di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 14 novembre 2022Senza precedenti – Continua a diffondersi l’epidemia di colera che alcuni mesi fa si è abbattuta sulla Siria e sul Libano. Soprattutto bambini tra le vittime, i più esposti al rischio di disidratazione acuta con la quale questa malattia può anche uccidere. “Nel 2022, le persone non dovrebbero morire di colera”, ha dichiarato Philippe Barboza, leader della commissione per l’emergenza colera dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), “Non c’è bisogno di un respiratore né di niente di complicato (per curarlo, ndr), ma la gente sta morendo semplicemente perché non ha accesso al sistema sanitario. E non è accettabile”.

Il colera è una malattia infettiva determinata dal batterio vibrio cholerae. L’infezione avviene attraverso l’ingestione di acque o cibi contaminati e può essere asintomatica, paucisintomatica o provocare una diarrea acquosa severa che alterando l’equilibrio idroelettrico dell’organismo può rivelarsi letale, se non trattata con un’adeguata reidratazione.

Nel mondo, colpisce tra 1.3 e 4 milioni di persone ogni anno, provocando tra le 21.000 e le 143.000 morti. La sua mortalità, a causa della crisi economica che si ripercuote sul diritto alla salute, è vertiginosamente aumentata. Secondo l’OMS, il tasso di fatalità dell’ultimo anno è tre volte superiore a quello dei cinque anni precedenti.

La malattia è al giorno d’oggi uno stigma dei Paesi poveri del mondo, perché la sua diffusione dipende da sistemi di depurazione delle acque inadeguati e da uno scarso accesso all’acqua potabile e a cure mediche di base.

Per questo, anche la Siria prima e successivamente anche il Libano sono sprofondati nell’incubo del colera, mentre i riflettori del mondo sono concentrati su altri scenari. Esordita a fine agosto, l’epidemia si è spostata in poco tempo attraverso il confine siriano fino a Beirut. Il vibrione isolato nei laboratori libanesi, infatti, sarebbe simile al patogeno circolante nella vicina Siria, secondo quanto dichiarato dall’OMS.

L’epidemia nata dall’Eufrate – In Siria, secondo il rapporto mensile sul colera pubblicato il 7 novembre scorso dall’OCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, tra il 25 agosto e il 29 ottobre sono stati registrati 30.219 casi di colera e 85 morti. I governatorati più colpiti Deir-ez-Zor, Ar-Raqqa, Aleppo e Al-Hasakeh. Si tratta della più grande epidemia di colera nel Paese dal 2009 a oggi. Anni di guerra e povertà che hanno distrutto infrastrutture e oltre due terzi degli impianti idrici alla base del contagio, probabilmente partito dalle acque del fiume Eufrate contaminate dalle fognature.

Diverse ONG continuano a cercare di frenare la diffusione della pandemia, in un Paese che è, però, in ginocchio. L’OMS ha dichiarato di aver supportato la formazione di personale sanitario locale nella gestione del colera, con 11 corsi per 275 professionisti sulla diagnosi, il trattamento e il riconoscimento dei sintomi e segni di allarme. 51 ospedali sono stati destinati esclusivamente alla gestione di casi di colera, come altri 96 centri di salute primaria ai servizi di reidratazione orale, la prima linea terapeutica per i pazienti con forme non severe e ancora in grado di reidratarsi per bocca.

Oltre alla gestione prettamente medica della malattia, sono stati stanziati fondi per favorire l’accesso ad acqua potabile, attraverso la distribuzione di ipoclorito di sodio per bonificare le falde acquifere in diversi governatorati, e distribuite nelle scuole, da parte dell’UNICEF (il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia), saponette e kit igienici. Si parla, tuttavia, di poche centinaia di posti letto negli ospedali o di kit di pulizia che da soli non saranno sufficienti ad arrestare un’epidemia che si moltiplica nella povertà dei Siriani, lasciati nella miseria da anni di guerra e ancora minacciati dal conflitto armato che vede le nuove unità di Al Qaeda tra i suoi principali attori.

Fino al Libano – Non è troppo diversa la situazione in Libano. Fino a pochi anni fa la perla del Medio Oriente, meta turistica da sogno con i suoi grattacieli e negozi sulle rive bianche di Beirut, anche il Paese dei cedri si trova in questi mesi a fronteggiare le piaghe della povertà, compreso lo stigma del colera, che marchia i Paesi non sviluppati o quelli colpiti dalle sanzioni economiche internazionali, come era successo all’Iraq di Saddam Hussein qualche decennio fa.

Non succedeva da decenni che il Libano si trovasse a fronteggiare una situazione simile. Dal 5 ottobre scorso, l’OMS ha registrato 1.225 casi confermati e 17 morti per colera (stime relative al 28 ottobre). Circa la metà dei colpiti sono bambini, in buona parte sotto i cinque anni di età. I distretti più colpiti sono al momento quelli di  Akkar, Minnieh-Dinnieh, Baalbek, Zahle e Keserwan.

Una catastrofe annunciata da oltre tre anni di crisi economica causata da una corruzione non più sostenibile dalle casse dello Stato, disinvestimenti internazionali e sanzioni. A farne le spese come sempre la società civile, un tempo tra le più rigogliose in Medio Oriente, oggi costretta a contare i propri figli morti di gastroenterite. Tra i più fragili, i rifugiati siriani, oltre un milione nel Paese, che vivono nei campi profughi, facili serbatoi per il contagio.

