(In foto Milorad Dodik e il ministro degli esteri russo, Sergey Lavrov)

Di Danilo della Valle – 

Pagine Esteri, 6 maggio 2022 – La data del 24 Febbraio è destinata a restare impressa come la data che ha frantumato in mille pezzi la “campana di vetro della pace” in cui i cittadini europei si erano abituati, dopo la guerra in Jugoslavia, a vivere guardando alla lontana i conflitti che infuriavano nel mondo. Sebbene la guerra civile infuriasse in Ucraina dal 2014, l’entrata in scena della Russia ha cambiato inevitabilmente le cose portandole ad un livello di scontro molto più alto, sia in termini di vite umane che di attori coinvolti in campo. Dopo più di 60 giorni di una guerra a metà tra il moderno, uso massiccio della propaganda social, filmati “live” e droni combattenti, e il classico, con trincee scavate e combattimenti strada per strada che sembrano esser uscite dalla Prima Guerra Mondiale, gli scenari si iniziano a delineare e si può tentare di capire in quale direzione possa andare questo conflitto.

Le mosse di Mosca fin dall’inizio sono state interpretate in diversi modi. Ancora non è chiaro se il principale obiettivo fosse la conquista dell’intera Ucraina o, come dichiarato fin dall’inizio dal Cremlino, “solo” il Donbass. Diversi esperti militari, come ad esempio il generale Mini[1], hanno avanzato dei dubbi sul fatto che la Russia volesse realmente conquistare tutta l’Ucraina in una guerra lampo per diversi motivi: la mancanza di un uso massiccio dell’aviazione e il numero di uomini messi a disposizione, esigui per conquistare un Paese di 45 milioni di abitanti un esercito di 300mila soldati determinati e ben armati per anni dall’Occidente. Il Cremlino in questo momento punta a conquistare la parte del Donbass che è ancora sotto il controllo di Kiev e, forse, secondo i più pessimisti, aprire la contesa per la “Novorussia”, che nell’idea imperiale di Putin potrebbe coinvolgere gran parte dell’Ucraina centro- orientale per arrivare fino a Odessa ed avere un corridoio aperto con la Transinistra, dove in questi giorni si sono registrate diverse provocazioni. Un obiettivo che taglierebbe totalmente l’Ucraina dall’accesso al mare, condizione inaccettabile per il governo Zelensky e per l’economia del Paese. Oppure addirittura potrebbe dichiarare la “guerra totale” all’Ucraina in vista del giorno della vittoria del 9 Maggio.

Dall’altra parte, nello scenario euro statunitense, i problemi e le spaccature vengono sempre più diffusamente a galla. Se la Germania, e in parte la Francia, sono sempre più caute a sostenere indiscriminatamente l’Ucraina dal punto di vista militare per mere questioni di interesse nazionale e continentale, gli altri Stati europei sembrano appiattiti sulle posizioni statunitensi tese non tanto al raggiungimento della pace, parola che sempre più sta scomparendo dai radar, quanto alla “vittoria Ucraina” o, forse più correttamente, alla “sconfitta di Putin”. Del resto poco più di un mese fa il presidente Usa Biden, durante la sua visita in Polonia, ha dichiarato che Putin non sarebbe più potuto essere al governo della Russia, aprendo quindi un altro fronte, e obiettivo, quello del regime change[2]. Questi obiettivi significherebbero di fatto non cercare, attraverso un negoziato, la fine del conflitto ma di “afganizzarlo” allungandolo sempre di più con il tentativo di far “sanguinare” la Russia. Ciò però sarebbe difficile da realizzare se la Russia si fermasse al Donbass senza andare oltre. Se lo scopo di Usa e Uk è quello di tenere sotto pressione la Russia, per poi concentrarsi sul fronte cinese, tramite guerre per procura, si potrebbe immaginare che finito il conflitto russo-ucraino, ci si potrebbe concentrare su altri scenari di guerra. E di territori caldi in questo momento ce ne sono.

