di Max Blumenthal *- Greyzone

(traduzione di Danilo Russo)

Pagine Esteri, 12 aprile 2021 – Nell’ottobre del 2011, il Dipartimento di Polizia della Contea di Alameda ha trasformato parti del campus dell’Università di Berkeley California in un campo di battaglia urbano. Il motivo: “Urban Shield 2011” (una mostra annuale dell’equipe SWAT, organizzata per promuovere la “mutua risposta”, la collaborazione e la competizione fra reparti mobili di polizia, fortemente militarizzati, in rappresentanza di Dipartimenti di Polizia degli Stati Uniti e di altre nazioni).

In quel momento, il Dipartimento di Polizia della contea di Alameda si stava preparando allo scontro imminente con l’emergente movimento ‘Occupy’ che si era installato nel centro di Oakland e che un mese più tardi avrebbe sperimentato il peggio del suo potere repressivo, quando l’accampamento fu attaccato con gas lacrimogeni e pallottole di gomma, con decine di feriti e un veterano della guerra in Iraq ridotto in stato critico. Secondo la rivista “Police Magazine”, una pubblicazione specializzata in affari di polizia, “Gli apparati di sicurezza che hanno affrontato i… manifestanti di ‘Occupy’ nel nord della California riconoscono a Urban Shield l’efficacia del suo lavoro di equipe”.

Insieme ai dipartimenti di polizia USA, oltre alla partecipazione della Yaman (una unità della polizia di frontiera israeliana che dichiara di essere specializzata in “operazioni antiterrorismo”, ma che è più conosciuta per le sue “uccisioni extragiudiziali” di leader e militanti palestinesi e per la lunga tradizione di repressione e abusi lungo la Riva Occidentale della Striscia di Gaza occupata), Human Shield includeva quella di un’unità dell’esercito del Bahrein, che aveva schiacciato una sollevazione popolare in gran parte non violenta aprendo il fuoco sui luoghi di concentramento e arrestando manifestanti feriti quando provavano a rivolgersi agli ospedali. E se la partecipazione di soldati del Bahrein alle simulazioni costituiva un fatto nuovo, la presenza della polizia quasi-militare israeliana – la cui partecipazione a Urban Shield non venne divulgata dai media statunitensi – riflette un tratto inquietante, ma assai comune, del panorama americano della sicurezza, dopo l’11 settembre.

L’israelizzazione degli apparati di sicurezza degli Stati Uniti, messa in campo a suo tempo contro il Movimento ‘Occupy Wall Street’, si è prodotta a tutti i livelli delle forze dell’ordine, e anche in ambiti che ancora non si conoscono. Il fenomeno è stato parzialmente documentato da reportages occasionali, in cui per solito si mettono in risalto le prodezze di Israele in materia di sicurezza nazionale, senza soffermarsi sul carattere problematico del fatto di lavorare con un Paese accusato di gravi abusi sui diritti umani. Tuttavia, non è stata oggetto di un dibattito nazionale. E la collaborazione fra poliziotti USA e israeliani è solo la punta dell’iceberg.

Essendo state affinate in Israele tattiche esemplari, in decenni anni di esperienza di controllo, espropriazione e occupazione di popolazioni e abitati palestinesi, le forze territoriali di polizia (USA, nota) le hanno adattate alla sorveglianza dei residenti islamici e migranti nelle città degli Stati Uniti. Nel frattempo, ex ufficiali israeliani sono stati ingaggiati per dirigere le operazioni di sicurezza negli aeroporti e nei centri commerciali periferici degli Stati Uniti, dando luogo a un’ondata di incidenti preoccupanti nell’utilizzazione di profili razziali, intimidazioni e interrogatori dell’FBI a persone innocenti e incensurate. La rivelazione del Dipartimento di Polizia di New York circa l’impiego di tecniche “antiterrorismo” contro i manifestanti di ‘Occupy’ accampati a Zuccotti Park nel centro di Manhattan ha sollevato serie questioni circa l’estensione di tattiche ispirate a Israele nella repressione del movimento ‘Occupy’ in generale.

Il processo di israelizzazione cominciò immediatamente dopo l’11 settembre, quando il panico nazionale spinse i comandanti degli organismi di polizia federale e municipale a sollecitare consulenza e addestramento ai capi della sicurezza israeliana. La lobby d’Israele in America sfruttò il clima d’isteria, procurando a migliaia di alti ufficiali di polizia viaggi tutto-pagato in Israele, con sessioni di addestramento con militari israeliani e ufficiali dell’intelligence. Fino ad ora, i capi della polizia delle principali città statunitensi non hanno visitato Israele.

“Israele è la Harvard dell’antiterrorismo”, disse l’ex comandante della polizia del Campidoglio, Terrance W. Gainer, attualmente Sergente-in-armi presso il Senato degli Stati Uniti. Cathy Lanier, la comandante della Polizia Metropolitana di Washington DC, sottolineò che “Non c’è stata esperienza nella mia vita che abbia avuto un impatto più grande sul mio lavoro che aver visitato Israele”. “Si potrebbe dire che è la prima linea”, disse di Israele Barnett Jones, capo della polizia di Ann Arbor, Michigan. “Siamo dentro una guerra mondiale”.

