Una pattuglia congiunta di forze statunitensi e truppe del governo siriano è stata stata raggiunta da spari nella città di Palmira in un attacco attribuito a un miliziano affiliato all’ISIS che ha ucciso due militari e un civile (contractor) statunitensi. Altri tre militari sono rimasti feriti. Questa versione dell’accaduto è stata successivamente confermata da un comunicato del CENTCOM (Comando centrale degli USA in Medio Oriente e Asia Centrale).
Anche il giornale libanese The Cradle ha dato notizia della sparatoria aggiungendo che elicotteri statunitensi sono intervenuti per evacuare i feriti verso la base di Al-Tanf e che sarebbero in corso attacchi aerei statunitensi nei pressi di Palmira, probabilmente contro postazioni dell’ISIS.
La base di Al-Tanf è una base militare statunitense situata nel sud – est della Siria al confine fra Siria – Iraq e Giordania, in un aerea di circa 55 km in cui anche all’esercito siriano è vietato l’ingresso. Si tratta di una delle ultime basi operative americane ancora attive sul territorio siriano e, per la sua posizione strategica, consente il controllo del corridoio terreste fra Iraq, Iran, Siria e Libano.
L’attacco è avvenuto a poco più di un mese dalla pubblicazione di un comunicato stampa del CENTCOM che riportava il successo di numerose azioni militari statunitensi compiute dal 1 ottobre al 6 novembre in territorio siriano contro postazioni dell’ISIS. In quell’occasione, il comandante del CENTCOM Brad Cooper ha dichiarato che “ il successo nel contrastare la minaccia dell’ISIS in Siria è un risultato notevole”.
Invece la presunta sconfitta militare dell’Isis non ha segnato la fine della sua presenza in Siria; nel deserto che si estende tra Palmira e Deir er Zor cellule dormienti dell’organizzazione jihadista continuano ad essere presenti, soprattutto nelle zone di confine e negli spazi lasciati sospesi tra controllo militare e instabilità cronica.
La coalizione guidata dagli Stati Uniti, che non ha mai abbandonato del tutto il territorio siriano. Tuttavia, dopo la caduta di Bashar al-Assad, la sua impronta militare si è ridimensionata, concentrandosi principalmente nel nord-est della Siria, nelle regioni di Hasake e Qamishli; aree sotto il controllo curdo strategiche anche per la presenza di giacimenti petroliferi e infrastrutture energetiche, con installazioni e avamposti di controllo territoriale.
Il nome di Palmira, o Tadmor nella sua declinazione araba, riporta inevitabilmente alla memoria la conquista dell’ISIS nel 2015 e l’uso che lo Stato Islamico fece di questo luogo: palcoscenico propagandistico, base militare nel deserto, teatro di esecuzioni pubbliche. Un utilizzo deliberatamente simbolico, amplificato dal valore storico della città, riconosciuta come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1980.
Tra il 2015 e il 2017 l’ISIS distrusse sistematicamente parte del sito archeologico. Il messaggio lanciato al mondo fu inequivocabile quando le immagini del corpo torturato e decapitato di Khaled Al-Asaad, archeologo di fama mondiale e custode del sito per oltre quarant’anni, raggiunsero le televisioni di tutto il mondo. Fu ucciso per essersi rifiutato di rivelare dove fossero stati nascosti i reperti archeologici messi in salvo prima dell’occupazione. Palmira divenne così non solo un luogo di devastazione ma anche di martirio culturale.
In Siria la fine del conflitto, peraltro mai ufficialmente dichiarata, non ha segnato la fine delle violenze. L’ISIS, ridimensionato ma non sconfitto, continua ad essere uno dei fantasmi più persistenti di un paese che è obbligato a fare i conti con il proprio passato e il proprio presente.

















