di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 19 gennaio 2023 – Nel caffè della Cisgiordania, avvolti dal fumo dei narghilè, i palestinesi discutono della debolezza politica del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen). Nei caffè della Galilea si parla invece dei rapporti più tesi in Israele tra ebrei e arabi e del «fallimento» del deputato islamista del Mansour Abbas. Con il suo partito, Raam, Mansour Abbas per un anno e mezzo ha fatto parte della coalizione «anti-Netanyahu» guidata prima dal nazionalista religioso Naftali Bennett e poi dal centrista laico Yair Lapid, passando alla storia di Israele come il primo esponente politico arabo membro a pieno titolo di un «governo sionista». Il ritorno al potere di Benyamin Netanyahu, alla testa di un esecutivo di estrema destra apertamente anti-palestinese, è una debacle per i «due Abbas».

Tra il 2020 e il 2021 Abu Mazen, illuso prima dall’ingresso alla Casa Bianca di Joe Biden e poi dalla fine del lungo regno di Netanyahu, si era convinto di poter riportare la questione palestinese sul tavolo delle diplomazie, grazie alla ripresa dei rapporti con la nuova Amministrazione Usa dopo la «rottura» durata quattro anni con Donald Trump. Le cose sono andate diversamente. Biden ha rimosso i palestinesi dalla sua agenda e si è limitato a riaprire il rubinetto, e solo in parte, degli aiuti umanitari all’Anp. Il governo Bennett/Lapid da parte sua ha continuato il blackout delle comunicazioni con i palestinesi e Abu Mazen ha avuto contatti occasionali, spesso carichi di tensione, solo con il ministro della difesa Benny Gantz. Lapid inoltre lo scorso agosto ha ordinato un altro massiccio attacco militare contro Gaza (circa 50 morti) e dopo gli attentati della scorsa primavera a Tel Aviv e altre città israeliane (18 morti) ha dato piena libertà di azione all’esercito che da mesi entra ed esce dai centri abitati palestinesi in Cisgiordania facendo morti e feriti. Incursioni che contribuiscono alla crescita della militanza palestinese armata, soprattutto a Jenin e Nablus, con riflessi diretti sulla credibilità e la stabilità dell’Anp accusata di «collaborazionismo» con Israele, a tutto vantaggio degli islamisti di Hamas.

Con questo governo israeliano le cose non potranno che complicarsi per tutti i palestinesi, dal cittadino comune al leader politico. Il ministro delle finanze israeliano ed esponente di punta dell’estrema destra Bezalel Smotrich ha di fatto il controllo del 60% del budget annuale dell’Anp. A tale percentuale corrispondono i dazi doganali e le imposte –  tra 150 e 200 milioni di dollari al mese – che Israele raccoglie per conto dell’Anp. Fondi palestinesi che i passati governi israeliani hanno già congelato in più occasioni, con la motivazione di voler bloccare i sussidi versati dell’Anp alle famiglie dei prigionieri politici in carcere in Israele. Smotrich quindi potrà gestire un potente strumento di pressione sulla leadership palestinese, già fragile e ricattabile. Smotrich e il resto del governo israeliano hanno già messo in atto la minaccia annunciando il taglio dei fondi destinati all’Anp per decine di milioni di dollari. Per l’87enne Abu Mazen, in cattive condizioni di salute, i margini di manovra si fanno sempre più stretti mentre alle sue spalle sgomitano i pretendenti alla carica di presidente.

Mansour Abbas

Non se la passa meglio l’altro Abbas, quello della Galilea. Un anno e mezzo fa ripeteva con orgoglio di aver cambiato per sempre la politica israeliana grazie alla sua «coraggiosa» adesione al governo Bennett/Lapid. Ora viene accusato da più parti di aver inutilmente causato il crollo della Lista araba unita. In un anno e mezzo Mansour Abbas ha ricevuto promesse non mantenute e annunci di fondi pubblici per le aree a maggioranza araba mai stanziati dal passato governo. Con il ritorno al potere di Netanyahu «l’esperimento arabo» nell’esecutivo è morto e sepolto. Mansour Abbas stenta a riconoscerlo e lancia accuse agli altri partiti arabi, responsabili a suo dire di non aver soccorso il passato governo. La Lista araba unita difficilmente risorgerà e i leader dei singoli partiti, in ordine sparso, annunciano che contro Netanyahu e i suoi ministri sarà avviata una mobilitazione popolare. «Saremo un’opposizione combattiva ma non basta, avvieremo anche un campagna congiunta arabo-ebraica», ha annunciato il deputato Ahmed Tibi. Pagine Esteri