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Da alcuni giorni l’Indonesia è scossa da un’ondata di proteste popolari che attraversa decine di città, da Giacarta a Surabaya, fino a Yogyakarta e Makassar. La scintilla che ha acceso la rabbia è stata la rivelazione dei privilegi economici di cui godono i membri del Parlamento: ciascuno dei 580 deputati riceve un’indennità mensile per l’alloggio di circa 50 milioni di rupie, dieci volte il salario minimo della capitale. Una cifra che, in un Paese segnato da inflazione, precarietà lavorativa e disoccupazione giovanile, è stata percepita come un insulto.
L’indignazione si è trasformata in rabbia dopo la morte di Affan Kurniawan, un giovane travolto da un veicolo blindato della polizia durante una manifestazione. La sua vicenda ha fatto il giro del Paese, diventando simbolo della distanza tra le élite e la popolazione comune e alimentando la partecipazione alle proteste, soprattutto tra studenti e lavoratori precari.
Le manifestazioni hanno assunto forme diverse: cortei studenteschi davanti al Parlamento, blocchi stradali, sit-in e azioni spontanee nei quartieri popolari. In molti casi la risposta delle forze di sicurezza è stata dura. Human Rights Watch denuncia l’uso eccessivo della forza, arresti arbitrari e violenze contro minorenni. Finora si contano almeno dieci morti, centinaia di feriti e migliaia di fermi amministrativi.
I movimenti che guidano le piazze hanno articolato un elenco di richieste che va ben oltre la revoca dei privilegi parlamentari. Domandano la fine delle violenze poliziesche, riforme economiche per affrontare il caro vita, la riduzione dei benefici concessi ai politici e un diverso utilizzo delle risorse pubbliche. Il governo, guidato dal presidente Prabowo Subianto, ha promesso indagini sulla morte di Kurniawan e la sospensione di alcuni funzionari, ma allo stesso tempo ha definito alcune proteste come “atti di tradimento”, lasciando intravedere la possibilità di una repressione più severa.
Intanto, forme di solidarietà inattese arrivano da oltre confine: cittadini di Paesi vicini, come la Malesia, hanno ordinato cibo tramite piattaforme come Grab e Gojek lasciando messaggi di incoraggiamento ai conducenti indonesiani e permettendo loro di tenere i pasti. Un gesto simbolico che dimostra come la vicenda indonesiana stia parlando a un’intera regione.
Le proteste, che hanno imposto al governo una scadenza entro domani per soddisfare almeno alcune delle richieste, sono l’espressione di un malessere profondo: quello di una società giovane e disillusa, stanca dei privilegi delle élite e decisa a reclamare dignità, giustizia sociale e riforme concrete.