 

La Georgia, la Nato e le repubbliche separatiste

Tanto per cominciare si deve parlare del territorio del Caucaso, da sempre una pentola a pressione pronta ad esplodere, che vede nella Georgia il territorio di un eventuale scontro a stretto giro con la Russia, dopo la guerra dei 5 giorni del 2008 che sancì un’amputazione de facto del territorio georgiano con il conseguente rallentamento dell’iter per l’entrata nella Nato. Le tensioni tra la Russia, la Georgia e la Nato si sono acuite nuovamente proprio negli stessi giorni del conflitto in Ucraina: quando a fine Marzo il presidente dell’autoproclamata Repubblica dell’Ossezia del Sud[3], Bibilov ha preannunciato una sollecitazione ufficiale per un referendum con richiesta di annessione alla Russia, la Georgia ha subito fatto sapere che non sarà disposta ad accettare alcun tipo di referendum del genere. Allo stesso tempo, dal 22 al 24 Marzo, si sono tenute sul territorio georgiano le esercitazioni militari della Nato in partnership con Tiblisi che attende da anni un passo in avanti per l’entrata nell’alleanza atlantica che di fatto resta molto difficile soprattutto per la questione dell’Ossezia del Sud e dell’Abhkazia che cozzano con i regolamenti dell’alleanza atlantica per i nuovi entrati. Inoltre la Georgia rappresenta, come l’Ucraina e la Bielorussia, una delle linee rosse per la propria sicurezza nazionale, che Mosca difficilmente accetterebbe se oltrepassate dalla Nato.

Altri territori caldi che nelle ultime settimane sono tornati alla ribalta, anche se molto più distanti dal territorio russo, sono quelli dei Balcani.

 

La Bosnia Erzegovina e la storia mai superata.

L’8 Novembre 2019 il Presidente della Francia Macron balzò agli onori della cronaca per aver dichiarato ad Al Jaazera English che la Bosnia poteva essere una bomba ad orologeria nel cuore dell’Europa pronta a scoppiare da un momento all’altro[4]. Il riferimento però era all’ondata di foreign fighter dell’Isis di rientro a Sarajevo che avrebbero preoccupato molto Macron, tanto che scoppiò un caso diplomatico con le proteste ufficiali del membro croato della presidenza tripartita bosniaca Komisic e del presidente della comunità islamica Jusic.

Per capire la questione e perché può giocare un ruolo nell’attuale crisi geopolitica che vede la contrapposizione Usa/Russia su un terreno di scontro regionale per procura, bisogna tornare ulteriormente indietro di qualche anno. La Bosnia dagli anni Novanta è “l’armeria d’Europa” viste le ingenti quantità di armi usate durante la guerra nei Balcani che poi sono finite sul mercato nero finanziando la malavita e rifornendo gruppi e gruppetti di ogni dove. Molte di esse finite nelle mani dei jihadisti salafiti e wahhabiti stanziatisi in Bosnia dopo la guerra e che oggi investono in operazioni di radicalizzazione delle fasce più giovani di bosgnacchi, storicamente più moderati, con i dollari qatarioti e sauditi. Qualche anno fa, con l’operazione “Damasco” della polizia serba e bosniaca fu messo in luce un passaggio tra il jihadismo europeo e il corridoio bosniaco con l’arresto di Bosnic, l’imam itinerante di Al Baghdadi, reclutatore di aspiranti jihadisti in Europa e in Italia, e ideatore di una massiccia campagna di radicalizzazione in Bosnia, con acquisti di appezzamenti di terreni ai confini con la Croazia e la creazione di scuole “salafite”.

Oggi, nonostante gli accordi di Dayton del 1995 che posero la fine alla guerra in Bosnia Erzegovina, la pace sembra potersi sgretolare sotto i colpi della crisi geopolitica attuale. La guerra tra i gruppi etnici è finita ma non ne è mai seguita una vera e propria riconciliazione tra serbi, croati a bosgniacchi. Il Paese, diviso a livello territoriale tra il 51% della parte Croato-Musulmana e il 49% della Repubblica di Srpska, i serbi, inizia a mostrare sempre più crepe e problemi. La Presidenza collegiale, alla quale siedono un bosgnacco (Šefik Džaferović), un croato (Željko Komšić) e un serbo (Milorad Dodik), rischia di subire l’onda d’urto della nuova partita a scacchi tra Usa e Russia. Già ad aprile durante la pioggia di sanzioni statunitensi e britanniche in tutta l’area dei Balcani che hanno colpito personalità colpevoli di attentare la stabilità dell’area in Albania, Montenegro, Macedonia e Bosnia, ad essere accusati furono il membro serbo della Presidenza collegiale Dodik e il Presidente della Repubblica di Srpska, Zeljka Cvijanovic.

