di Michele Giorgio

(nella foto di Medya News, Erdogan e Assad prima della guerra in Siria nel 2011)

Pagine Esteri, 12 dicembre 2022 – Il tutto e il contrario di tutto avvolge la decisione presa, almeno sino ad oggi, dal presidente siriano Bashar Assad di non incontrare, faccia a faccia, il suo omologo turco, e nemico tra i più agguerriti, Recep Tayyip Erdogan. L’incontro, senza dubbio, avrebbe il sapore della vittoria per Assad. Erdogan, dopo l’inizio della guerra in Siria nel 2011, ha agito concretamente – armando e finanziando formazioni islamiste contro il governo di Damasco – per provocarne la caduta. Il leader siriano invece è rimasto al suo posto e la potente Turchia, mentre bombarda i civili curdi nel Rojava (e nel Kurdistan iracheno) e minaccia nuove offensive militari, deve ora riconoscere il fallimento della sua strategia in Siria anche se ancora occupa, di fatto, la regione di Idlib. Erdogan inoltre ha bisogno di successi diplomatici per attenuare le conseguenze sulle prossime elezioni della crisi economica turca e della presenza nel paese di milioni di profughi siriani.

Pare che Assad da almeno tre mesi stia resistendo alle pressioni degli alleati russi e iraniani intenzionati a spingerlo nella braccia di Erdogan per consolidare la loro influenza e presenza nel territorio siriano. Il motivo? Alzare l’asticella, spiega qualcuno, in modo da andare oltre la «pace per la pace» e ottenere assicurazioni sul ritorno di Idlib sotto il controllo di Damasco e assistenza economica ed umanitaria che aiuti a superare le sanzioni statunitensi (Caesar Act) che strangolano la Siria. Per gli oppositori di Assad invece si tratterrebbe solo di una «messinscena» organizzata proprio da Mosca, e destinata a durare ancora poco, per rafforzare l’immagine del presidente siriano e mostrarlo «indipendente» da Russia e Iran. Anche la rinuncia di Damasco, quasi all’ultimo momento, al suo rientro nella Lega araba durante il vertice tenuto ad Algeri nelle scorse settimane, potrebbe aver avuto l’obiettivo di segnalare che la Siria non accetterà le condizioni poste dall’Arabia saudita e il Qatar per la sua riammissione. Per altre fonti invece sarebbe vero il contrario. Nonostante l’intervento algerino, le petromonarchie hanno imposto che la Siria resti ancora fuori dalla Lega araba.

Tutto e il contrario di tutto, come si diceva. Più realisticamente Bashar Assad il faccia a faccia con Erdogan lo farà. Ma anche alle sue condizioni, ossia imporre alla Turchia la rinuncia al controllo di Idlib e la fine delle sue operazioni militari che oltre a colpire l’Autonomia curda prendono di mira anche l’esercito siriano, facendo morti e feriti. E per alleviare alcuni dei seri problemi economici che il suo paese affronta, senza dimenticare il colera. Qualche giorno fa arrivata a Baniyas una petroliera iraniana con 700mila barili di greggio. Una buona notizia ma, ha avvertito il ministro del petrolio Bassam Tohme, questa fornitura non risolve la crisi energetica che sta paralizzando la Siria e che rischia di lasciare al freddo milioni di cittadini durante l’inverno. Per far fronte alla situazione il governo ha annunciato che tutte le attività statali resteranno ferme due giorni in più questo mese, poiché i dipendenti faticano a raggiungere il posto di lavoro con il sistema di trasporto pubblico quasi inattivo per la mancanza di carburante.

In Siria i tornei sportivi sono stati sospesi temporaneamente e i dipendenti del governo hanno visto tagliare le proprie quote di benzina sovvenzionata dallo Stato. La maggior parte dei giacimenti petroliferi siriani è controllata dalle Sdf curde e da soldati americani, quindi fuori dal controllo di Damasco. Il prezzo del gasolio per il riscaldamento importato, perciò è raddoppiato e la benzina non sovvenzionata per le auto ormai si trova solo al mercato nero a costi proibitivi. Il 4 dicembre la rabbia e la frustrazione sono sfociati in proteste nella città meridionale a maggioranza drusa di Sweida dove almeno due persone sono state uccise dal fuoco delle forze di sicurezza. I drusi, peraltro, cominciano a reclamare una autonomia sul modello di quella curda.

A Erdogan i problemi di vita quotidiana di milioni di siriani interessano ben poco. La sua improvvisa disponibilità a riallacciare i rapporti con Assad ha il solo scopo di favorire gli interessi turchi. A cominciare dalla collaborazione di Damasco ad azioni militari contro l’Autonomia curda. Una richiesta che Assad non è in grado di soddisfare tenendo conto anche della linea scelta dall’alleata Russia che negli ultimi due anni ha migliorato i rapporti con la leadership curdo-siriana. Il faccia a faccia Assad-Erdogan prima o poi si farà ma gli esiti non sono scontati. Pagine Esteri