In Libano scarseggia ormai l’acqua potabile, come anche l’energia elettrica. Interruzioni frequenti e prolungate di corrente hanno interrotto a loro volta il pompaggio dell’acqua e l’attività delle reti fognarie. Secondo quanto dichiarato da Ettie Higgins, rappresentante dell’UNICEF in Libano, all’Associated Press, “Abbiamo assistito purtroppo a un profondo crollo degli investimenti nei sistemi idrici e fognari nel Paese per un gran numero di anni. Si sono deteriorati al punto (…) che in molti casi non funzionano affatto”.

L’esplosione dell’epidemia di colera era inevitabile in queste condizioni. “Le tre stazioni di rifornimento (di acque reflue, ndr) erano tutte piene e si riversavano sulla costa”, racconta Higgins, “e le acque reflue non si riversavano in mare. Anche un solo caso di colera avrebbe significato una diffusione a macchia d’olio della malattia in tutto il sud”.

“La situazione in Libano è fragile, perché il Paese sta già combattendo altre battaglie, compreso il prolungato deterioramento politico ed economico”, ha dichiarato Abninasir Abubakar, rappresentante dell’OMS nel Paese. “Dobbiamo unire gli sforzi per assicurare alla popolazione l’accesso ai servizi sanitari, ad acqua pulita, alla sanificazione ed educarli su come comportarsi se qualcuno si ammala di colera”.

Vaccinarsi meno per vaccinarsi (quasi) tutti? – Se le misure delle ONG, delle Nazioni Unite e dell’OMS possono aiutare ad arginare la diffusione dei contagi, l’unico strumento per arrestare l’epidemia sarebbe la vaccinazione di massa della popolazione. Contro il colera, esistono due tipi di vaccini destinati alle emergenze epidemiche, somministrabili per bocca, efficaci nel proteggere l’individuo dalla malattia per circa sei mesi. Sia in Siria che in Libano, la situazione di emergenza imporrebbe una radicale distribuzione delle dosi vaccinali dalle città alle zone più rurali.

E’ quello che sta succedendo in alcuni distretti dell’area. Nelle regioni della Bekaa e di Akkar in Libano, ad esempio, dal 12 novembre e per una durata di 18 giorni, la campagna vaccinale del Ministero della Sanità Libanese impiegherà decine di squadre di medici e paramedici per vaccinare la popolazione casa per casa. Per la vaccinazione contro il colera in Siria, l’Italia ha da poco annunciato uno stanziamento di 500.000 euro e la Gran Bretagna di 2 milioni di sterline (oltre 2,2 milioni di euro). La situazione è, però, ancora più complicata.

Lo ha evidenziato lo stesso ministro della salute libanese, Firas Abiad, quando ha rivelato: “Abbiamo un problema con i vaccini anti-colera. Abbiamo chiesto alla comunità internazionale un approvvigionamento di vaccini, ma sfortunatamente ce n’è carenza, perché ci sono molte altre epidemie nel mondo”.

La carenza di vaccini è stata di fatto definita dall’OMS “senza precedenti”: nel 2022 non è stata solo la letalità del vibrione ad essere aumentata, ma si è registrata anche un’impennata di casi in tutto il mondo. Sono 29 i Paesi che attualmente stanno fronteggiando una epidemia di colera, almeno una decina in più rispetto agli anni passati. Così, a meno di due mesi dalla fine del 2022, le scorte del medicinale sono drammaticamente scarse: delle 36 milioni di dosi previste per quest’anno, 24 milioni sono già state spedite nel mondo e altre 8 milioni sono già state stanziate per campagne di vaccinazione emergenziale. Rimangono solo 4 milioni di dosi vaccinali da impiegare ancora, un numero insufficiente a qualsiasi pianificazione contro le epidemie attualmente in corso.

E’ per questo che l’OMS è arrivata in queste settimane alla drastica decisione di dimezzare la dose di vaccino somministrata per persona. “Un giorno triste”, lo ha definito Mike Ryan, direttore esecutivo del programma dell’OMS per le emergenze sanitarie. “Non avremmo dovuto farlo”, ha ammesso, “ed è una scelta unicamente basata sulla disponibilità globale di vaccini”.

Una mossa inevitabile, vista la scarsità di dosi e la spaventosa epidemia colerica, che, però, non poggia su nessuna evidenza scientifica. Non è chiaro, infatti, se una dose vaccinale dimezzata sarà sufficiente a immunizzare l’ospite contro il vibrione. Indubbiamente, se lo proteggerà, lo farà per una durata di tempo minore, forse solo uno o due mesi, e i bambini, a causa dell’immaturità del loro sistema immunitario e della loro vulnerabilità, sarebbero quelli più a rischio di rimanere “scoperti” da questa nuova posologia. Non si poteva fare altrimenti, secondo l’OMS, se si voleva arrivare a più persone e in più Paesi possibile, ma promette una produzione e pianificazione delle risorse più adeguata per il prossimo anno.

Difficile crederci, però, soprattutto alla luce di quanto rivelato dal quotidiano inglese The Guardian, che il 14 ottobre in esclusiva ha rivelato che l’industria di uno dei due soli tipi di vaccino impiegati nelle situazioni di emergenza ne interromperà la produzione nei prossimi mesi. Si tratta di Shantha Biotechnics, casa farmaceutica indiana interamente controllata dal gruppo Sanofi, che ha dichiarato che in quanto “partner responsabile” aveva avvisato della decisione le organizzazioni mondiali per la sanità con tre anni di preavviso. “Per usare un eufemismo”, ha commentato Philippe Barboza, “una strategia deludente”. Pagine Esteri