di Micol Meghnagi e Ludovica Forcina, 

Pagine Esteri, 13 marzo 2023 – Una croce in legno costruita con i resti della barca naufragata ha guidato l’umanità in marcia a Steccato di Cutro. In testa, Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace. Sono oltre 10.000 le persone accorse da tutta Italia per esprimere vicinanza alle famiglie delle vittime. Uomini, donne e bambini hanno camminato per Via del Mar Mediterraneo. Lo stesso Mediterraneo dove lo scorso 26 febbraio, oltre 70 persone hanno perso la vita. Sono afgani, siriani, palestinesi, libici, iraniani le vittime inghiottite dal nostro mare. ‘Fermate la strage subito’ è l’appello di Rete Asilio, alle quale hanno aderito oltre 40 associazioni, movimenti e sindacati. Sfilano gli spezzoni di Emergency, Cgl, Anpi, Arci, Amnesty International, Il Manifesto. Sono presenti tutte le sigle storiche del movimento antirazzista e antifascista italiano. Giubotti salvagenti e caschetti blu aprono la lunga delegazione di Mediterranea, che ha organizzato tre pullman da tutta Italia, partiti nel cuore della notte. “Oggi riaffermiamo un patto. Che è quello di non fermarci nelle pratiche concrete, anche se dovessimo esseri costretti a violare delle leggi ingiuste.

Perché le leggi non sono niente di fronte alla vita umana. Il governo Meloni ha risposto a questa strage approvando un decreto-legge che prevede ulteriori strette alla protezione sociale e umanitaria”, tuona Luca Casarini, capo missione della nave Mar Jonio. Insieme a lui, Andrea Alzetta, detto Tarzan, attivista di Spin Time Labs: “La società civile deve iniziare ad irrompere nella scena politica. Vedere tutte queste persone a Cutro è un fatto straordinario. Non era facile. Vuol dire che esiste un popolo che vuole accogliere. Ma dobbiamo riuscire a farci carico di una accoglienza degna, anche a costo di disobbedire”. E ancora. “Oggi è presente l’umanità migliore. Il disegno sul mondo perverso che ci stanno imponendo troverà in noi una fortissima resistenza. Siamo tutti responsabili”, dichiara Don Mattia Ferrari. Si alzano cori contro il governo e le stragi in mare. Gli attivisti e le attiviste del sindacato studentesco ‘Rete degli Studenti’, cantano a gran voce ‘Bella Ciao’ e ‘Fischia il Vento’. I volti sono piegati dal dolore. Ma ci sta spazio anche per la speranza.

foto di Ludovica Forcina

Un vento forte e gelido accoglie il corteo nella spiaggia della vergogna. Le onde sono alte due metri, ma “nulla a che vedere con quelle di quel maledetto 26 febbraio” ci tiene a precisare Mara (nome di fantasia), soccorritrice della Croce Rossa e tra le prime accorse sul luogo della strage. “È stato surreale. Ho trovato di fronte a me decine di cadaveri. Gli occhi erano sbarrati. Nel loro sguardo riuscivo a cogliere gli ultimi secondi prima della morte. Trasmettevano ancora il terrore. È qualcosa che non si può descrivere a parole. Non sono riuscita neanche a piangere. Non serve piangere. Il sentimento che si prova non è dolore. È qualcosa di più profondo. Il senso di colpa di non essere arrivata prima. L’impotenza di fronte alla barbarie. Poi ci sta la rabbia. L’indignazione. Erano vicinissimi… Si è rotto il barcone a meno di 200 metri dalla costa. Non riesco a togliermi dalla testa la voce di un ragazzo di 12 anni che mi chiedeva dove fosse finita la sua mamma”. Sono presenti anche i pescatori di Cutro, simbolo di un’umanità resistente. “Ricordo di non aver pensato a niente. Mi sono buttato in acqua a recuperare i corpi. Credevo fossero vivi. Erano tutti morti”, racconta Vincenzo.

foto di Ludovica Forcina

Da quel giorno il pescatore vive praticamente sulla spiaggia. Ci sono ancora scarpe, giubbotti, maglioni e calzini lungo tutta la costa. Pezzi di legno della barca della morte formano una croce. Mentre sulla spiaggia i manifestanti si accingono in cerchio in un minuto di silenzio e lasciano alla sabbia e alle onde del Mediterraneo fiori e peluche in memoria delle vittime, arriva la notizia che altri tre corpi sono stati trovati facendo salire a 76 il bilancio delle vittime accertato della strage. La rabbia prende il sopravvento: “Giorgia Meloni e Matteo Salvini festeggiano mentre noi stiamo qui a piangere le nostre sorelle e i nostri fratelli”, si sente mormorare dai manifestanti. Fanno riferimento ad un video diventato virale, che riprende la Premier e il Vice-Premier cantare Marinella, di Fabrizio De André, poeta degli Ultimi. Marinella si ispira ad un fatto di cronaca nera: Maria, emigrata calabrese, viene uccisa e gettata in un fiume. Un triste paradosso.

Haris Yosufi, uno dei familiari delle vittime, foto di Ludovica Forcina

“Non ci hanno neanche portato le condoglianze. Per loro siamo solo numeri”, urlano alcuni dei familiari delle vittime. Loro, sono le autorità italiane. “La famiglia di mio cugino Fahim è stata distrutta. Hanno ritrovato i corpi dei tre figli e della moglie Parina. Mio cugino è ancora disperso, racconta Haris Yosufi”. Haris vive a Sidney da dieci anni e il giorno della strage ha ricevuto una chiamata da parte di un parente afgano. Per raggiungere l’Italia ci ha impiegato tre giorni. “Mio cugino ha sempre messo la sicurezza della sua famiglia di fronte alla sua. Non sapevo neanche che fosse salito su quella barca. Voglio solo ritrovare mio cugino e riportare tutti i corpi a Kabul. I costi sono elevatissimi. Non so se le autorità italiane pagheranno le spese. Staremo a vedere. Voglio restituire alla mia famiglia la dignità che ci hanno levato”. Dal cerchio si alza la voce di una donna che lancia un appello: “Non lasciateci soli. La vostra voce è la nostra voce”. Pagine Esteri

foto di Ludovica Forcina