mi hanno detto cose come “Sei bellissima, mi piace il tuo corpo”, ed è stato solo quando ho detto loro che ero fidanzata che hanno smesso”. Una redazione di sole donne rappresenta una rivendicazione femminile di uno spazio “tutto per sé” in cui affermare la propria professionalità serenamente.

La sfida di Bilan è ambiziosa. Nelle dichiarazioni delle sue redattrici, emerge vivo il desiderio di dare voce a un mondo femminile costretto fino ad oggi al silenzio e alla repressione. Si occuperà di discriminazioni di genere, ma anche di raccontare le storie delle donne che ce l’hanno fatta, in politica, negli affari e sul lavoro. Tra gli obiettivi, anche quello di indagare i tabù della società somala, come gli abusi sessuali e le violenze domestiche, e portarli finalmente nel dibattito pubblico nazionale.

“Uno dei motivi per cui le storie di donne vengono raccontate raramente nei media somali è che la maggior parte dei giornalisti sono uomini. Bilan cambierà le cose. Le donne ci parleranno perché anche noi siamo donne. Ci faranno entrare nelle loro case, nelle loro sale di preghiera e nei loro spazi privati”, ha scritto fiduciosa Nasrin Ibrahim sul Guardian.

Quella di Bilan sarà una battaglia su più fronti. Per Kiin Hasan Fakat, cresciuta in un campo profughi in Kenya, è imprescindibile la lotta femminista. “Bilan dimostra che le giornaliste donne possono prendere decisioni da sole”, dice del progetto. “Dissiperà l’idea che le donne non possono essere direttori, produttori, editori o registi. E mostrerà la forza delle giornaliste donne”. Le fa eco la sua collega più giovane, Shukri Mohamed, che per abbracciare la nuova professione ha dovuto scontrarsi con il suo clan: “Adesso che mi sono unita a Bilan, avrò più possibilità di lottare per le donne somale e i loro diritti”.

L’iniziativa è finanziata dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) e nasce come progetto pilota di dodici mesi, ma secondo il rappresentante dell’UNDP a Mogadiscio, Jocelyn Mason, ha buone possibilità di diventare una realtà permanente nel Paese.

Bilan sarà anche una scuola di giornalismo per le donne: giornalisti somali e internazionali si sono già impegnati ad offrire il loro tutoraggio alle giornaliste della redazione. Tra loro, Lyse Doucet e Razia Iqbal della BBC, Mohammed Adow di Al Jazeera e Lyndsey Hilsum di Channel 4. Nella sede di Bilan, inoltre, le migliori studentesse di giornalismo delle due università di Mogadiscio potranno svolgere stage semestrali per imparare il mestiere sul campo.

Quello che stanno compiendo le sei giornaliste è un passo coraggioso. “Tutti i giornalisti sono in pericolo in Somalia. Siamo presi di mira dai militanti islamici e corriamo ogni giorno il rischio di essere fatti esplodere da attentati suicidi”, sottolinea Nasrin Ibrahim. La loro redazione di sole donne e dedicata alle donne e all’uguaglianza di genere potrebbe diventare un facile bersaglio dei fondamentalisti islamici, oltre che scatenare la riprovazione di buona parte di una società conservatrice e patriarcale. Il progetto, però, è ormai lanciato e le redattrici di Bilan continuano entusiaste a registrare i loro servizi giornalistici. Il 25 aprile la prima messa in onda. Pagine Esteri