di Patrizia Zanelli*

Pagine Esteri, 31 agosto 2022 –

Con il declino di Acri, negli anni 1830, i consolati europei si erano trasferiti a Haifa, determinando l’ascesa anche di questa città che diventerà un importante polo industriale nel secolo successivo.

La mostra A People by the Sea al Museo Palestinese di Bir Zeit racconta soprattutto la realtà palestinese della prima metà del Novecento.

Uno dei risultati più importanti delle riforme ottomane è la nascita in Palestina di una stampa moderna locale, che si sviluppa con maggiore rapidità dopo il ripristino della Costituzione ottomana, nel 1908, e il conseguente allentamento della censura. Su un pannello della mostra ci sono due documenti interessanti: uno è la copertina del quarto numero della rivista Bākūrat al-adab (La primizia della letteratura), datato 1905, anno di fondazione a Giaffa della stessa testata il cui nome indica appunto l’esistenza di una nascente letteratura moderna palestinese. L’altro è la prima pagina dell’edizione del 2 settembre 1911 di Annafayr (Annafire), un giornale dedito a questioni politiche, letterarie e socioculturali, fondato a Gerusalemme nel 1906.  L’articolo d’apertura è intitolato “La morte della libertà in Egitto” – all’epoca guidato dal khedivè Abbas II e sotto occupazione britannica sin dal 1882 – e denuncia proprio i problemi che sta subendo l’organo ufficiale di un partito nazionalista egiziano a causa della presenza militare inglese nel paese. Ciò indica che il nazionalismo anticolonialista è già emerso anche in Palestina, dove evidentemente c’è una discreta libertà di stampa. In fondo alla stessa pagina compare la pubblicità di una compagnia navale francese che organizza viaggi per l’America e ha appunto un ufficio a Gerusalemme. Entrambi questi documenti sono interessanti anche a livello artistico ossia grafico: l’abbinamento di disegni in stile Liberty alla calligrafia araba è particolarmente affascinante.

Foto di Patrizia Zanelli, diritti riservati

Nella mostra sono esposti altri annunci pubblicitari di crociere su transatlantici di lusso che indicano sia la domanda crescente di questo tipo di viaggi in Palestina, e ovviamente l’agiatezza dell’alta borghesia palestinese sia la dinamicità economica delle città portuali. Con la fioritura di giornali e riviste, inoltre, si rivitalizza la vita culturale a Haifa e Giaffa, dove si organizzano spettacoli teatrali e concerti, spesso in riva al mare, come confermano più fotografie esposte in A People by the Sea.

Foto di Patrizia Zanelli, diritti riservati

 

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L’effettiva presenza, nelle case delle famiglie borghesi e nei caffè, di radioricevitori, grammofoni e dischi in vinile, su cui sono registrate canzoni interpretate dalle voci più celebri dell’Egitto e del Levante, è invece documentata da alcuni annunci pubblicitari presentati nella mostra.

Lungo il percorso di A People by the Sea, a un certo punto, si trova una scheda informativa che indica la prima ondata migratoria colonialista ebraica, legata al sionismo internazionale, iniziata nel 1882, e l’avvio della costruzione dell’insediamento sionista di Tel Aviv, nel 1909, sul confine settentrionale del distretto amministrativo di Giaffa, e la stessa nota segnala la pericolosità della fondazione di questa colonia per le sorti della Palestina e degli abitanti autoctoni del paese, cioè i palestinesi. Poi la narrazione si sofferma sugli eventi cruciali per l’assetto geo-politico regionale, avvenuti nell’ambito della I Guerra Mondiale. Una scheda informativa ricorda l’accordo Sykes-Picot (1915-1916), negoziato e firmato segretamente da Francia e Inghilterra, e interventi militari che dimostrano le intenzioni delle maggiori potenze coloniali europee di alterare per sempre il volto della Palestina, del Levante e dell’intero Medio Oriente. Una teca della mostra contiene, invece, un opuscolo intitolato The Balfour Declaration – an Analysis; si tratta di un inserto speciale pubblicato a Giaffa dal giornale Falasṭīn (Palestina) proprio nel 1917. La ben nota lettera firmata il 2 novembre di quell’anno appunto dal ministro degli Esteri inglese, certifica la volontà dell’Inghilterra di sostenere il sionismo internazionale. Con lo smantellamento dell’Impero Ottomano, a seguito della I Guerra Mondiale, e l’inizio del mandato britannico sulla Palestina nel 1920, emerge concretamente il significato della Dichiarazione Balfour – l’accelerazione della colonizzazione sionista -, la cui prevedibile conseguenza è l’accendersi di un conflitto regionale tuttora in corso e in evoluzione.

