di Eliana Riva – 

(nella foto donne che manifestano a Kabul dopo l’attentato del 30 settembre)

Pagine Esteri, 5 ottobre 2022 – Donne, studentesse, giovani, hazare. Le vittime dell’attentato che il 30 settembre in Afghanistan ha ucciso 53 persone sono quasi tutte ragazze tra i 18 e i 24 anni. Nell’istituto scolastico colpito, a Kabul, studiavano all’incirca 400 tra maschi e femmine, accuratamente separati in sezioni con aule e ingressi divisi. L’attentatore è entrato nella sezione femminile, dove si stava svolgendo una simulazione dell’esame di ammissione all’università e lì ha fatto strage.

Da quando sono ritornati al potere, i Talebani hanno vietato alle ragazze di frequentare la scuola secondaria dopo il sesto anno, hanno obbligato le donne ad utilizzare il velo, interdetto lo svolgimento da parte loro di molti lavori del settore pubblico e fatto divieto di percorrere più di 70 chilometri senza l’accompagnamento di un parente maschio.

Ma le università, seppur divise per sessi, possono ancora essere frequentate dalle donne. Non tutte. Non le facoltà ritenute dal governo tipicamente maschili, come ingegneria, agraria ed altre. Era questo, frequentare l’università, il sogno e la speranza delle giovani studentesse uccise nell’attentato.

Sono seguite proteste in varie città dell’Afghanistan, di donne soprattutto, con qualche uomo al loro fianco.

I Talebani hanno dimostrato di odiare in maniera particolare le manifestazioni guidate e composte per la maggior parte da donne: hanno tentato di impedire la partecipazione ai cortei sbarrando le uscite delle università (come la Balkh University a Mazar-i-Sharif) e chiudendo i giovani nei propri dormitori. Numerosi video pubblicati sui social riprendono ragazze nel tentativo di abbattere porte o di uscire dalle finestre.

Ma non basta questo a spiegare la limitata partecipazione ai cortei, ben lontani da rappresentare quella immensa fiumana necessaria per operare una pressione che sia percettibile al governo talebano. La cui risposta è stata come sempre molto dura: le autorità giustificano gli spari in aria, le violenze e la repressione con ragioni di ordine pubblico e di sicurezza. Le manifestanti sono regolarmente aggredite e sempre più spesso le forze armate distruggono dispositivi elettronici e smarphone, unica camera e unico microfono in grado di documentare. Nulla, però, in confronto alla repressione in Iran, dove le autorità hanno fatto uso di armi da guerra per disperdere le folle, sono state uccise almeno 154 persone e arrestate a centinaia. Tutto questo ha indebolito le proteste ma non è riuscito a spegnerle: stanno nascendo in questi giorni a Teheran ma non solo nuove forme di protesta, cortei improvvisati di automobili, canzoni di rabbia dalle finestre dei quartieri.

Donne Afghane in protesta il 13 agosto 2022

La posizione ufficiale dei Talebani è che le manifestazioni tenutesi nelle diverse città dell’Afghanistan non sono state correttamente comunicate alle autorità preposte. La realtà è che gli spazi in cui i talebani consentirebbero lo svolgersi di tali manifestazioni sono lontani dai centri delle città, piccoli e isolati. Senza contare che anche le manifestazioni tenutesi con regolare comunicazione sono state attaccate dalle forze di sicurezza governative.

Il 13 agosto 2022 decine di donne erano scese in strada per chiedere diritti. Urlavano “Pane, lavoro e libertà!”. L’attacco ai Talebani e alle loro leggi liberticide era chiaro e diretto: sui cartelli che stringevano tra le mani, il 15 agosto, giorno del ritorno dei Talebani a Kabul, era definito un “giorno buio”. Il tentativo di trasformare quella protesta in un movimento strutturato e crescente era l’obiettivo dichiarato delle manifestanti. Fino ad oggi non pareva potesse essere raggiunto ma le proteste in Iran potrebbero cambiare il quadro.

Ciò che sta accadendo a Teheran e in altre città, la ribellione successiva all’uccisione di Mahsa Amini, ha innescato una importante scintilla, che ha riportato nelle piazze dopo i cortei di agosto alcune decine, forse un centinaio di donne, prima ancora dell’attentato terroristico. Lo scorso 29 settembre sono arrivate a manifestare sotto l’ambasciata iraniana a Kabul, in solidarietà con le dimostranti iraniane, prima di essere disperse dai talebani.

Le proteste degli ultimi giorni chiedono sicurezza per la comunità Hazara, sciita, obiettivo di attacchi e attentati ad opera dell’Islamic State Khorasan, conosciuto come gruppo ISIS-K, sunnita. Ma domandano anche la riapertura delle scuole femminili chiuse dai talebani e il ripristino dell’accesso ai settori dell’istruzione e a tutti i campi lavorativi.

Purtroppo, però, l’attentato potrebbe in parte aver raggiunto il suo scopo: molte famiglie decideranno, per paura, di impedire alle proprie figlie di sostenere l’esame di accesso universitario, obbligandole così a terminare di colpo il percorso di studi.