Alcune compagnie Usa stanno ricorrendo perfino al contrabbando per procurarsi le terre rare che gli Stati Uniti importano per il 70 per cento dalla Cina, il cui approvvigionamento però non è garantito dall’accordo che i due governi hanno siglato il 12 maggio scorso, che ha sospeso per 90 giorni o cancellato la maggior parte dei super-dazi reciproci varati a partire dal 2 aprile scorso, dal “Liberation Day” proclamato da Donald Trump.
In virtù di quell’intesa la Cina ha sospeso o rimosso le restrizioni all’export imposte il 4 aprile su sette metalli rari (samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio, ittrio). Ma la dichiarazione congiunta non include alcun riferimento alle precedenti limitazioni cinesi su altre esportazioni simili. E infatti la Cina non ha rinunciato al controllo sulle forniture di minerali essenziali: al contrario, sta rafforzando la sua presa sul settore.
Le terre rare sono 17 elementi chimici strategici per l’industria elettronica e della difesa. Secondo le stime di Wang Xiaosong, per fabbricare un solo caccia F-35 sono necessari 417 kg di terre rare e gli attuali controlli e restrizioni sull’export da parte di Pechino hanno il potenziale di paralizzare la produzione Usa di questi jet invisibili. L’economista dell’Università Renmin di Pechino ha stimato che il Pentagono ha riserve strategiche delle terre rare utilizzate per realizzare il sistema di guida missilistica dell’F35 per circa 18 mesi.
Secondo i media di Hong Kong, Pechino non avrebbe ancora ufficialmente rimosso le restrizioni varate il 4 aprile, mentre starebbe concedendo col contagocce le autorizzazioni a vendere agli Usa le terre rare.
Jamieson Greer, il rappresentante per il commercio di Trump che ha partecipato ai colloqui di Ginevra con la delegazione cinese del 12 maggio scorso, ieri ha dichiarato a Fox News: «Sì, i cinesi hanno accettato di rimuovere quelle contromisure». Ma subito dopo ha aggiunto che «se non lo fanno, ci troveremo di nuovo in una situazione diversa. Ma mi aspetto che le rimuovano».
Lo stesso 12 maggio, Yuyuan Tantian, un account di social media affiliato all’emittente statale CCTV, ha fatto sapere che «i controlli sulle esportazioni di terre rare da parte della Cina continuano».
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Il 22 aprile scorso, durante l’assemblea annuale, Elon Musk ha ammesso davanti agli azionisti di Optimus che quelli sull’export di neodimio (un super-magnete) stanno rallentando lo sviluppo dei robot umanoidi di Tesla.
In definitiva quelle delle terre rare – di cui, secondo i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia la Cina detiene il 92 per cento della produzione – rappresenta l’arma più affilata di Pechino nel negoziato sul commercio tra i due paesi. E, d’altra parte, sono le stesse restrizioni Usa su alcune esportazioni hi-tech verso la Cina che permettono al governo di Pechino di poter rivendicare più agevolmente i controlli sulle terre rare, per garantire lo sviluppo tecnologico del paese.
Per Trump, che pure ha raggiunto un’intesa per lo sfruttamento minerario in Ucraina nonché minacciato di annettere agli Usa la Groenlandia (un territorio ricco di terre rare) liberarsi dalla dipendenza dalla Cina in questo campo in tempi brevi è impossibile, perché dar vita a una supply chain di questi elementi è un processo lungo, fortemente inquinante e pericoloso per i lavoratori del settore.
Pechino intanto ha potenziato le operazioni anti-contrabbando e – come riferito dall’agenzia Xinhua – dato istruzione alle autorità locali di «migliorare il controllo su ogni anello della produzione e della catena di fornitura di minerali strategici».
La Cina ha costruito il suo monopolio delle terre rare a partire dal 2011, quando ha avviato una riorganizzazione su larga scala del settore, imponendo controlli più severi sull’attività mineraria, introducendo tariffe e quote di esportazione per i materiali chiave.
Nell’era che a Washington chiamano “rinnovata competizione tra grandi potenze” la dipendenza dalla Cina in questo settore è diventata intollerabile. Per questo motivo Trump il 20 gennaio scorso – nel giorno del suo insediamento – ha proclamato una “emergenza energetica nazionale”, avvertendo che la capacità degli Stati Uniti di identificare, acquistare, produrre e raffinare minerali essenziali è “del tutto inadeguata”.
Lo stesso 20 gennaio, il presidente Usa ha firmato anche un ordine esecutivo per “liberare l’energia e le risorse naturali americane, accessibili e affidabili”.