D’altra parte, lo scopo principale di A People by the Sea è di raccontare una realtà sociale, la vita della gente di un paese. Durante il periodo mandatario, in risposta alla minaccia sionista, la società palestinese esprime la propria vitalità, proseguendo sulla via verso la modernizzazione. Ormai ci si può spostare da una città all’altra del paese sia in treno sia in pullman, come indicano i biglietti esposti nella mostra. Su un pannello, invece, sono presentate le pagine di più giornali che suggeriscono la possibilità di andare a teatro oppure al cinema a vedere, per esempio, un musical egiziano – all’epoca l’Egitto è la Hollywood sul Nilo a livello panarabo – o un cartone animato della Walt Disney.  In questo periodo nasce anche la passione per lo sport. Nel 1931, viene fondata una federazione sportiva nazionale per unire circoli già esistenti in varie città della Palestina, tra cui Gerusalemme, Giaffa e Haifa, e frequentati da giovani che sperano di vincere una coppa come quelle esposte in A People by the Sea.

Un’altra teca della mostra contiene, invece, due scatole di fiammiferi, con il marchio di una piccola impresa di Acri, e un pacchetto di sigarette prodotto a Giaffa, dove ci sono aziende appunto del tabacco, nonché del sapone, del cuoio, del vetro, di carpenteria, tessili e alimentari, oltre a quelle della filiera delle arance. Su un pannello inoltre sono esposti documenti di tipo amministrativo aziendale, tra cui una lettera su carta intestata e quattro buste affrancate e con timbro postale.

Nel 1933, viene inaugurato il porto di Haifa, costruito dall’Inghilterra. Lo scopo di Londra è di avere la possibilità di accogliere grandi navi commerciali e petroliere e di accordare concessioni a società di capitali straniere e a capitalisti sionisti internazionali. Lo scalo nasce e si sviluppa grazie a investimenti esteri legati alle industrie pesanti, petrolifere e del trasporto ferroviario.

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Haifa, inoltre, è sin dagli anni ‘20 la roccaforte del movimento operaio. Certo, ci sono problemi sindacali e sperequazioni socioeconomiche anche in Palestina, dove non mancano neppure casi di corruzione. Ne parlano diversi articoli giornalistici esposti in A People by the Sea, ma, nel paese, prevale la consapevolezza anticolonialista che fa da collante del tessuto sociale.  Su un pannello si vede, per esempio, un volantino che rientra in una campagna per la promozione e difesa della produzione locale: gli imprenditori e investitori palestinesi devono affrontare, oltre alla concorrenza straniera privilegiata dall’Inghilterra, gli ostacoli posti dai militari inglesi e/o da gruppi di coloni.

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La minaccia sionista aumenta di giorno in giorno, materializzandosi nella monopolizzazione d’ogni aspetto della vita sociale in Palestina nell’ambito di un progetto colonizzatore esclusivista. Quindi, nascono partiti politici e associazioni palestinesi di autodifesa nazionale.

E, naturalmente, come sempre e ovunque nella storia dell’umanità, dalla tragedia nasce la commedia. Nella Palestina mandataria fiorisce infatti il giornalismo satirico palestinese. In A People by the Sea, si vede una vignetta dedicata proprio alla Dichiarazione Balfour e pubblicata su Falasṭīn il 17 giugno del 1936, mentre gli articoli annessi parlano – con la cauta ironia necessaria per evitare la censura – delle proteste popolari appena esplose nel paese appunto contro il mandato britannico e la colonizzazione sionista.

