di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 9 maggio 2022Basel Adra è diventato un giovane adulto occupandosi, ogni giorno della sua vita, del destino della sua e di tutte le altre famiglie della zona di Masafer Yatta, a sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata. «Era il 1999, avevo tre anni e centinaia di persone furono cacciate via dalle loro case a Masafer Yatta. Fu un evento traumatico che ha segnato la mia vita», ci racconta al telefono. «L’occupante israeliano» prosegue «sostenne che le nostre case si trovavano illegalmente in un’area dichiarata poligono di tiro negli anni ’80. I miei genitori e tutti altri abitanti presentarono appello e riuscimmo a tornare alle nostre case. Ora, dopo 22 anni di battaglia legale, una corte israeliana, una corte dell’occupante, ha sentenziato la nostra espulsione definitiva da villaggi antichi. E verranno per portaci via in qualsiasi momento».

Con poche frasi, Basel Adra, divenuto uno dei principali attivisti palestinesi nel sud della Cisgiordania, ha riassunto una vicenda politica e umana che ben rappresenta l’esistenza dei palestinesi sotto occupazione israeliana da 55 anni. L’Alta Corte di Giustizia, sulla base delle leggi civili e militari israeliane e non del diritto internazionale, mercoledì ha respinto il ricorso presentato dai palestinesi e ha sentenziato lo sfratto di 1300 persone, uomini e donne, anziani e bambini, da otto villaggi. I giudici David Mintz, Ofer Grosskopf e Isaac Amit hanno proclamato che quando il diritto internazionale contraddice quello israeliano, quest’ultimo prevale. Un atto di forza giuridico, spiegano gli avvocati dell’Associazione per i Diritti Civili rappresentanti le famiglie che saranno cacciate via delle loro case. I ricorrenti palestinesi di Masafer Yatta, dichiarata nel 1981 dall’esercito «Zona di tiro 918», dovranno anche pagare 20.000 shekel (circa 6mila dollari) di spese. A nulla è servito l’aver presentato filmati aerei per dimostrare che i villaggi esistevano prima del 1981 e che non corrisponde al vero la versione dell’esercito di una «occupazione abusiva» dell’area usata solo come terreno di pascolo e non per residenza.

Secondo il giudice Mintz le riprese aeree dell’area prima del 1980 non mostrerebbero edifici e una presenza umana stabile. Ma è noto che i palestinesi di quella zona, allora come oggi, vivono in grotte naturali adattate ad abitazioni. Per l’Alta Corte israeliana la gente del posto non ha fornito alcuna prova della proprietà delle terre e ha continuato a costruirci sopra. I palestinesi sarebbero illegali nella loro terra mentre la Cisgiordania è disseminata di insediamenti coloniali israeliani, vietati dal diritto internazionale, costruiti dopo l’occupazione militare nel 1967.

«Sapevamo di non avere speranze, le corti israeliane fanno gli interessi dell’occupazione, non certo quelli degli occupati. Questa sentenza è ideologica, non fondata sulla giustizia», ha commentato il presidente del consiglio amministrativo di Masafer Yatta, Nidal Younes. «La decisione dell’Alta Corte è grave, lascerà famiglie, bambini e anziani, senza un tetto sopra la testa», spiegano gli avvocati dell’Associazione per i Diritti Civili. «Malgrado tutto non ci arrendiamo», annuncia Basel Adra «chiediamo a tutti coloro che nel mondo credono nella giustizia e nei diritti del popolo palestinese di sostenerci e di firmare la petizione internazionale al sito www.savemasaferyatta.com».

I palestinesi di Masafer Yatta erano rimasti relativamente indisturbati fino alla fine degli anni ’90. Poi nel 1999, i militari cacciarono via più di 700 abitanti e l’anno dopo fu presentata la prima petizione contro gli sfratti che permise ai residenti di tornare alle loro case fino alla conclusione del procedimento. Nell’aprile 2012, l’esercito israeliano chiese la demolizione di otto villaggi invece di 12. Questa settimana è arrivata la sentenza definitiva di espulsione delle famiglie palestinesi. Pagine Esteri