di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 4 novembre 2022 – L’invasione russa dell’Ucraina ha rinfocolato il conflitto tra le diverse potenze impegnate nel continente africano. Di fatto l’Africa è diventata la principale arena della competizione tra le diverse potenze e le rispettive multinazionali alla ricerca di risorse, sbocchi economici, corridoi, alleanze politiche, militari e commerciali.

L’Africa, un’arena sempre più affollata
Negli ultimi anni il numero di paesi in gara per il controllo delle risorse e dei territori africani è costantemente cresciuto. Alle tradizionali potenze coloniali – in particolare Francia e Gran Bretagna – rimaste a spadroneggiare nonostante la conquista dell’indipendenza formale da parte dei paesi africani a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, si sono uniti ben presto gli Stati Uniti, interessati a condizionare i nuovi governi contro l’influenza dell’Unione Sovietica sulle correnti nazionaliste e progressiste e a perseguire i propri interessi economici e geopolitici.
Dopo il crollo dell’Urss, l’Africa si è gradualmente affollata di nuovi attori, protagonisti di una spoliazione del continente più o meno vorace, man mano che le potenze coloniali originarie perdevano posizioni. La Cina, la Russia e la Turchia sono entrate prepotentemente nell’agone, approfittando del rinnovato risentimento delle popolazioni africane e di alcuni governi nei confronti del dominio neocoloniale e perseguendo strategie di penetrazione di diverso tipo. Mentre Pechino consolida la sua egemonia economica, basata sulla realizzazione di grandi infrastrutture, Mosca forza le tappe offrendo assistenza militare e armi a governi e aziende alle prese con l’insorgenza islamista o semplicemente con i movimenti di opposizione. Da parte sua il sultano Erdogan si propone come partner alla pari in nome delle comune osservanza musulmana e di una presunta fratellanza terzomondista.

Ma se si guarda soprattutto il fronte degli investimenti e dei partenariati, risalta la crescente presenza nell’agone africano di molti altri paesi: dall’India al Giappone, dall’Indonesia alla Corea del Sud per quanto riguarda l’Asia, a praticamente tutti i paesi arabi – in particolare Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar – fino al Canada e all’Australia.

La Cina consolida il suo primato
Al di là dei casi specifici, in questo enorme risiko economico, geopolitico e militare, si possono individuare alcune tendenze generali.
Innanzitutto si può osservare il consolidamento dell’influenza cinese e di quella turca. Pechino continua a proporsi come partner economico a tutto campo, soffrendo l’accelerazione militare impressa alla competizione globale dal conflitto ucraino. Ma i cinesi perseguono anche la realizzazione di alcune basi militari nel continente, dopo quella già aperta a Gibuti; le indiscrezioni affermano che Pechino starebbe caldeggiando l’apertura di un proprio avamposto militare in Guinea Bissau o in Tanzania. Nel frattempo, sul fronte del commercio bilaterale con l’Africa, Pechino ha distanziato notevolmente i propri competitori, segnando nel 2021 un +35% rispetto all’anno precedente e raggiungendo i 254 miliardi di dollari di scambi. Un record che ha avvantaggiato notevolmente anche le esportazioni africane a Pechino, arrivate a 106 miliardi di dollari e cresciute in un anno addirittura del 44%. Nel frattempo, però, l’indebitamente africano nei confronti delle banche cinesi cresce a ritmo doppio rispetto a quello nei confronti di Usa, Francia, Germania e Giappone.

Anthony Blinken in visita in Sud Africa

Europa e Stati Uniti in difficoltà. Washington rilancia
Per quanto riguarda le tendenze generali, è evidente la diminuzione netta della presenza europea nel continente, accelerata dal rapido arretramento del controllo francese sull’Africa centro-occidentale, con il sempre più consistente rischio che il tradizionale impero coloniale di Parigi – la Françafrique – si sfaldi. Anche la scelta di Londra, accentuata dopo la fuoriuscita del paese dall’Unione Europea, di investire fortemente sul Commonwealth per rinsaldare i legami con le ex colonie sparse nel mondo, non sembra stia dando particolari frutti nello scenario africano.

È altrettanto evidente anche la diminuzione della presa statunitense nell’area; basti considerare i flussi commerciali tra Washington e l’Africa che nel 2008 ammontavano a 142 miliardi di dollari e nel 2021 sono scesi a soli 64 miliardi. Dopo anni di scarso interesse e di quasi nullo attivismo, nel novembre del 2021 e poi nell’agosto scorso Joe Biden ha inviato in Africa il segretario di Stato Anthony Blinken, che ha visitato Ruanda, Repubblica Democratica del Congo e Sudafrica offrendo ai propri interlocutori “democrazia, investimenti, sicurezza ed energia pulita”.

