Lunedì 8 settembre la capitale del Nepal, Kathmandu, è stata teatro di una tragedia che ha scosso il paese e l’intera comunità internazionale. Proteste di massa, in gran parte guidate dalla Generazione Z, sono esplose in risposta alla decisione del governo di bloccare decine di piattaforme di social media — tra cui Facebook, X (precedentemente Twitter) e YouTube — per mancata registrazione sotto la nuova normativa di controllo governativo.
Il messaggio del governo era chiaro: le piattaforme dovevano costituire una rappresentanza legale in Nepal e rispettare le normative sul contenuto. Solo TikTok, Viber e altre poche piattaforme hanno accettato e ottenuto di restare operative.
La risposta della popolazione, specialmente dei giovani, è stata immediata e rabbiosa. Migliaia di manifestanti si sono riversati nelle strade attorno al Parlamento di Kathmandu, sfidando le recinzioni e arrivando a penetrare nei pressi dell’edificio legislativo.
Le autorità hanno risposto con violenza: lanci di lacrimogeni, proiettili di gomma, cannoni ad acqua e, in alcuni casi, perfino colpi d’arma da fuoco contro i manifestanti. La situazione è degenerata in modo drammatico: almeno 17 persone sono state uccise e 145 sono rimaste ferite.
Il conflitto si è esteso anche geograficamente: oltre a Kathmandu, episodi simili si sono registrati a Pokhara, Bharatpur, Biratnagar e Nepalgunj. Il governo ha imposto un coprifuoco nelle zone chiave della capitale — Parlamento, casa presidenziale, segretariato di governo — e ha dispiegato l’esercito per contenere la rivolta.
Le motivazioni alla base del malcontento giovanile vanno oltre il divieto dei social media. I manifestanti — molti dei quali studenti, alcuni in uniforme — hanno scandito slogan come «Fermate la censura, non i social media», «Combattete la corruzione, non la libertà». Il malessere sociale lamentato include accuse di nepotismo, disuguaglianza ed esclusione dei giovani dalle decisioni politiche.
L’organizzazione “Hami Nepal” — inizialmente un movimento giovanile per l’assistenza sociale — ha assunto un ruolo centrale nell’organizzazione delle proteste, che hanno avuto articolazione pacifica ma determinata, senza apparenti legami diretti con partiti politici. Pagine Esteri