Centinaia di cittadini, perlopiù appartenenti alla comunità alawita, hanno risposto all’appello a manifestare sulla costa e a Homs lanciato dai loro leader. Tra questi lo sceicco Ghazal Ghazal, leader del Consiglio supremo alawita in Siria e nella diaspora. I manifestanti hanno sfilato con striscioni che chiedevano il federalismo e il decentramento amministrativo nelle aree costiere, oltre a condannare le aggressioni che subisce la comunità alawita.
Ingenti forse di sicurezza hanno sorvegliato le manifestazioni, in particolare nei centri più popolati come Tartus, Latakia e Homs. Proprio a Latakia, alla Rotatoria dell’Agricoltura, la tensione è sfociata in scontri quando aggressori non identificati hanno preso di mira i manifestanti. A Homs numerosi dimostranti si sono radunati ribandendo le richieste di federalismo e decentramento. Il portavoce del Ministero degli Interni, Noureddin al Baba, è intervenuto incontrando la folla per ascoltarne le lamentele. La sua presenza non ha però calmato gli animi. Contro di lui si sono scagliati alcuni dimostranti, costringendolo a lasciare la piazza scortato dalla polizia.
A Homs domenica scorsa la tensione è esplosa a causa dell’assalto compiuto dalla tribù beduina dei Bani Khaled. Due persone sono state uccise e altre diciotto ferite in un attacco violento che ha devastato automobili, case e negozi. La furia sarebbe stata alimentata dall’omicidio di una giovane coppia appartenente al clan, avvenuto nel villaggio di Zaydal e attribuito a membri della comunità alawita. L’episodio ha rafforzato la lettura settaria degli scontri.
Noureddin Al Baba, nel tentativo di spegnere un incendio che rischia di estendersi oltre Homs, ha cercato di ridimensionare la natura degli attacchi avvenuti a Homs. Ha parlato di semplici atti criminali e non di violenze mirate a una specifica comunità. Secondo il portavoce le scritte a sfondo etnico sarebbero state realizzate con l’intento di sviare le indagini e fomentare divisioni. Al Baba ha evocato la presenza di gruppi fedeli all’ex presidente Assad e di altri elementi dell’apparato deposto che avrebbero interesse a destabilizzare la nuova Siria. Una narrazione che il governo aveva già utilizzato mesi fa, dopo una serie di assalti compiuti da miliziani sunniti filogovernativi contro decine di cittadine alawite tra Tartus e Latakia. I morti furono oltre mille, in gran parte civili.
Il Consiglio della comunità alawita, al contrario, parla apertamente di fallimento dello Stato nel contenere la violenza settaria. In un comunicato denuncia la persistenza di attacchi contro civili alawiti da quasi un anno, un fenomeno che secondo il Consiglio dimostra l’incapacità delle autorità di mantenere l’ordine e di garantire la sicurezza di tutte le minoranze. Una preoccupazione sostenuta anche dai dati del Centro siriano per i diritti umani Sohr, con sede a Londra. Solo a Homs dall’inizio dell’anno sono stati registrati 381 omicidi per vendetta, di cui 240 con una chiara matrice settaria. Nella provincia meridionale di Suwayda gli scontri tra drusi e beduini hanno provocato a luglio oltre mille morti, con testimonianze di esecuzioni sommarie da parte delle forze affiliate al governo e dei gruppi drusi armati.
Le cifre, sommate a un contesto politico ancora incerto, alimentano un interrogativo più ampio. A circa un anno dalla fine del potere degli Assad, la Siria è davvero sulla strada della democratizzazione oppure si sta modellando su un nuovo autoritarismo, questa volta ispirato dall’ideologia degli ex combattenti jihadisti e qaedisti che occupano posizioni chiave nel paese? L’analista Najb George Awad accusa alcuni settori della società siriana di sostenere senza riserve il nuovo presidente Ahmad Sharaa, ignorando gli aspetti problematici del suo governo. Secondo Awad la paura del ritorno di Assad, alimentata in parte dalle incertezze internazionali, spinge molti a chiudere gli occhi. Tuttavia, avverte l’analista, nessuno tra i partner arabi e occidentali immagina un ritorno dell’ex famiglia al potere. Piuttosto si lavora alla costruzione di un nuovo leader funzionale agli equilibri regionali.
Una previsione forse eccessiva, ma che intercetta un dato di fondo. Sharaa gode di un appoggio crescente tra gli Stati Uniti e le principali potenze occidentali, grazie soprattutto alla rottura con l’Iran e alla disponibilità a negoziare un accordo di pace con Israele, che pure occupa una porzione del territorio siriano. L’inviato americano Tom Barrack lo ha definito un “leader straordinario”. Intanto Arabia Saudita, Qatar, Emirati e istituzioni europee hanno avviato un imponente flusso di investimenti e aiuti che prefigura una ricostruzione dal valore stimato di oltre duecento miliardi di dollari.
Resta però da capire se la Siria saprà trasformare questa fase di rilancio economico in un processo politico inclusivo, capace di garantire tutela e rappresentanza alle molte comunità che la compongono. Le manifestazioni degli ultimi giorni mostrano quanto sia fragile la tenuta interna.















