di Michele Giorgio – 

Pagine Esteri, 17 giugno 2022 – Ai miliziani di Hayat Tahrir al Sham (Hts) non piace il contrabbando di benzina e gasolio, anche quel poco, magari un paio di taniche a testa, che tanti siriani sfollati nella provincia di Idlib, correndo rischi e percorrendo ogni giorno chilometri di viottoli di campagna, vanno a comprare nel distretto di Aleppo sotto il controllo delle forze di Damasco. Lì il carburante costa meno. Poi lo rivendono nei loro villaggi assetati di benzina a un prezzo maggiore procurandosi quei tre-quattro dollari giorno che bastano a comprare il pane, un po’ di legumi secchi e qualche ortaggio. Guai però a finire nelle mani della «sicurezza». La punizione potrebbe essere molto severa, addirittura costare la vita. Al Jazeera racconta che a febbraio, le forze dell’Hts hanno arrestato la madre di quattro bambini, Fatima al-Hamid, 28 anni, mentre cercava di contrabbandare carburante. Le hanno sparato alla testa davanti ai figli.

Hts, un tempo conosciuto come il Fronte al Nusra, braccio siriano di Al Qaeda, non consente violazioni della legge che ha imposto nel suo «emirato» nella regione nord-occidentale di Idlib, con la copertura del Turchia di Erdogan e il silenzio-assenso degli Stati uniti e dell’Europa. Per chi dall’estero segue le vicende del nord della Siria, dove proprio in questi giorni si teme l’ennesima offensiva militare di Ankara contro l’autonomia curda, Idlib è il territorio dove centinaia di migliaia di civili siriani (e non solo) hanno trovato rifugio durante i combattimenti per la riconquista di Aleppo e di altre città da parte dell’esercito siriano con il sostegno dell’aviazione russa. Un territorio dove la povertà è la condizione del 97% della popolazione e a rischio perenne di escalation militari nonostante gli accordi presi dalle parti in conflitto negli anni passati.

Idlib però è anche il regno del radicalismo religioso più sfrenato, un territorio dove i «reati» sono sanzionati con dure punizioni corporali, spesso la morte, dove la libertà di espressione è uguale a zero e non esistono diritti per le donne. È il territorio dove hanno, almeno per un po’, hanno trovato rifugio i due dei capi dell’Isis uccisi negli ultimi due anni.

Con la motivazione di garantire protezione a civili siriani potenzialmente minacciati dalle forze agli ordini del presidente Bashar Assad, Idlib gode, con la benedizione di Washington, Bruxelles e Ankara, di una autonomia politica e territoriale, funzionale alla frammentazione della Siria desiderata dai suoi nemici. Dal 2017 su di gran parte di questa regione comanda e amministra Hts, capace di sbaragliare Ahrar al Sham e gli altri gruppi jihadisti rivali. Da allora, sotto la guida di Abu Mohammad al-Jolani, ha cominciato a prendere forma Qaedastan in Siria, o se si vuole Al Qaeda 2.0. È l’unico territorio nel mondo di fatto governato da Al Qaeda, l’organizzazione responsabile dell’attacco alle Torri Gemelle, anche se Hts sostiene di aver preso le distanze dall’organizzazione che fu fondata da Osama bin Laden.

La bandiera di Hayat Tahrir al Sham, il ramo siriano di al Qaeda

L’enclave è divisa in due territori. Uno, più ampio, è controllato da Hts, l’altro da un governo ad interim appoggiato dalla Turchia che fa riferimento alla Coalizione di opposizione siriana e a una manciata di milizie islamiste chiamate Esercito nazionale siriano usate da Erdogan contro i curdi. Al Jolani a Idlib ha adottato una politica amministrativa particolare: da un lato vieta un po’ tutto – dalle sigarette ai brani musicali trasmessi dalle radio locali – dall’altro fa fiorire il contrabbando, traendo grandi profitti per l’emirato. Fonti locali spiegano che i contrabbandieri devono pagare alti dazi per permettere ai loro camion di accedere alla provincia e di muoversi liberamente al suo interno. Tuttavia, il peggioramento dell’economia in Siria – a causa delle sanzioni Usa (Caesar Act) – ha complicato la situazione anche a Idlib, con scontri sempre più frequenti tra fazioni dell’Hts per accaparrarsi i proventi del contrabbando e si registra un netto aumento degli omicidi di civili e miliziani.

In condizioni di anonimato, esponenti della società civile spiegano che il ramo siriano di Al Qaeda è il principale beneficiario dello sfollamento nel nord-ovest della Siria di centinaia di migliaia di persone poiché controlla in vari modi gli aiuti umanitari forniti dalle organizzazioni internazionali. Un dipendente di una ong ha confermato ad Al-Hal.net che Hts ha imposto a ogni organizzazione di pagare una «tassa» anche se si tratta di aiuti umanitari urgenti per la popolazione e di fornire informazioni sui partner di lavoro e i beneficiari. E impone «l’assunzione» di suoi membri nelle ong.

Allo stesso tempo nei discorsi pubblici, il ramo siriano di Al Qaeda fa di tutto per mostrarsi pragmatico. Orwa Ajjoub, analista del Center for Operational Analysis and Research, spiega che parlando di lotta all’estremismo e sviluppando i servizi e la gestione amministrativa, Hts punta a raccogliere maggior sostegno in Occidente in vista della gestione del potere nella Siria postbellica, rendendosi «insostituibile» nel futuro quadro siriano. Di fatto cerca di seguire il modello dei «nuovi» Talebani tornati al potere Afghanistan: più pragmatici rispetto a venti anni fa ma ugualmente rigidi sui punti essenziali, come la negazione dei diritti delle donne. Nelle scorse settimane Al-Jolani ha visitato la città di Ariha ed è apparso in una registrazione video pubblicata dalla Amjad Media Foundation indossando un mantello. Parlando ha evidenziato i servizi che Hts ha avviato a pochi chilometri dal Jabal al-Zawiya, quindi alla prima linea con le forze del governo siriano. «Non inventiamo niente di nuovo. Ciò che ci distingue è che noi stiamo costruendo in mezzo alla guerra», ha detto. Il generale Ahmed Rahal, analista militare e strategico, ha detto al portale Al-Monitor che «Golani cerca di presentarsi al mondo come leader di un governo moderato che tenga conto degli interessi di tutti nella regione. Rassicura gli Stati Uniti che non sta compiendo alcuna azione al di fuori della Siria. Cerca anche di presentarsi come sponsor delle azioni della Turchia all’interno del territorio siriano». Secondo l’islamologo Abbas Sharifa, Jolani non cerca solo riconoscimenti da parte dell’Occidente. «Vuole rafforzare il suo potere militare e a stringere forti alleanze con le fazioni del Turkestan, in Albania e della Cecenia, necessarie per il suo progetto». E sullo sfondo c’è la guerra in Ucraina. «Hts scommette sulla preoccupazione della Russia per la guerra in Ucraina – spiegano i suoi comandanti militari – Vuole cambiare l’opinione internazionale per essere sostenuto militarmente contro la Russia che combatte a sostegno del regime di Damasco». Pagine Esteri