Secondo il Ministero degli Esteri inglese, che in questo momento e come da storia detiene in Europa lo scettro di potenza più antirussa, i due rappresentanti dei serbi di Bosnia starebbero attentando ai trattati di Dayton agitando lo spettro della secessione con l’appoggio di Vladimir Putin[5]. E la crisi politica non è tardata ad arrivare qualche settimana dopo l’inizio della guerra tra Ucraina e Russia quando i due rappresentanti Serbi hanno detto di capire e appoggiare l’azione del governo russo, scatenando le ire di Šefik Džaferović che ha dichiarato come fosse più sicuro per la Bosnia essere contemporaneamente nella Ue e nella Nato, lanciando un guanto di sfida alla parte serba[6]. In questo caso sarà da capire anche la posizione del croato Željko Komšic che non solo non ha condannato l’invasione russa ma si è più volte visto pubblicamente con l’ambasciatore russo in Bosnia e con il neo eletto Presidente serbo Vucic.

Željko Komšic

Lo scambio di accuse, come al solito, tra Occidente e Russia è continuo e però potrebbe esser un’arma a doppio taglio perché potrebbe facilitare la narrazione del “mondo slavo contro gli altri”. I legami storici tra russi e serbi dovuti alla fratellanza ortodossa, rinforzatasi poi nel tempo e nelle guerre potrebbero rendere più forte una simile narrazione. Ed eventuali problemi etnici nel Paese, soprattutto se la Repubblica di Srpska possa imboccare la strada della richiesta del referendum per la secessione potrebbero portare ad uno scenario simile a quello dei russofoni in altre parti dell’ex Urss. Ecco, con la differenza che qui il territorio sarebbe molto più distante.

Se la Georgia, come l’Ucraina e la Bielorussia rappresentano le linee rosse per la Russia, la Bosnia può significare per il Cremlino l’occasione per ribadire il proprio status di potenza globale e non solo regionale, con la questione della minoranza serba, popolo fratello a cui la Russia per questioni di depotenziamento militare e per la scesa in campo della Nato non diede una mano decisiva nel 1999.

E proprio al confine tra Serbia e Kosovo il clima resta sempre più teso. Dallo scoppio della guerra in Ucraina, Belgrado ha visto diverse manifestazioni a sostegno dei russi, con le luci bianco-blu e rosso ad accendere alcuni monumenti e palazzi della capitale serba. Dopo la vittoria al primo turno d Vucic e del Partito Progressista Serbo al confine tra Serbia e Kosovo sono stati registrati incidenti a metà aprile con attentati ai danni dei posti di blocco Kosovari ai confini con la Serbia. Gli autori potrebbero esser contrabbandieri dediti appunto alle attività criminali, ma dal Kosovo si accusa la Serbia di voler destabilizzare l’area. E sullo sfondo ci sono le accuse incrociate sulle forniture di armamenti incrociate. Vucic ha chiesto spiegazioni a metà aprile del perché la Gran Bretagna abbia fornito le autorità del Kosovo di missili Javelin e Nlaw, gli stessi dati agli Ucraini. E la Serbia, nonostante gli avvertimenti della Ue e della Nato, ha confermato l’ordine del sofisticato sistema terra-aria HQ-22 consegnato qualche settimana fa da una decina di aerei da trasporto Y-20 dell’aeronautica cinese sulla base di un accordo firmato in precedenza da Pechino e Belgrado. I missili, sono paragonati in prevalenza ai russi S-300 . Durante la presentazione in pompa magna la dichiarazione del Presidente Vucic è stata premonitrice: “La Serbia non permetterà più di essere il sacco di boxe per qualcuno”.

 

[1]Ucraina, l’ex generale Fabio Mini: “Guardate il cielo, non la lunga colonna di carri. Se sarà attacco a Kiev, arriverà da lì” – Il Fatto Quotidiano

[2]https://www.cnbc.com/2022/03/26/biden-says-putin-cannot-remain-in-power-in-sweeping-speech-on-russian-invasion-of-ukraine.html

[3]https://it.euronews.com/2022/04/06/ossezia-del-sud-primo-passo-verso-il-referendum-sull-annessione-alla-russia

[4]https://www.aljazeera.com/news/2019/11/8/french-president-calls-bosnia-a-ticking-time-bomb

[5]https://balkaninsight.com/2022/04/11/criticising-russia-uk-sanctions-bosnian-serb-leaders/

[6]https://www.aa.com.tr/en/politics/bosnia-will-be-safer-if-it-becomes-member-of-both-eu-nato-bosniak-member-of-presidency/2537418