di Marco Santopadre

Pagine Esteri, 10 maggio 2023 – Sarà il Partito Repubblicano, formazione che raccoglie l’eredità politica e ideologica del regime fascista e turboliberista imposto da Augusto Pinochet in Cile dal 1973 al 1990, ad avere la maggioranza nel Consiglio Costituzionale di Santiago.

Il Consiglio Costituzionale in mano alla destra
L’organismo eletto domenica con il mandato di approvare una nuova bozza di Costituzione sarà quindi controllato dal partito di estrema destra guidato da José Antonio Kast, che ha raccolto il 35,5% dei consensi, riuscendo ad eleggere ben 23 dei 51 membri del Consiglio. I 3,3 milioni di voti ottenuti il 7 maggio fanno del Partito Repubblicano la formazione più votata in Cile dalla fine del regime. Si tratta di un risultato enorme, tenendo conto che alle elezioni per il Senato del 2021 il Pr aveva ottenuto un solo seggio e che era rimasto fuori dalla precedente assemblea costituente.
“Unità per il Cile”, la coalizione che sostiene l’attuale governo di Gabriel Boric ha incassato il 28,4% e 16 seggi mentre altri 11 seggi (21,1%) vanno alla coalizione della destra liberale “Cile sicuro”. Dal Consiglio Costituzionale rimane invece fuori “Tutto per il Cile”, erede della “Concertación de Partidos por la Democracia” che ha a lungo governato il paese dopo la fine della dittatura; la coalizione di centrosinistra ha raggranellato solo il 9%. Nessun seggio anche per il Partito della Gente (5,4%), formazione di destra populista. Un seggio è stato invece attribuito, come previsto dalla legge elettorale, ad un rappresentante dei popoli indigeni del paese che comunque continuano a rimanere sotto attacco delle multinazionali e delle forze di sicurezza nonostante le promesse dell’attuale maggioranza di governo.

Record di voti nulli: indifferenza ma anche protesta
Alle urne, anche in virtù dell’obbligatorietà del voto, si sono recati ben 12,8 milioni di aventi diritto, quasi l’85% del totale, con un’impennata apparente di partecipazione rispetto alle precedenti tornate elettorali. Ma l’enorme quota di voti nulli – 2,1 milioni, il 17% del totale – e di schede bianche – 565 mila, 4,55% – mostra quanto siano diffusi sia il disinteresse sia la disillusione tra gli elettori cileni. Se una parte della popolazione si sente lontana dalla politica a prescindere, un’altra quota consistente di elettorato è stanco dei continui passi indietro dell’attuale presidente, dei numerosi compromessi del governo con i potentati economici e militari, delle promesse di democratizzazione tradite, ed in mancanza di una credibile rappresentanza politica ha optato per il voto nullo o bianco come unico segnale visibile di protesta.

Manifestante nel corso di una protesta nell’autunno del 2019

L’estallido social e la fase costituente
Il processo di revisione della Costituzione pinochettista è stato avviato il 25 ottobre del 2020 da uno storico referendum (approvato dal 78% dei votanti ma solo dal 38% degli aventi diritto, in una giornata caratterizzata da un forte tasso di astensione) convocato dal governo di destra di Sebastian Piñera per placare l’estallido social esploso in Cile nell’autunno del 2019. Formalmente le agitazioni sociali erano iniziate contro gli aumenti delle tariffe del trasporto pubblico, ma si erano presto estese alla richiesta di una riforma generalizzata di un sistema economico rigidamente liberista imposto durante la dittatura che affida ai grandi gruppi privati il controllo dei principali servizi pubblici e impedisce una qualsiasi seria redistribuzione della ricchezza. In piazza erano scesi soprattutto gli studenti e le donne, ma anche settori consistenti di lavoratori.
Nel 2021 era stata eletta (ma solo dal 43% degli aventi diritto) un’Assemblea Costituente composta da 155 membri, di cui 48 “indipendenti” spesso espressione dei movimenti sociali e della società civile. Ne era nato un testo contraddittorio che però aggrediva alcuni dei pilastri autoritari e liberisti imposti durante la dittatura.

Gli elettori bocciano la nuova costituzione
Nel referendum popolare convocato lo scorso 4 settembre, però, ben il 61,87% degli elettori ha bocciato la proposta di nuova Costituzione. Il “Rechazo” si è imposto in tutte le 16 regioni del Paese, raggiungendo punte del 74% nelle regioni del Nuble e dell’Araucania. Era il segno che la maggioranza della popolazione del paese non condivide le ansie riformiste e progressiste dei settori più avanzati della società cilena che si erano mobilitati nel 2019 e che, in parte, sono rimasti delusi dalla rinuncia, da parte della sinistra di governo, ad una rottura forte con l’epoca della dittatura.
L’esito del voto di domenica scorsa conferma quanto sia ancora forte nel paese il radicamento dell’ideologia reazionaria incarnata da José Antonio Kast. «Il Cile ha sconfitto un governo fallito, che è stato incapace di affrontare le crisi della sicurezza, dell’immigrazione, le crisi economiche e sociali» ha commentato il leader dell’estrema destra.

