E sarà il primo esponente dell’estrema destra a guidare il paese dopo la fine della dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990): il presidente con il maggior numero di voti nella storia. A capo del Partito Repubblicano, di estrema destra, ha ricevuto 7.252.410 suffragi, una cifra spinta anche dall’implementazione del voto obbligatorio. E ha vinto in tutte le regioni.
Jeannette Jara, esponente del Partito comunista (disposta a lasciarlo in caso di vittoria elettorale), è stata candidata dal patto Unità per il Cile, e ha invece ottenuto il peggior risultato della sinistra dal ritorno alla democrazia. Con il suo 41%, è rimasta al di sotto dell’ex senatore Alejandro Guiller, che nel 2017 aveva raggiunto il 45%. I 5.216.289 voti realizzati al ballottaggio non sono stati sufficienti, dato che ha prevalso in soli 32 dei 345 comuni del territorio cileno.
“La democrazia ha parlato forte e chiaro”, ha detto Jara congratulandosi con il vincitore. La sua voce, tuttavia, è stata quella di una classe politica progressista esaurita, incapace di offrire una reale alternativa al modello neoliberale. La schiacciante vittoria di Kast non è un incidente della storia, ma il sintomo di una malattia politica più profonda. La candidatura di Jara, concepita come l’argine contro l’ultradestra, si è rivelata il paradosso del “Frei Montalva inverso”. Come nel 1964, quando la DC di Frei fu finanziata dall’establishment occidentale (CIA inclusa) per scongiurare il “pericolo rosso” di Allende, Jara nel 2025 ha rappresentato il “male minore” per una sinistra timorosa e disarticolata, cooptata dalle dinamiche atlantiste e incapace di un progetto realmente trasformatore che le rivolte popolari hanno chiesto a gran voce.
L’analisi critica non può ignorare la “simmetria oscena” delle campagne elettorali: il terrore anticomunista degli anni Sessanta, con i fantasmi di Stalin e dei carri armati, si è riflesso nell’appello della sinistra attuale a “fermare il fascismo”. Entrambi i discorsi hanno operato sul meccanismo psicologico della paura, portando a un voto negativo e alla sterilità politica. Jara non ha promesso una trasformazione convincente; ha promesso di non essere Kast. Una vittoria che, secondo l’intellettuale Peterson Escobar, avrebbe concesso altri quattro anni di “amministrazione tiepida del disastro, di concessioni permanenti al capitale, di mantenimento delle strutture di dominazione con un volto amabile”. Una vittoria di Pirro che avrebbe solo posticipato il regolamento dei conti con le illusioni progressiste.
La sconfitta, per quanto amara, pone ora la sinistra di fronte alla necessità di recuperare almeno il progetto politico del socialista Allende che, seppur non fosse un Fidel Castro, poneva concretamente al centro la questione sociale e quella anticoloniale, e non la gestione tiepida del neoliberismo.
Il trionfo di Kast, figlio di un progetto transnazionale ben più strutturato di una semplice anomalia locale, è stato immediatamente accolto con giubilo dall’internazionale dell’odio. Il presidente ultra di Argentina, Javier Milei, è stato tra i primi a congratularsi. Ma il segnale più inquietante è venuto da Washington: Marco Rubio, segretario di Stato degli Usa e figura prominente dell’Amministrazione di Donald Trump, ha dichiarato che “gli Stati Uniti si aspettano di collaborare con la sua Amministrazione”. Questo allineamento svela che Kast non è un fenomeno spontaneo, ma la “filiale locale” di una strategia globale, supportata da reti ultraconservatrici come il Forum di Madrid, lo Yunque e la Political Network for Values, finalizzate a una restaurazione reazionaria che smantelli i diritti conquistati dal 1945.
Sul fronte opposto, la timidezza ideologica della sinistra istituzionale cilena ha complicato la sua posizione nel contesto latinoamericano. La posizione assunta rispetto al Venezuela e al governo di Nicolas Maduro è emblematica: il tiepido, ambiguo e tardivo pronunciamento di Jara e di figure storiche come Isabel Allende contro l’aggressione in corso nei Caraibi (ma con tanti distinguo rispetto al governo bolivariano e ai rapporti sud-sud) ha scontentato la sinistra radicale, che ha visto un tradimento della solidarietà continentale, e di certo non ha convinto le destre cilene. Molti rappresentanti dei movimenti cileni sono venuti in Venezuela per partecipare ai vari congressi internazionali che si stanno svolgendo, nonostante il blocco aereo degli Stati uniti: a partire dal medico Pablo Sepúlveda Allende, nipote di Salvador Allende, figura di primo piano nella solidarietà internazionale.
Mentre Kast si allinea esplicitamente con l’egemonia statunitense in declino e il suo progetto restaurazionista, l’alternativa di Jara era rimasta invischiata nell’atlantismo. Analisti come Pablo Sepúlveda Allende o Escobar ritengono che il Cile abbia bisogno di una politica estera che guardi al Sud Globale, integrandosi nei BRICS e recuperando l’UNASUR e la CELAC, per diversificare la sua posizione internazionale. Per questo, avvertono che la presidenza Jara avrebbe continuato a subire le pressioni di Washington e del FMI, rimanendo vassalla di un modello di dipendenza che il thatcherismo del XXI secolo lascia gestire alla centro-sinistra per poi presentarsi come l’unica alternativa al “disastro” gestito.
Il trionfo di Kast pone un interrogativo drammatico e immediato riguardo il conflitto Mapuche nella macrozona Sud. I Mapuche, la cui lotta per l’autodeterminazione e la restituzione delle terre ancestrali è storicamente legata alla resistenza contro lo Stato cileno e l’espansione capitalista, hanno visto nel governo progressivamente chiudersi la possibilità di una tiepida apertura, sebbene insufficiente a disinnescare la violenza strutturale e la militarizzazione.
Il programma di José Antonio Kast, imperniato sulla “mano dura” e sulla difesa della proprietà privata, non prevede mediazioni. Al contrario, si prospetta un inasprimento della militarizzazione dell’Araucanía e una criminalizzazione sistematica della protesta indigena. La sua visione di “ordine” e “sicurezza” è indissolubilmente legata alla logica estrattivista e di sfruttamento delle risorse naturali.
Sotto Kast, la richiesta Mapuche sarà trattata non come una rivendicazione storica di diritti e autodeterminazione, ma come un mero problema di “terrorismo” interno da reprimere. Questo approccio, che ricalca direttamente le politiche della dittatura, promette di aggravare il conflitto, rendendolo uno dei fronti di resistenza più acuti che la sinistra e i movimenti sociali dovranno affrontare a partire dall’11 marzo 2026. L’ascesa di un pinochetista al potere non può che significare una recrudescenza della violenza strutturale contro le nazioni originarie, e una frusta di maggior violenza sulle spalle di chi produce la ricchezza. Pagine Esteri
















