di Michele Giorgio –

(Proteste a Hebron, foto archivio Al Sharq al Awsat) 

Pagine Esteri, 10 giugno 2022 – Le proteste di qualche giorno fa alla rotonda Ibn Rushd di Hebron hanno avuto un effetto. Di fronte alla possibilità che le contestazioni, per l’impennata dei prezzi al consumo in Cisgiordania e per i salari non ancora versati a decine di migliaia di dipendenti pubblici, si allargassero ad altre città cisgiordane, ieri l’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha annunciato che verserà parte dei salari che deve alla maggioranza dei suoi dipendenti. Potrà farlo perché ha ricevuto una porzione dei dazi doganali e altre imposte che Israele raccoglie per conto delle autorità palestinesi ai valichi e ai porti. Ma non basta. Migliaia di famiglie, senza salario da mesi e indebitate fino al collo, devono ora fare i conti con il carovita senza precedenti, aggravato dalle conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina.

L’Anp impiega circa 150.000 persone in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. «Il ministero delle finanze sta compiendo enormi sforzi per avere dalle autorità (israeliane) di occupazione i fondi palestinesi per rendere disponibili gli stipendi», spiegava ieri alla stampa Amjad Ghanim, segretario del gabinetto palestinese, ricordando inoltre la dipendenza dell’Anp dalle donazioni internazionali fortemente calate negli ultimi anni. Israele raccoglie per conto dei palestinesi ogni mese circa 900 milioni di shekel (271 milioni di dollari) vitali per il funzionamento della macchina amministrativa dell’Anp. Ma questi fondi sono un’arma di eccezionale importanza nelle mani di Israele. Il ministro delle finanze palestinese Shukri Bishara stima che Israele abbia trattenuto nelle sue casse sino ad oggi 500 milioni di dollari palestinesi, ossia 30 milioni di dollari al mese che corrispondono al totale dei sussidi che l’Anp versa mensilmente alle famiglie dei prigionieri politici in carcere nello Stato ebraico e di coloro che sono rimasti uccisi o feriti in attentati o scontri con l’esercito. Una forma di assistenza che Tel Aviv considera «istigazione» alla violenza.

Le politiche di Israele e le casse vuote dell’Anp – da sempre dipendente dall’aiuto esterno- non giustificano la forza che i reparti antisommossa palestinesi hanno usato contro i manifestanti a Hebron, 20 dei quali sono stati arrestati e liberati il giorno dopo. I partecipanti al raduno «Vogliamo Vivere», dopo aver bloccato la rotonda Ibn Rush con camion e auto, hanno scandito slogan per chiedere il blocco dei prezzi al consumo per diversi altri generi alimentari di base, oltre a quello già imposto al grano dal governo del premier Mohammed Shttayeh. Attivisti ha denunciato che le forze di sicurezza hanno malmenato senza motivo persone disperate per i prezzi esorbitanti di beni e servizi. Alcuni degli arrestati sono stati addirittura inviati nei centri di massima sicurezza a Gerico – quelli dove vengono incarcerati gli oppositori politici e i membri di Hamas – prima di essere riportati lunedì mattina a Hebron dove la procura ha formulato contro di loro accuse che vanno dal raduno illegale all’istigazione alla violenza. Un pugno di ferro che rappresenta anche un avvertimento per il movimento islamico Hamas avversario dell’Anp che ha il consenso della maggioranza della popolazione nel distretto di Hebron. Così come per Fatah 2, così come viene chiamato dai palestinesi il partito di Mohammed Dahlan, l’ex capo dei servizi di sicurezza dell’Anp, nemico del presidente Abu Mazen, che da anni risiede a Dubai.

La guerra in Ucraina ha fatto salire nei Territori occupati, in particolare a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, i prezzi di tutte le materie prime, il costo di prodotti alimentari di base come farina e zucchero. L’olio di semi è aumentato del 30% in appena due mesi anche se i dati ufficiali parlano di una crescita del prezzo dal 15 al 18%. Una situazione insostenibile per gran parte della popolazione palestinese.