di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 26 dicembre 2022 – Erano già state escluse dalle scuole e dalle università. Con un nuovo decreto i talebani hanno vietato adesso  alle donne afghane anche di lavorare nelle Organizzazioni Non Governative (ONG). In una lettera diramata il 24 dicembre scorso il Ministero dell’Economia ha, infatti, disposto il bando delle donne locali dal lavoro nelle ONG, sia nazionali che internazionali. La minaccia alle organizzazioni umanitarie che dovessero trasgredire è la perdita della licenza per continuare a lavorare nel Paese.

Secondo il governo talebano, negli ospedali e nelle altre strutture dove si svolge il lavoro delle organizzazioni umanitarie le lavoratrici afghane non avrebbero indossato adeguatamente l’hijab. Poiché con il loro abbigliamento e il loro comportamento non rispettavano la Sharia, dovranno pertanto abbandonare i loro posti di lavoro.

Una perdita immane, una ferita drammatica non solo per le centinaia di donne finora impegnate nelle ONG operanti in Afghanistan e per le loro famiglie, ma per tutto il Paese. L’ennesimo atto dei talebani per silenziare e annientare metà della popolazione afghana, che potrebbe essere quello definitivo, quello decisivo a far calare il buio sull’Afghanistan.

Quasi la totalità della popolazione afghana dipende oggi dall’aiuto delle organizzazioni umanitarie. Dopo vent’anni di occupazione occidentale e poi l’ascesa del regime talebano, le sanzioni internazionali e il congelamento dei fondi del Paese, per milioni di afghani l’unica possibilità di accesso a beni di primaria sopravvivenza nel dilagare della malnutrizione e di ricevere cure mediche deriva proprio dal lavoro delle ONG. Il nuovo decreto del governo de facto potrebbe renderlo adesso impossibile.

 

L’ONG premio Nobel per la Pace Medici Senza Frontiere, impegnata da oltre quarant’anni nel Paese, è stata tra le prime a commentare la decisione. “In un Paese che dipende largamente dal supporto umanitario e che si confronta con una povertà dilagante alimentata dalla disoccupazione alle stelle, le donne giocano un ruolo fondamentale nel fornire aiuto medico e nessuna organizzazione potrà assistere la comunità locale senza di loro”, scrive l’ONG su Twitter. E ancora sottolinea “Senza di loro, non ci può essere assistenza medica. Escludere le donne dalla vita pubblica, mette a rischio tutti”.

Il lavoro delle donne afghane nelle ONG è stato, infatti, fondamentale in questi anni, soprattutto nell’assistenza a donne e bambini nei reparti ospedalieri a loro dedicati, in un Paese in cui le pazienti possono essere assistite solo da personale femminile e in cui oltre la metà della popolazione è costituita da minori. Escludere le donne dal lavoro umanitario avrà l’effetto di escludere le organizzazioni umanitarie dall’Afghanistan.

Una conseguenza che inizia già a verificarsi. Con un comunicato congiunto, Save the Children, il Norvegian Refugee Council e CARE hanno annunciato la sospensione delle loro attività in Afghanistan. “ Non possiamo raggiungere efficacemente bambini, donne e uomini in situazioni di disperato bisogno in Afghanistan senza il nostro staff femminile. Mentre cerchiamo di ottenere chiarezza su questo annuncio, sospenderemo i nostri programmi, pretendendo che uomini e donne possano ugualmente continuare a lavorare per la nostra assistenza salvavita in Afghanistan”.

 

Con un altro comunicato, anche l’International Rescue Committee (IRC) ha dichiarato sospese le sue attività nel Paese, sottolineando come oltre 3.000 dei suoi 8.000 impiegati in Afghanistan siano donne.

Sono ore tragiche e delicate. Decine di ONG e i rappresentanti delle Nazioni Unite, riuniti nell’Humanitarian Country Team, si sono incontrati a Kabul per decidere se sospendere immediatamente tutti i progetti delle ONG attualmente attivi in Afghanistan. Come un taglio alla corrente, un black out istantaneo su tutto il Paese. Ospedali chiusi, missioni sospese, operatori umanitari e aiuti internazionali rispediti indietro da dov’erano venuti, per lasciare la popolazione afghana abbandonata a se stessa: lo scenario peggiore per un Paese sprofondato nel fondo della sua catastrofe, ma per il quale al momento non sembrerebbero esserci alternative.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è detto profondamente turbato dalla notizia. “Le Nazioni Unite e i loro partner, che includono ONG nazionali e internazionali, aiutano oltre 28 milioni di afghani che dipendono dall’aiuto umanitario per sopravvivere”, si legge in un comunicato del 24 dicembre. “Il divieto alle donne di lavorare con la comunità internazionale per salvare vite e fornire mezzi di sussistenza in Afghanistan causerà ulteriori indicibili difficoltà al popolo afghano”.

Preoccupazione per il bando è stata espressa anche dalla Farnesina, che sottolinea il ruolo fondamentale delle donne nei lavori di assistenza.

 

Non è certo per la presunta vocazione delle donne per i lavori di cura e assistenza, retaggio di altri maschilismi nostrani, che l’attuale norma potrebbe rappresentare la catastrofe definitiva per l’Afghanistan. Colpendo di nuovo le donne, questa volta sembra che i talebani stiano riuscendo a liberarsi definitivamente anche degli occhi e delle ingerenze occidentali rappresentate dalle ONG nel territorio. Un proverbio afghano recita “Chi ti nutre, ti comanda”, ed è inevitabile immaginare chi fossero i primi destinatari di questo divieto. Con il bando delle donne, i talebani potrebbero apporre i sigilli definitivi al Paese. Le donne rinchiuse nelle case e le ONG fuori dai confini dell’Afghanistan. Il buio totale, il silenzio assoluto per i diritti umani.

Il Presidente della Missione delle Nazioni Unite in Afghanistan, Ramiz Alakbarov, intanto, ha incontrato nella mattinata di oggi 26 dicembre il Ministro dell’Economia del governo talebano Mohammad Hanif, per chiedere la revoca del divieto. E’ questa adesso la speranza, le ONG aspettano con il fiato sospeso.