di Michele Giorgio –

Pagine esteri, 3 ottobre 2022 – Scaduta ieri la tregua e rifiutata la proposta aggiornata dell’Onu presentata alle parti belligeranti per una sua proroga, lo Yemen rischia di precipitare di nuovo in un conflitto aperto tra i ribelli sciiti Houthi (Ansrallah), sostenuti dall’Iran, e le forze governative o meglio la Coalizione a guida saudita intervenuta in Yemen nel 2015 e responsabile di pesanti bombardamenti aerei che hanno causato migliaia di vittime. L’esecutivo dei ribelli che controllano la capitale Sanaa, ha giustificato la mancata estensione del cessate il fuoco con il “vicolo cieco” in cui erano entrate le trattative provocato, afferma, dalla riluttanza di Riyadh e dei suoi alleati a revocare il blocco sul paese e alleviare la grave crisi umanitaria. “Durante i sei mesi della tregua, non abbiamo visto alcuna serietà nell’affrontare il fascicolo umanitario come una priorità urgente” aveva avvertito il 1° ottobre un rappresentante del team negoziale degli Houthi lasciando presagire la fine dell’intesa che nei mesi scorsi aveva permesso, almeno in parte, di affrontare la crisi umanitaria che colpisce milioni di yemeniti. Secondo i ribelli nelle 24 ore precedenti la scadenza della tregua, la Coalizione ha commesso 122 violazioni dell’accordo con attacchi aerei su Marib, Al-Jawf, Hajjah, Saada e altre aree.

A nulla è servito l’appello lanciato il 30 settembre dall’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen Hans Grundberg per il prolungamento della tregua affinché il paese eviti di “scivolare di nuovo in guerra”. Grundberg si è detto rammaricato per il mancato accordo tra le parti e ha esortato il governo riconosciuto a livello internazionale e le milizie Houthi a “mantenere la calma” e ad astenersi da azioni provocatorie che potrebbero innescare un’escalation. Analoghe preoccupazioni sono state espresse dalle altre agenzie dell’Onu e internazionali che operano nel paese per alleviare una crisi umanitaria di proporzioni eccezionali. Nei mesi scorsi l’Onu aveva chiesto per lo Yemen donazioni internazionali paragonabili per entità solo quelle necessarie per assistere la popolazione afghana.

Tutto lascia immaginare una ripresa piena del conflitto che ha fatto molte decine di migliaia di morti e gettato nella fame e nelle malattie milioni di yemeniti. I ribelli in questi ultimi mesi hanno più volte denunciato quello che definiscono il “furto” delle risorse petrolifere nazionali da parte dell’Arabia saudita che, aggiungono, ammontano a circa un miliardo di dollari. Riyadh e i suoi alleati invece affermano di aiutare il governo yemenita riconosciuto ad esportare il greggio e ad impedire che a farlo siano i ribelli. Il capo del Consiglio politico supremo Houthi, Mahdi al-Mashat, ha lanciato un monito alle compagnie petrolifere internazionali operanti nel paese, invitandole a “smetterla di saccheggiare la ricchezza sovrana dello Yemen”. O, ha minacciato, “dovranno assumersi la piena responsabilità delle loro decisioni”. Si tratta del secondo avvertimento nel giro di poche ore. Il 1° ottobre il leader Houthi, Abdel Malik al Houthi, aveva sollecitato la revoca immediata del blocco dello Yemen attuato dall’Arabia saudita (e gli Usa). E qualche ora fa il portavoce militare degli Houthi, Yahya Sarea, ha rincarato la dose affermando che “fino a quando i Paesi aggressori, Usa e Arabia saudita, non si impegneranno in una tregua che dia al popolo yemenita il diritto di sfruttare la propria ricchezza petrolifera” le forze di Ansrallah “saranno in grado di privare sauditi ed emiratini delle loro risorse”. Un riferimento palese a prossimi attacchi di droni e al lancio di missili verso il territorio saudita e quello degli Emirati. Pagine Esteri