Nel tentativo di rendere più appetibile un rinnovato ruolo di Washington nel continente, Blinken ha precisato che «l’Africa non è l’ultimo campo di gioco in una competizione tra grandi potenze. (…) Non è così che porteremo avanti il nostro impegno qui. Il nostro impegno per un partenariato più forte con l’Africa non consiste nel cercare di superare tutti gli altri. Quello che cerchiamo più di tutto è un vero partenariato tra gli Stati Uniti e l’Africa. Non vogliamo una relazione squilibrata o transazionale».
Però poi, nel tentativo di frenare il proprio declino, l’amministrazione Biden sta cercando di blindare i propri interessi nel continente attraverso una serie di provvedimenti legislativi, al vaglio del Congresso, che mirano a contratare la “maligna” influenza russa e cinese e a punire i paesi africani che si sono rifiutati di condannare l’aggressione di Mosca a Kiev per non danneggiare le crescenti relazioni militari ed economiche con il regime di Putin. Proprio ieri, la Casa Bianca ha deciso di escludere il Burkina Faso dall’accordo di cooperazione e sostegno economico denominato “African Growth and Opportunity Act” (Agoa), che facilita le esportazioni negli Stati Uniti di merci prodotte in Africa, lamentando la mancata attuazione di progressi democratici da parte delle giunte militari salite al potere dopo i due colpi di Stato verificatisi quest’anno.

La Russia allunga il passo
Non è un caso che un altro dei paesi recentemente esclusi dal programma, il Mali, sia tra quelli che più si sono avvicinati a Mosca, che da parte sua ha appena annunciato l’invio nel paese di 100 milioni di dollari in carburante, fertilizzanti e generi alimentari. Nello specifico l’accordo, annunciato ieri dal Ministro dell’Economia maliano Alousséni Sanou, prevede che la Russia fornisca a Bamako 60 mila tonnellate di idrocarburi, 25 mila tonnellate di grano e 35 mila tonnellate di fertilizzanti.
La Russia è indubbiamente la potenza che più si è avvantaggiata nello scacchiere africano, alla ricerca di nuove sponde per ovviare alle sanzioni e al tentativo di isolamento internazionale da parte del blocco che fa capo a Washington e Bruxelles.
Dopo la rottura delle relazioni tra Bamako e Parigi, che ha portato alla fine dell’operazione militare Barkhane e dello schieramento nel paese della task force Takuba – entrambe a guida francese – Mosca ha fornito equipaggiamento militare al nuovo regime e schierato nel paese i mercenari della compagnia di sicurezza privata Wagner e propri consiglieri militari per far fronte all’insorgenza jihadista.
In generale, i colpi di stato realizzati in Africa nell’ultimo anno (Burkina Faso, Ciad, Guinea, Mali e Sudan) hanno favorito soprattutto la penetrazione russa, sostenuta spesso da frazioni consistenti delle classi dirigenti locali e da parte della popolazione che la considerano una valida alternativa tanto al classico neocolonialismo statunitense ed europeo quanto alla sempre più invadente presenza economica cinese. Nelle manifestazioni antigovernative dei mesi scorsi, soprattutto in Mali e in Burkina Faso, si sono viste spesso sventolare le bandiere russe e bruciare quelle francesi. Dopo aver piantato la propria bandiera nella Repubblica Centrafricana estromettendo Parigi, Mosca ha anche segnato non pochi punti portando a casa un importante accordo militare firmato il 12 aprile con il governo del Camerun, altro paese tradizionalmente influenzato dalla Francia.

Manifestazione filo-russa a Bamako

Uno scontro di interessi mascherato da conflitto ideologico
In generale molti governi, piuttosto che scegliere un unico sponsor, cercano di giocare di sponda tra due o più interlocutori internazionali in competizione, per ottenere qualche vantaggio economico o militare, in attesa di capire se lo scontro globale tra potenze produrrà duno o più vincitori duraturi.

Mosca continua comunque a conquistare posizioni grazie ad una certa fascinazione di molti regimi africani per il modello di potere autoritario di Mosca, per l’assistenza militare e la vendita di armi che permette loro di restare in sella o di conquistare il potere, e infine per la dipendenza della maggior parte del continente dal grano russo e ucraino.

Paradossalmente, non solo le potenze orientali che si sono affacciate più recentemente sul suolo africano, imbracciano abilmente l’argomento dell’antimperialismo e dell’anticolonialismo per perorare e legittimare i propri interessi, ma anche le tradizionali potenze coloniali occidentali hanno cominciato ad utilizzare categorie simili per denunciare i successi delle potenze concorrenti. Mentre in una recente visita in Etiopia il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha promesso al continente di aiutarlo a portare a termine il processo di decolonizzazione, gli inviati europei e statunitensi accusano Mosca e Pechino di “imperialismo”. I tempi della inconciliabile contrapposizione ideologica tra il blocco capitalista e quello sovietico sono ormai lontani, ma le potenze in competizione per l’accaparramento delle risorse africane sembrano comunque inclini ad ammantare le proprie mire di una dimensione ideale e valoriale di dubbia consistenza. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

LINK E APPROFONDIMENTI:

https://www.middleeastmonitor.com/20221015-the-other-russia-west-war-why-some-african-countries-are-abandoning-paris-and-joining-moscow/

https://www.agi.it/estero/news/2022-08-08/africa-blinken-vogliamo-vero-partenariato-17698064/

https://www.agi.it/estero/news/2022-08-11/blinken-africa-strategia-usa-chiave-anti-mosca-17728028/

https://www.limesonline.com/cartaceo/la-cina-punta-sullafrica-gialla

https://www.rfi.fr/fr/afrique/20221103-les-%C3%A9tats-unis-vont-exclure-le-burkina-faso-de-l-accord-commercial-agoa

https://www.africanews.com/2022/04/21/cameroon-signs-russian-military-deal/

https://www.congress.gov/bill/117th-congress/house-bill/7311/text