Farà rientro questa mattina all’aeroporto di Roma, il giornalista e attivista Antonio Mazzeo, detenuto da Israele dopo essere stato sequestrato in acque internazionali assieme ad altri 20 passeggeri della nave Handala della Freedom Flotilla Coalition diretta a Gaza con aiuti umanitari per la popolazione palestinese. Si prevede che a ricevere Mazzeo ci saranno decine di amici e sostenitori. Il giornalista nei giorni scorsi è stato un punto di riferimento per il racconto quotidiano della nuova missione della Handala.

È stata una notte lunga e densa di tensione quella tra il 26 e il 27 luglio, quando la Handala, è stata assaltata in acque internazionali dalla Marina israeliana. A nulla sono valse le segnalazioni trasmesse in diretta dall’equipaggio che, consapevole di essere nel mirino, aveva iniziato a documentare le fasi dell’avvicinamento dei mezzi militari israeliani fino all’interruzione forzata delle comunicazioni e alla disattivazione delle telecamere di bordo da parte dei soldati, saliti con la forza sulla nave a circa 40 miglia nautiche dalla costa di Gaza.

Il sequestro della Handala è avvenuto ben fuori dalle acque territoriali di Israele, configurando una grave violazione del diritto marittimo internazionale e degli obblighi previsti dalla Convenzione ONU sul diritto del mare. L’azione militare ha avuto un carattere immediatamente repressivo: i passeggeri sono stati ammanettati e la nave è stata rimorchiata al porto israeliano di Ashdod. Tra loro c’erano attivisti, giornalisti, parlamentari, rappresentanti sindacali, medici e difensori dei diritti umani. A bordo, anche carichi di latte in polvere per neonati, medicine, pannolini e altri beni essenziali destinati alla popolazione di Gaza, stremata da mesi di assedio totale e privazioni.

«Erano aiuti civili per civili affamati. E il nostro intento era trasparente: forzare il silenzio intorno al genocidio in corso a Gaza», ha dichiarato Huwaida Arraf, avvocata e attivista statunitense-palestinese, anch’ella tra i sequestrati.

La reazione delle autorità israeliane è stata immediata: le persone a bordo sono state detenute senza che venisse loro notificata alcuna accusa formale. Due cittadini israeliani con doppia nazionalità – Huwaida Arraf e Bob Suberi – sono stati trasferiti alla polizia per interrogatori più approfonditi, mentre gli altri 19 sono stati trattenuti in una struttura carceraria in attesa di provvedimenti. L’organizzazione per i diritti Adalah ha riferito che solo dopo ripetute richieste è stato consentito a un team legale di incontrare i detenuti, che avrebbero subito interrogatori prolungati, alcuni in isolamento.

In Spagna, la notizia ha suscitato una forte ondata di mobilitazione. Due degli attivisti a bordo – Sergio Toribio e Santiago González Vallejo – hanno annunciato uno sciopero della fame per denunciare la detenzione arbitraria e solidarizzare con la popolazione di Gaza. Le loro famiglie, assieme a organizzazioni pacifiste e deputati del parlamento spagnolo, hanno chiesto la liberazione immediata dei prigionieri e l’apertura di un’indagine internazionale sull’accaduto.

Il sequestro della Handala rappresenta il terzo grave atto di forza nei confronti delle navi  della Freedom Flotilla nel corso di pochi mesi. Già a maggio, una delle imbarcazioni era stata colpita da un attacco aereo mentre si trovava nel Mediterraneo, in prossimità di Malta. A giugno, un’altra nave – la Madleen – era stata intercettata e rimorchiata ad Ashdod, con a bordo anche la giovane ambientalista Greta Thunberg. In tutti i casi, le autorità israeliane hanno agito in acque internazionali, giustificando le proprie azioni con la necessità di difendere il blocco imposto a Gaza. Una giustificazione che  non trova alcun fondamento nel diritto marittimo. I promotori della Flotilla denunciano non solo l’attacco militare a una nave disarmata, ma anche la complicità tacita di molti governi occidentali.

Gli attivisti non si arrendono. «Non smetteremo di solcare il mare finché Gaza sarà libera», aveva detto uno di loro prima di salpare. Parole che, dopo l’ennesimo atto di forza israeliano, suonano come un monito e una promessa.