di Eliana Riva – 

Pagine Esteri, 4 luglio 2022 – Tra poco più di una settimana il presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, sarà in visita in Israele. Solo 2 giorni fa l’Autorità Nazionale Palestinese ha comunicato di aver consegnato a esperti statunitensi il proiettile che ha ucciso Shireen Abu Akleh. La giornalista di Al Jazeera stava seguendo, insieme ai suoi colleghi, un’incursione delle forze speciali dell’esercito israeliano a Jenin. È stata colpita alla testa. Il giornalista Ali Sammoudi è rimasto ferito.

Dopo l’omicidio le autorità israeliane hanno affermato con certezza che Shireen Abu Akleh fosse stata colpita dal fuoco palestinese. Le dichiarazioni dei suoi colleghi e quelle dell’Autorità Nazionale Palestinese indicavano, invece, i soldati israeliani quali responsabili.

Appena 10 giorni fa l’Alto Commissariato Delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) ha terminato l’indagine indipendente sulla morte della giornalista. Le conclusioni non lasciano spazio a dubbi: “Tutte le informazioni che abbiamo raccolto – comprese quelle ufficiali dell’esercito israeliano e del procuratore generale palestinese – sono coerenti con la constatazione che i colpi che hanno ucciso Abu Akleh e ferito il suo collega Ali Sammoudi provenivano dalle forze di sicurezza israeliane e non dal fuoco indiscriminato di palestinesi armati, come inizialmente sostenuto dalle autorità israeliane. Non abbiamo trovato informazioni che suggeriscano che vi fossero attività di palestinesi armati nelle immediate vicinanze dei giornalisti”.

L’Autorità Nazionale Palestinese si è più volte rifiutata di consegnare a Israele, “gli occupanti”, il proiettile che ha ucciso la giornalista di Al Jazeera. Tuttavia, sabato 2 luglio, il Procuratore Generale palestinese Akram Al Khatib ha comunicato la decisione di consegnare lo stesso proiettile ai tecnici Usa che avrebbero effettuato un esame forense. Domenica si è saputo  che i test sono stati effettuati all’interno del laboratorio forense della polizia israeliana a Gerusalemme. Sono stati alcuni funzionari israeliani ad affermare, ieri, che le analisi sarebbero state solo supervisionate dal Coordinatore della sicurezza statunitense e da un esperto balistico americano.

Si immaginava che i risultati delle analisi arrivassero prima della visita del presidente Biden in Israele. E così è stato.

Con una comunicazione ufficiale, il Dipartimento di Stato ha fatto sapere che “i risultati dei test balistici sono stati inconcludenti e non è stato possibile determinare se [il proiettile] sia stato sparato da un’arma usata dai soldati israeliani durante il raid militare dell’11 maggio nella città occupata di Jenin in Cisgiordania”. Il proiettile, secondo gli esperti statunitensi, era estremamente danneggiato. “Oltre all’analisi forense e balistica, nelle ultime settimane l’USSC [Coordinatore per la Sicurezza USA] ha avuto pieno accesso alle indagini delle forze di difesa israeliane (IDF) e dell’Autorità palestinese (AP). Riassumendo entrambe le indagini, l’USSC ha concluso che gli spari provenienti dalle posizioni dell’IDF sono stati probabilmente responsabili della morte di Shireen Abu Akleh. L’USSC non ha trovato motivo di credere che ciò fosse intenzionale, ma piuttosto il risultato di tragiche circostanze durante un’operazione militare guidata dall’IDF contro le fazioni della Jihad islamica palestinese l’11 maggio 2022 a Jenin, in seguito a una serie di attacchi terroristici in Israele”.

Secondo gli americani, tra i soldati delle forze speciali israeliane coinvolti nell’operazione militare all’interno della città occupata di Jenin, potrebbe dunque esserci, ma non è certo, il responsabile “non intenzionale” della morte della giornalista. E il tempismo di questa conclusione renderà un po’ più leggero il soggiorno mediorientale del presidente degli Stati Uniti d’America.