di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 9 novembre 2022 – Una vita soppressa ogni due giorni, tre a settimana, più di centocinquanta ogni anno. Le cifre fornite dal rapporto dell’ong Global Witness parlano di un’enorme, infinita strage.
Dal 2012 al 2021 l’organizzazione riporta la morte, in tutto il pianeta, di ben 1733 attivisti assassinati a causa del loro impegno nella difesa dei loro territori e delle loro comunità. I dati sugli omicidi, avverte la stessa organizzazione non governativa, rappresentano solo la punta dell’iceberg e sono sicuramente sottostimati; molti casi non vengono denunciati perché si verificano in territori dove esistono conflitti armati o restrizioni alla libertà di stampa, o a causa della complicità con le aggressioni da parte delle autorità locali quando non dei governi centrali.
«Questi numeri – scrive Vandana Shiva nell’introduzione al rapporto presentato alla fine di settembre – non diventano reali finché non si sentono alcuni dei nomi di coloro che sono morti. Marcelo Chaves Ferreira, Sidnei Floriano Da Silva, José Santos Lopez. Ognuno di loro era una persona amata dalla propria famiglia, dalla propria comunità. Jair Adán Roldán Morales, Efrén España, Eric Kibanja Bashekere. Ognuno di loro è stato considerato sacrificabile per motivi di lucro. Regilson Choc Cac, Orsa Bhima, Angelo Riva. Ognuno è stato ucciso difendendo non solo i propri luoghi preziosi, ma la salute del pianeta che tutti condividiamo».

Le vittime sono giornalisti, sindacalisti, attivisti sociali o ambientali, esponenti politici, membri delle comunità indigene, contadini, guardiaparchi. Tutti uccisi dai sicari di imprese – spesso multinazionali – voraci e senza scrupoli, oppure da coloni che per sopravvivere distruggono foreste, montagne, fiumi e laghi e tolgono di mezzo chi li difende, oppure ancora da contrabbandieri, membri di bande paramilitari o narcos. Spesso, poi, gli assassini sono agenti di polizia, militari o comunque emissari dei governi locali o nazionali.

Le vittime del 2021 per paese

Il 2021, uno degli anni peggiori
Tra quelli esaminati da Global Witness il 2021 è stato uno degli anni peggiori, con circa 200 morti, una media di quattro ogni settimana. Un decimo delle vittime sono donne, per lo più indigene.
A guidare la triste classifica è stato il Messico, con ben 54 vittime; dietro ci sono la Colombia con 33 e il Brasile con 26 omicidi; seguono le Filippine con 19, il Nicaragua con 15, l’India con 14, l’Hunduras e il Congo con 8.
Circa 50 delle persone uccise nel 2021 erano piccoli agricoltori, travolti dall’invadenza e dalla voracità dell’agricoltura industriale, il cosiddetto agrobusiness. Ogni anno le grandi piantagioni orientate che producono prodotti destinati all’esportazione o all’industria assorbono migliaia di chilometri quadrati di terre, spazzando via i piccoli appezzamenti a gestione familiare o comunitaria.
Un numero equivalente di vittime, spiegano gli autori del rapporto, è legato alle attività di imprese impegnate nello sfruttamento delle risorse naturali – dalla deforestazione all’estrazione di minerali, gas e petrolio – oppure nella realizzazione di dighe e infrastrutture di vario genere.

Un decennio di sangue
Come già appare evidente dai numeri del 2021, la maggior parte degli omicidi di difensori dell’ecosistema si concentra in America Latina, quasi il 70% del totale. Il 39% delle persone assassinate appartenevano alle comunità indigene (che pure rappresentano meno del 5% della popolazione mondiale).
A guidare la “lista nera” degli ultimi dieci anni è il Brasile con 342 omicidi, seguito dalla Colombia con 322 vittime, dal Messico con 154 morti, dall’Honduras con 117, dal Guatemala con 80, dal Nicaragua con 57 e dal Perù con 51.
Le Filippine sono il paese asiatico che ha registrato più omicidi, ben 270, seguite dall’India con 79 vittime. In Africa, invece, il paese più pericoloso per i difensori dell’ambiente è di gran lunga la Repubblica Democratica del Congo con 70 morti – la maggior parte degli omicidi sono avvenuti nel Parco Nazionale di Virunga – seguita dal Kenya con 6.

YULI VELAZQUEZ, RAPPRESENTANTE LEGALE DELL’ORGANIZZAZIONE AMBIENTALE FEDEPESAN GUARDA LE FOTO DEI DIFENSORI ASSASSINATI, BARRANCABERMEJA, COLOMBIA. NEGRITA FILMS/GLOBAL WITNESS

Brasile, Colombia e Messico: il trangolo della morte
Più della metà degli omicidi di difensori della terra del 2021 si concentra in soli tre paesi: Brasile, Colombia e Messico.

Per il terzo anno consecutivo, Global Witness ha documentato un aumento degli attacchi letali in Messico; delle 54 vittime del 2021, la metà circa erano membri di popoli indigeni.
Due terzi degli omicidi sono avvenuti negli stati di Oaxaca e Sonora, presi di mira da imponenti progetti di sfruttamento minerario. Tra le più colpite ci sono le popolazioni Yaqui che abitano i territori meridionali del Sonora, aggredite anche dai cartelli della droga oltre che dalle imprese minerarie. Tra le vittime messicane spicca Irma Galindo Barrios, scomparsa nell’ottobre del 2021 dopo anni di minacce e campagne di diffamazione subite a causa delle sue attività in difesa delle foreste.