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Donne e uomini palestinesi d’ogni estrazione religiosa e sociale partecipano alla Grande Rivolta che durerà nelle città e nelle campagne della Palestina per tre anni. Nel 1939, infatti i militari inglesi e miliziani sionisti intensificano la repressione della resistenza palestinese, perché l’Inghilterra vuole impiegare tutti i propri sforzi nella II Guerra Mondiale in cui sta entrando.

In Palestina, la crisi economica provocata dal conflitto internazionale colpisce soprattutto i proprietari degli aranceti e, quindi, i lavoratori della filiera delle arance. A People by the Sea include infatti anche una sezione dedicata proprio al mondo del lavoro. Una teca contiene una tessera sindacale, rilasciata a Haifa il 15 marzo 1947 dal Sindacato Arabo Palestinese dei Lavoratori. È intestata ad Abd al-Salam Abd al-Halim Hanieh che faceva il caposquadra a Giaffa. Una scheda informativa ricorda il duplice ruolo svolto dal Sindacato stesso negli anni ’30: l’organizzazione di scioperi per rivendicare migliori condizioni lavorative per i lavoratori del reparto agrumario e ferroviario; e la mobilitazione del movimento operaio nella lotta contro la colonizzazione sionista, e ciò a cominciare dalla Grande Rivolta nell’ambito delle attività rivoluzionarie coordinate e sostenute dai comitati nazionali.

La mostra riesce effettivamente a dare la possibilità di percepire la realtà pre-1948 palestinese; e lo fa senza menzionare personalità pubbliche, ma parlando della vita della gente “comune”. Si nota un’attenzione, una cura a ricordare laddove possibile i nomi delle persone per evidenziare l’importanza di ogni individuo. In Palestina, la società palestinese era organizzata a vari livelli, era politicizzata e impegnata a costruirsi un futuro e a difendersi da un pericolo crescente.

L’ultima parte del percorso di A People by the Sea è dedicata alla Nakba. Un pannello informativo ricorda gli atti compiuti da gruppi paramilitari sionisti nel decennio precedente, cioè sin dal 1937: crimini contro la persona, una campagna di attacchi dinamitardi e oltre 7 massacri, il cui bilancio è di 250 palestinesi uccisi e migliaia di altri feriti. Questo è il preludio della Nakba che inizia all’indomani dell’annuncio dell’approvazione della risoluzione 181 dell’Onu sulla Spartizione della Palestina, approvata il 29 novembre 1947 – e mai attuata. Nel marzo 1948, i dirigenti paramilitari sionisti, basati a Tel Aviv, decidono di lanciare la campagna Piano Dalet, volta appunto alla pulizia etnica nei confronti dei palestinesi nella porzione del territorio assegnata al futuro Stato ebraico.

Tra i dodici artisti che partecipano alla mostra c’è anche Abed Abdi (n. 1942) che il 22 aprile 1948 aveva appunto appena sei anni ma, nelle sue memorie, ricorda perfettamente i fatti vissuti quel giorno a Haifa, la fuga verso il porto per salvarsi dagli attacchi lanciati da miliziani sionisti e la posa da “gentleman” dei militari inglesi che invitavano i palestinesi a lasciare la città, perché – all’insaputa dei palestinesi stessi – non ci tornassero mai più. Si tratta della più nota delle tante espulsioni di massa avvenute nell’ambito della Nakba. In A People by the Sea la testimonianza di Abed Abdi è infatti presentata su una scheda accanto alla fotografia (scattata a Haifa dopo il 1948) di un giovane soldato inglese, seduto su un muro a osservare dall’alto un gruppo di palestinesi indotti appunto a salire in barca e a lasciare la città, convinti che ci sarebbero presto tornati, un diritto al ritorno sancito dalla risoluzione 194 dell’Onu, approvata l’11 dicembre 1948 – e mai attuata.

