di Michele Giorgio – 

(nella foto di archivio, il giorno in cui fu raggiunto nel 2015 a Vienna l’accordo Jcpoa)

Pagine Esteri, 1 luglio 2022 – Ora o mai più. Sotto la pressione di questo imperativo erano ripresi nei giorni scorsi a Doha, nel Qatar, negoziati decisivi, ma indiretti, tra Iran e Stati uniti per il ripristino dell’accordo del 2015 sul programma nucleare iraniano (Jcpoa). Enrique Mora, uno dei collaboratori più stretti del «ministro degli esteri» dell’Ue Josep Borrell, ha incontrato la delegazione iraniana capeggiata dal viceministro degli esteri iraniano Ali Bagheri Kani. Poi ha visto l’inviato speciale degli Usa, Robert Malley.  Al momento prevale il pessimismo. Non c’è stato alcun «progresso sperato dall’Ue» nelle trattative sul nucleare iraniano, ha comunicato ieri Enrique Mora.  Gli Stati Uniti si dicono «delusi» e un portavoce del Dipartimento di stato ha aggiunto che «I colloqui indiretti a Doha sono terminati».  L’Iran da parte sua fa sapere che rimarrà in contatto con Mora per prossimi incontri. Il portavoce del ministero degli esteri di Teheran, Nasser Kanani ha comunque confermato che rimangono “questioni irrisolte”.

Gli ultimi mesi hanno visto crollare gran parte dell’impianto del nuovo accordo Jcpoa quando sembrava a portata di mano ai colloqui avviato nel 2021 a Vienna. A un certo punto l’Amministrazione Biden è stata sul punto di accettare la richiesta iraniana di rimuovere i Guardiani della rivoluzione (Pasdaran) dalla lista delle organizzazioni terroristiche compilata dal Dipartimento di stato. Biden ha poi fatto retromarcia di fronte alle proteste del governo israeliano. Quindi, i negoziati sono stati sospesi a marzo a causa delle crescenti divergenze tra la Casa Bianca e Teheran, alle quali si è aggiunto il gelo sceso tra Mosca e Washington – entrambe garanti del Jcpoa (nel 2018 però gli Usa sono usciti dall’accordo) – per l’inizio della guerra in Ucraina.

Il passo all’indietro fatto quattro anni fa dall’ex presidente Donald Trump, in apparente accordo con l’ex premier israeliano Netanyahu, non solo ha portato allo stop del Jcpoa dopo tre anni in cui le parti coinvolte avevano (più o meno) rispettato i punti dell’accordo. Ha anche dato il via prima a un intenso scambio di accuse e poi ha innescato incidenti nel Golfo che per un soffio non sono sfociati in una guerra. L’Iran ha sempre negato di volersi dotare di ordigni nucleari ma dopo il 2018 ha utilizzato nelle sue centrali centrifughe avanzate e scorte crescenti di uranio arricchito lasciando intendere di essere in grado di raggiungere la soglia nucleare. Ora è il momento della verità, un fallimento avrebbe conseguenze drammatiche.

A inizio settimana a Teheran si respirava un clima più positivo. «La Coppa del Mondo Jcpoa in Qatar» aveva scritto in prima pagina il foglio riformista Mardom Salari. Per il moderato Arman-e Emruz «L’accordo tra Iran e America dovrebbe arrivare…ma una tale opportunità non può realizzarsi senza la flessibilità di entrambe le parti». Duro invece il conservatore Keyhan – fa capo alla Guida suprema iraniana Khamenei – che ha messo in guardia Ali Bagheri Kani: «I negoziati in Qatar sono una trappola, non si può premiare l’America che vara sanzioni, compie omicidi, pirateria e approva risoluzioni anti-iraniane».

Il ritorno al tavolo delle trattative è stato anche frutto anche dell’aumento del costo dell’energia causato dalla guerra tra Mosca e Kiev. Il rilancio del Jcpoa e la fine delle sanzioni Usa sulla vendita del greggio (e del gas) iraniano, andrebbe incontro al proposito di Biden di trovare fonti alternative all’energia russa. Israele, nemico dell’Iran, invece spera nel fallimento, vuole che le sanzioni contro Teheran non siano revocate e si prepara a un possibile scontro militare. «Proseguiremo a lavorare insieme agli Stati uniti e ad altri paesi per rendere chiara la nostra posizione e influenzare la realizzazione dell’accordo, se mai ci sarà», ha avvertito il ministro della difesa uscente Benny Gantz confermando che sta nascendo un’alleanza contro l’Iran con partner regionali non meglio identificati. Ma non è un mistero che Tel Aviv stia costruendo una sorta di Nato israelo-araba con Arabia saudita, Qatar, Emirati, Egitto, Bahrein e Giordania, guidata dagli Usa, per contrastare eventuali lanci di missili e droni iraniani in caso di una guerra. Domenica il Wall Street Journal aveva riferito che su iniziativa statunitense, alti ufficiali israeliani hanno avuto a marzo a Sharm El Sheikh incontri segreti con i rappresentanti di vari paesi arabi, tra i quali l’Arabia saudita, per coordinare strategie militari contro Teheran. Pagine Esteri