L’ombra di Pinochet
Ora i repubblicani avranno il potere di veto all’interno dell’emiciclo e potranno probabilmente contare sul sostegno di “Cile sicuro” per controllare, con 33 seggi, la maggioranza del Consiglio incaricato di approvare una nuova bozza di Costituzione. Paradossalmente, saranno ora gli ammiratori del dittatore e delle sue politiche a dover riformare il testo costituzionale redatto durante il regime, che i Repubblicani ammettono di non avere alcuna intenzione di stravolgere.

Anche in questo caso, la Carta sfornata alla fine dei suoi lavori dal Consiglio – che sarà fortemente vincolato a una bozza a sua volta redatta dai 24 esperti designati il 6 marzo dal Congresso di Santiago – dovrà essere approvata da almeno i tre quinti dei membri dell’Assemblea per poi essere sottoposto al giudizio popolare. Il fatto che ad aprire i lavori della speciale commissione congressuale sia stato chiamato Hernán Larraín Fernández, che ebbe un ruolo non secondario durante il regime di Pinochet e che viene per questo contestato dalle organizzazioni per i diritti umani, lascia intendere quanto siano mutati, in soli due anni, gli equilibri politico-istituzionali del Cile.

L’esito del voto di domenica rappresenta un’ennesima doccia fredda per Gabriel Boric e il governo del paese, che dopo la bocciatura di settembre ha già tirato i remi in barca rispetto a molte delle riforme più o meno radicali promesse, che avevano portato la coalizione “Apruebo Dignidad” (socialisti, comunisti, Frente Amplio, umanisti) a vincere le elezioni presidenziali, nel dicembre del 2021, proprio contro il leader dei repubblicani José Antonio Kast.

Josè Antonio Kast insieme all’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro

“Legge e ordine”. Kast mobilita la maggioranza silenziosa
Stavolta, però, la destra radicale è riuscita a mobilitare una vera e propria “maggioranza silenziosa”. Alle precedenti tornate elettorali aveva partecipato una quota assai minore di elettori, e molti di quelli che stavolta si sono recati alle urne, quando non hanno annullato la scheda, hanno confermato la propria fedeltà ai “valori” del passato regime o hanno espresso la propria paura nei confronti di cambiamenti legislativi e culturali percepiti come rischiosi.

Il campione della destra è riuscito a catalizzare l’attenzione degli elettori con un discorso basato sul sempreverde asse “legge ed ordine”, con i suoi strali contro gli immigrati illegali – soprattutto venezuelani, haitiani e peruviani – e l’aumento delle rapine e dei crimini violenti (che comunque non rendono il Cile il paese più insicuro del continente). La disillusione per le promesse non mantenute da Boric – che negli ultimi mesi rincorre, tra l’altro senza grande fortuna, i toni securitari della destra, abbandonando parte dell’agenda sociale che ne ha favorito la vittoria – e la rabbia sociale suscitata dall’aumento esorbitante dei prezzi degli alimenti e dei servizi fanno il resto.

Il risultato è che anche il secondo tentativo di riforma della costituzione potrebbe andare a vuoto, chiudendo chissà per quanto tempo la finestra apertasi nel 2020. Il referendum che dovrà seguire il varo della seconda bozza, infatti, potrebbe di nuovo bocciare il lavoro dei costituenti. Oppure, potrebbe approvare un testo non dissimile – forse ancora peggiore – da quello vergato nel 1980 dal generale Pinochet e dai suoi “Chicago Boys”, ma stavolta legittimato dal voto popolare proprio mentre il paese è governato da una coalizione di sinistra.

La sconfitta per il governo – che nei giorni scorsi è comunque riuscito a portare a casa la riduzione dell’orario di lavoro a 40 ore settimanali – arriva poco dopo che Boric ha presentato la sua ambiziosa proposta di aumentare il controllo statale sui progetti strategici del litio e creare una nuova compagnia nazionale per sfruttare il metallo bianco. L’esito negativo del progetto – che si sta già scontrando con numerosi ostacoli di ordine tecnico e politico – potrebbe rappresentare il de profundis per la maggioranza di sinistra attualmente al governo. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.