Un pannello informativo della mostra ricorda che l’operazione di pulizia etnica si intensifica a partire dal 16 maggio 1948 – cioè all’indomani della scadenza del mandato britannico sulla Palestina – e continua per quasi due decenni. La fase più intensa della Nakba dura fino al 1950 ed è caratterizzata anche da attacchi in diversi centri urbani; il mercato dei contadini a Haifa e un quartiere residenziale a Giaffa vengono demoliti. In A People by the Sea, la Nakba è raccontata soprattutto tramite una serie di video in cui si vedono o demolizioni di case e interi villaggi (ne furono distrutti 418 di cui 70 lungo la fascia costiera), o le testimonianze dirette di diversi sopravvissuti ai massacri. Su un pannello ci sono anche alcune lettere scritte da pescatori espulsi.

Nella mostra è inoltre esposta l’opera pittorica, The Dove, creata nel 1993 da Nasser Soumi (n. 1948), ispirandosi alla storia di un marinaio di Giaffa, divenuto profugo e morto di crepacuore a Tiro, in Libano, negli anni ’50, dopo che i militari israeliani gli avevano impedito di realizzare il desiderio di rivedere la sua città, chiamata dai marinai “La Colomba”, perché così sembrava da lontano a largo della costa durante il viaggio di ritorno per raggiungerla. Mentre cercava di arrivarci in barca, quei soldati lo avevano arrestato, lui aveva spiegato loro tutto ciò. E loro, per tutta risposta, lo avevano rinchiuso a bordo della sua stessa barca, per non dargli la possibilità di scorgere neppure da lontano la sua città, e tenuto lì senza provviste per un paio di giorni, prima di rispedirlo indietro. Giaffa era famosa per l’estrazione dell’indaco, colore scelto dall’artista per riprodurre sulla tela l’immagine del mare, sfondo su cui ha applicato conchigline gialle e pezzetti di buccia d’arancia essiccata, componendo di fatto un collage con al centro una piccola scultura che simboleggia Baal, dio cananeo della fertilità.

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A People by the Sea racconta una realtà storicamente documentata e quindi parla da sé. Il problema è che viene continuamente oscurata da un’incessante campagna dilagante di disinformazione, tutta eurocentrica; stesso eurocentrismo che caratterizza le narrazioni più diffuse riguardanti il colonialismo europeo e il conflitto mediorientale in genere. Questa iniziativa del Museo Palestinese infatti chiama direttamente in causa l’Europa e denuncia soprattutto il modus operandi del regime mandatario britannico in Palestina. Il significato vero e completo della Nakba – che continua tuttora – va conosciuto e riconosciuto, perché il non riconoscimento è una licenza a uccidere concessa all’occupazione militare israeliana.

A People by the Sea veicola un messaggio politico molto chiaro. La mostra, accompagnata da seminari, conferenze e altri momenti di incontro, serve a riesaminare la Nakba alla luce della narrazione storica presentata. I due secoli di storia della Palestina, che vengono narrati, corrispondono all’arco temporale 1748-1948: la prima data indica appunto la nascita dell’era di autogoverno di Daher al-Omar, seguita da un continuum di altre esperienze in cui la società palestinese, pur non avendo un proprio Stato indipendente, ha sempre messo in campo la propria vitalità e capacità di gestirsi; quindi, quel passato è la testimonianza di una ferma volontà di autodeterminazione. Questo è il sunto di quanto si legge nella pagina web dedicata alla mostra, un progetto culturale che, però, sembra finalizzato anche ad affrontare un’emergenza parallela, anzi quella più urgente sotto ogni aspetto. La gioventù palestinese ha bisogno di essere sostenuta psicologicamente tramite un messaggio di speranza, proprio perché non cada nella disperazione. In Palestina, i giovani e specialmente i minori sono le vittime principali delle azioni oppressive e omicide commesse dai militari israeliani e da coloni sionisti. Questa violazione quotidiana della Convenzione IV di Ginevra (12/08/1949) è la continuazione della Nakba che va fermata subito. L’Europa dovrebbe finalmente assumersene tutte le responsabilità e agire per mettere fine a un conflitto che ha causato, che poteva e doveva essere evitato.

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*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Oltre a Warda ha tradotto diverse altre opere letterarie, tra cui la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad e il romanzo Memorie di una gallina (Istituto per l’Oriente “C.A. Nallino”, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī.