di Ilaria De Bonis* –
Pagine Esteri, 2 dicembre 2021 – Lo stigma dell’”untore pandemico” è precipitato addosso al Sudafrica nel bel mezzo di una campagna vaccinale che stava lentamente e con fatica portando il Paese a risultati accettabili sul fronte anti-Covid. Nel giro di pochi giorni, a partire dalla scoperta di un caso della cosiddetta variante Omicron (ma è notizia di due giorni fa che il paziente zero sarebbe da rintracciare in Olanda prima ancora che in Sudafrica), il Paese guidato da Cyril Ramaphosa si è ritrovato isolato dal mondo. E con un carico non indifferente di responsabilità sulle spalle. L’Unione Europea, ma anche Giappone, Canada, Israele, Stati Uniti e da ultimo il Marocco, hanno immediatamente programmato la chiusura degli aeroporti ai voli provenienti da sette Paesi africani, tra cui Sudafrica, Mozambico, Lesotho e Namibia. Questa decisione è giudicata da molti analisti “discriminatoria” nei confronti dell’intero continente. E segna un ulteriore “distanza” tra i Paesi ricchi e quelli in via di sviluppo, destinatari del programma Covax.
«Il Regno Unito e le ricche nazioni europee sono nel panico – scrive Fatima Hassan, avvocatessa impegnata nella difesa dei diritti umani in Sudafrica – In modo non sorprendente l’accaparramento da parte loro di enormi scorte di vaccino ha consentito l’emergere di nuove varianti di Covid. Ma ancora una volta questi Paesi puniscono le vittime della diseguaglianza globale chiudendo improvvisamente le frontiere a chiunque arrivi dall’Africa».
Anche in Africa ci sono due o tre velocità di vaccinazione. La media è quella di una popolazione che a malapena ha ricevuto la prima dose. E sebbene il Sudafrica abbia distribuito finora appena 42 dosi di vaccino ogni 100 persone, rimane quello più all’avanguardia e maggiormente in grado di mettere un argine al contagio. Ciò detto, solo il 35% della popolazione sudafricana è vaccinata. Altrove i tassi sono ancora più bassi. In Lesotho ad esempio sono state distribuite meno di 30 dosi per 100 persone e in Namibia appena 25. Segno che il meccanismo della distribuzione gratuita dei vaccini tramite Covax, messo a punto da fondazioni filantropiche, Nazioni unite e governi, si è in qualche modo inceppato. Non funziona come dovrebbe.
Ai Paesi “donatori” con una più alta capacità di stanziamento economico, spettano in proporzione più dosi di vaccino. E questo allarga il gap tra ricchi e poveri anziché restringerlo. Una disparità tale da indurre moltissimi analisti e giornalisti del Sud del mondo a parlare di “apartheid vaccinale”. Nel quale rientra la querelle sui brevetti. Nicoletta Dentico, attivista, giornalista esperta di salute globale, parla di necessità di sbloccarne il monopolio: «la proposta della sospensione dei diritti di proprietà intellettuale gode di un consenso assai ampio dentro l’Organizzazione Mondiale del Commercio – scrive Dentico – sono oltre 100 gli Stati membri che l’appoggiano».
Chi si oppone? Uno zoccolo duro di potenti: il cosiddetto Ottawa Group, nucleo ristretto di Paesi occidentali a difesa dei monopoli, contro le ragioni di India e Sudafrica. Unione europea compresa. Ma brevetti e Covax a parte, nel continente africano c’è anche un altro fattore da non sottovalutare: il vaccino per queste popolazioni non è una priorità. E in generale il Covid, come causa di morte, per la gente non è una priorità. Che ci piaccia o no la visione Covid-centrica è coloniale. Tra malaria, malnutrizione, malattie legate alle mancate vaccinazioni infantili, guerriglie e milizie che impediscono di percorrere con facilità il territorio, difficoltà logistiche a raggiungere i centri di salute nei villaggi, l’Africa non fa la corsa ai vaccini. In luoghi dove ancora si muore di parto, contrarre un virus letale è solo una delle mille evenienze.
E questo lo raccontano moltissime fonti in loco, dai cooperanti ai missionari, dai medici agli operatori umanitari. Gli scettici del vaccino e i complottisti rappresentano una quantità enorme di popolazione africana. Ciò accade soprattutto nell’Africa subsahariana, in Congo, Nigeria, ma anche in Mozambico e Zambia. «In Ruanda le persone sono molto stanche: i soldi per le attrezzature sanitarie e le mascherine arrivano dall’estero, ma noi riceviamo pochissimo materiale sanitario – ci spiega una nostra fonte in Ruanda – In tutto il Paese, ad oggi, sono state vaccinate 2milioni e 100mila persone con la prima dose, circa un milione e 600mila con la seconda dose. I vaccini arrivano, anche dall‘India e dalla Francia, ma il problema è che la gente non la sente come una priorità. Chi accetta di farsi vaccinare lo fa perchè riceve qualcosa in cambio, anche del sapone gratis». Stessa cosa era accaduta anni fa con il vaccino per Ebola: la paura di cosa possa essere contenuto in quelle iniezioni, lo scetticismo nei confronti della medicina ufficiale, e la resistenza verso l’Oms, superavano e superano di gran lunga il timore dei virus. Pagine Esteri
*Giornalista professionista dal 2005, ha lavorato per dieci anni nelle agenzie di stampa, specializzandosi in economia internazionale e cooperazione allo sviluppo. Ha vissuto e lavorato a Bruxelles, New York e Gerusalemme. Da diversi anni si occupa di Africa, Medio Oriente e missione, scrivendo per testate cattoliche.