Kathmandu è diventata il cuore pulsante di una rivolta giovanile senza precedenti. Migliaia di ragazzi e ragazze, appartenenti a quella che gli organizzatori definiscono la “Generazione Z nepalese”, sono scesi in strada per chiedere non solo la fine di un governo, ma un cambiamento radicale delle istituzioni del Paese.
Le manifestazioni, iniziate come cortei pacifici, sono esplose in violenza quando le forze di sicurezza hanno risposto con proiettili veri, munizioni di gomma e gas lacrimogeni. Il bilancio è drammatico: almeno 19 giovani uccisi e centinaia di feriti. Tra loro c’è Pabit Tandukar, studente di 22 anni colpito a una gamba da un proiettile mentre protestava davanti al Parlamento. “Eravamo lì pacificamente, poi hanno iniziato a sparare”, ha raccontato dall’ospedale di Kathmandu.
Le immagini di studenti feriti, di scolari ancora in uniforme colpiti dagli spari, hanno fatto il giro del Paese, alimentando un’ondata di indignazione che ha travolto il governo. In poche ore il ministro dell’Interno Ramesh Lekhak ha lasciato l’incarico e il giorno dopo lo stesso primo ministro KP Sharma Oli ha annunciato le proprie dimissioni.
Ma per la piazza non basta. La Generazione Z reclama lo scioglimento del Parlamento, nuove elezioni e le dimissioni collettive dei deputati. Dietro la rabbia c’è anche la recente decisione del governo di vietare 26 piattaforme social, tra cui Facebook, YouTube e X, con la giustificazione di voler limitare crimini informatici e false identità. Per i giovani digitali del Nepal, quel divieto è stato la scintilla che ha trasformato la frustrazione in protesta di massa. L’annuncio della revoca, arrivato lunedì sera, non ha placato la piazza: ormai il detonatore sono le uccisioni.
La capitale è sotto coprifuoco, ma le strade restano affollate di manifestanti che sventolano bandiere e gridano slogan. Alcuni hanno dato fuoco alle abitazioni di politici, altri hanno sfidato l’esercito, che è arrivato perfino a entrare in ospedali per inseguire i giovani. “Il governo non avrebbe mai dovuto sparare proiettili agli studenti”, ha denunciato Anil Baniya di Hami Nepal, tra gli organizzatori del movimento. Le organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno condannato l’uso della forza e chiesto indagini trasparenti. Ma la spinta che anima la piazza sembra andare oltre la denuncia. Pagine Esteri