In Brasile l’era del presidente di estrema destra Bolsonaro ha portato ad un aumento della violenza contro i difensori dell’ambiente e in particolare contro i protettori dell’Amazzonia. «Da quando Bolsonaro è salito al potere ha incoraggiato il disboscamento e l’estrazione illegale, annullato la protezione dei diritti sulla terra degli indigeni, attaccato i gruppi di conservazione e smantellato e tagliato i budget e le risorse delle foreste e delle agenzie di protezione degli indigeni. Ciò ha portato bande criminali a invadere impunemente le aree indigene e protette» scrive Global Witness.
Nel gennaio dell’anno scorso Fernando Araujo, un membro del Movimento Sem Terra, è stato assassinato nella sua fattoria a Pau d’Arco, nello stato del Pará. Nel 2017 il contadino aveva assistito all’assalto della polizia contro la comunità di Santa Lúcia, che si saldò con la morte di dieci lavoratori rurali, ed aveva avuto un ruolo chiave nel successivo procedimento giudiziario, che però finora non ha prodotto nessuna condanna.
A febbraio, invece, un agente della polizia militare brasiliana ha ucciso Isaac Tembé, uno dei leader del popolo Tenetehara; secondo gli indigeni, il corpo di sicurezza militare funge da milizia privata al soldo degli agricoltori e degli allevatori che occupano illegalmente vaste aree del loro territorio, aprendo la strada alle grandi compagnie.
Nel giugno scorso, poi, sono stati assassinati l’indigenista Bruno Pereira e il giornalista Dom Phillips. Dopo l’ascesa al potere di Jair Bolsonaro, Pereira era stato rimosso dalla guida della Fondazione Nazionale dei Popoli Indigeni del Brasile (la Funai), “reo” di aver diretto una megaoperazione contro una delle più grandi miniere illegali del paese.

Anche in Colombia il 2021 è stato un anno drammatico, nonostante il quinto anniversario dell’accordo di pace tra il governo e le Farc. La maggior parte degli attacchi mortali hanno preso di mira attivisti, membri delle comunità indigene, contadini e leader delle comunità locali che si oppongono ai narcos e alle milizie delle grandi compagnie. La rete della società civile colombiana denominata “Programa Somos Defensores”, che documenta e denuncia gli attacchi contro i protettori dell’ambiente e delle comunità, ha ripetutamente condannato l’inerzia quando non la complicità dello Stato e in particolare della magistratura.

MANIFESTANTI INDIANI PROTESTANO A CHENNAI CONTRO IL MASSACRO DI THOOTHUKUDI

Il massacro di Thoothukudi
Anche in India, come altrove, i difensori dell’ambiente sono vittime delle istituzioni e dei corpi repressivi dello stato.
L’episodio più tragico risale al 22 maggio del 2018 quando la polizia ha attaccato violentemente una manifestazione a Thoothukudi, nello stato meridionale indiano del Tamil Nadu, uccidendo 11 persone e ferendone altre 100 che protestavano contro un impianto di produzione di rame, lo Sterlite Copper, di proprietà della multinazionale “Vedanta Limited”. Gli abitanti delle comunità circostanti si opponevano al raddoppio dell’impianto, accusato di contaminare l’aria e l’acqua. Numerosi testimoni hanno riferito che i cecchini della polizia sparavano contro i manifestanti pacifici e nei giorni seguenti altre quattro persone furono uccise. Per avere la meglio sulle proteste popolari le autorità statali imposero lo stato d’emergenza e bloccarono internet a Thoothukudi per alcuni giorni. A quattro anni dalla strage nessuno dei colpevoli è stato condannato, e molti promotori della protesta hanno dovuto sopportare arresti e minacce di vario tipo.

In dieci anni pochi progressi
Negli ultimi anni, anche grazie al lavoro di ong come Global Witness e delle organizzazioni locali, si è registrato in alcuni paesi un lieve miglioramento della situazione. Ma in generale la situazione non è cambiata molto. Più si intensifica la crisi climatica, più aumenta lo scontro tra multinazionali e stati per il controllo della terra e delle risorse, e più gli attivisti e le comunità che difendono i territori e gli ecosistemi sono considerati un ostacolo da rimuovere a qualsiasi costo.
La corruzione e la connivenza tra gli interessi imprenditoriali, quelli delle bande criminali e quelli delle leadership politiche concedono agli assassini e ai loro mandanti una generalizzata impunità. I governi non si dimostrano certo zelanti al momento di individuare e condannare i colpevoli degli eccidi e degli omicidi. Il dato del Messico è eclatante: oltre il 94% delle aggressioni contro i difensori dell’ambiente e dei territori non vengono denunciate, e solo lo 0,9% del totale conduce ad una condanna. In America Latina, lo scorso anno, è entrato finalmente in vigore l’Accordo di Escazù, che impegna i governi a proteggere i difensori dell’ambiente e a favorirne l’iniziativa, ma finora gli effetti pratici della pur lodevole iniziativa sono stati poco rilevanti. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

LINK E APPROFONDIMENTI:

https://www.globalwitness.org/en/

https://www.globalwitness.org/en/campaigns/environmental-activists/decade-defiance/

https://www.cambio16.com/1-733-activistas-ambientales-han-sido-asesinados-en-la-ultima-decada/

https://ojo-publico.com/3516/defensores-ambientales-el-duelo-eterno-de-sus-deudos

https://www.nytimes.com/es/2022/09/29/espanol/mexico-ambientalistas-global-witness.html