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Cambiare il modo di lavorare

L’Istituto di Affari di Sicurezza Nazionle (JINSA) è il cervello della collaborazione fra le forze dell’ordine statunitensi e israeliane. Con uffici a Gerusalemme e Washington DC, JINSA è un think-tank noto per le posizioni politiche decisamente neo-con sulla politica di Israele nei confronti dei palestinesi e sulla politica di accerchiamento dell’Iran. Il consiglio direttivo del Centro può vantare un vero e proprio Who’s Who di ideologi neocon. Due consulenti di JINSA, che sono stati anche consiglieri del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Douglas Feith e Richard Perle, hanno prestato servizio al Dipartimento della Difesa sotto il Presidente George W. Bush, con ruoli influenti nel promuovere l’invasione e l’occupazione dell’Irak. Attraverso il Programma di Educazione delle Forze dell’ordine (di seguito, LEEP), la JINSA dichiara di aver organizzato sessioni di addestramento per più di 9.000 agenti statunitensi a livello federale, statale e locale. “Gli israeliani hanno cambiato il (nostro) modo di lavorare sulla sicurezza del territorio in New Jersey”, ha affermato Richard Fuentes, Sovraintendente della Polizia Statale del New Jersey, dopo un viaggio in Israele sponsorizzato da JINSA, e dopo un successivo convegno JINSA, insieme ad altri 435 agenti di polizia.

Nel 2004 JINSA condusse, con un viaggio LEEP, 14 alti ufficiali americani in Israele per ricevere formazione dalle loro controparti. Gli americani ricevettero una formazione su “come mettere in sicurezza larghi spazi, come in centri commerciali, eventi sportivi, concerti”, come riportò il sito di JINSA. Scortato dal Brigadiere Generale Simon Perry, attaché della polizia israeliana e in precedenza membro del Mossad, il gruppo visitò il muro di separazione, ora tappa obbligatoria per i poliziotti americani nei loro viaggi in Israele. Secondo JINSA, “Gli agenti americani hanno imparato la mentalità di un terrorista suicida e come cogliere segnali di possibili problemi”. Inoltre, sono stati formati sui metodi di uccisione israeliani. “Benché normalmente si raccomandi alla polizia di puntare al petto quando spara, perché è il bersaglio più grande, gli israeliani hanno insegnato ai colleghi americani a mirare alla testa del sospetto, per evitare di far esplodere un qualche esplosivo che quello porti legato al torso”, ha rivelato il New York Times. Cathy Lanier, attualmente Capo della Polizia Metropolitana di Washington DC, è una degli agenti che sono stati in Israele attraverso la JINSA. “Sono stata presso le unità artificieri e il team SWAT (armi e tattiche speciali, nota), e tutte le unità israeliane specializzate, e ho imparato un mucchio di cose”, ha ricordato Lanier. “Mentre ero lì ho preso 82 pagine di appunti, che poi ho riportato e utilizzato per formulare molto di ciò che in seguito è servito a creare e sviluppare l’unità antiterrorismo e di sicurezza interna della Polizia Metropolitana di Washington DC.

Vari dirigenti di polizia che hanno preso parte al programma LEEP di JINSA vi sono riusciti sotto l’egida del Police Executive Research Forum (PERF), un’organizzazione privata non-governativa con stretti contatti con il Dipartimento di Sicurezza Interna. Chuck Wexler, il direttore esecutivo del PERF, si mostrò talmente entusiasta del programma che nel 2005 aveva cominciato a organizzare visite a Israele patrocinate dal PERF, consentendo a vari funzionari di alto grado della polizia USA di essere formati dai loro omologhi israeliani. Il PERF ha acquistato notorietà quando Wexler ha confermato che la sua organizzazione aveva coordinato raid polizieschi in 16 città degli Stati Uniti contro gli accampamenti di ‘Occupy’. Circa 40 città hanno richiesto la consulenza del PERF nella repressione del movimento ‘Occupy’ e di altre azioni di protesta di massa. Wexler non ha risposto alla mia richiesta di un’intervista.

Oltre alla JINSA, la Lega Antidiffamazione (ADL) si è imposta come raccordo importante fra le forze di polizia americane e l’apparato di sicurezza-intelligence israeliano. Sebbene l’ADL presenti se stessa come un gruppo ebraico per i diritti civili, essa ha sollevato polemiche quando ha pubblicato una lista nera delle organizzazioni che difendono i diritti dei palestinesi, e quando ha condannato una proposta di costruire un centro comunitario islamico al centro di New York, a molti isolati da Ground Zero, sulla base del fatto che alcuni oppositori al progetto avevano diritto a “posizioni che altri qualificherebbero come irrazionali o intolleranti”.

Attraverso il “Corso di Abilitazione Avanzata sulle Minacce Estremiste e Terroriste” dell’ADL, più di 700 agenti delle forze dell’ordine, di 220 organismi federali e locali, fra cui l’FBI e la CIA, sono stati formati dalla polizia e da graduati dei servizi di intelligence israeliani. Quest’anno, l’ADL ha portato in Israele 15 ufficiali di alto grado della polizia statunitense per ricevere addestramento da parte degli apparati di sicurezza del Paese. Secondo l’ADL, da che il programma ha avuto inizio, nel 2003, più di 115 dirigenti delle forze dell’ordine federali, statali e federali si sono sottoposti a sessioni di formazione organizzate dall’ADL in Israele. “Onestamente posso dire che quello offerto dall’ADL è senza dubbio il corso di addestramento più utile e aggiornato cui ho partecipato”, ha dichiarato il Commissario aggiunto Thomas Wright del Dipartimento di Polizia di Filadelfia dopo aver seguito un programma dell’ADL quest’anno (2011, ndt). La relazione fra l’ADL e il Dipartimento di Polizia di Washington DC è così oliata che i suoi membri vengono invitati ad accompagnare i poliziotti del DC in missione di pattuglia.

L’ADL rivendica di avere formato più di 45.000 agenti statunitensi attraverso il proprio programma di Law Enforcement and Society (forze dell’ordine e società), che “attinge alla storia dell’Olocausto per fornire ai membri delle forze dell’ordine una conoscenza più approfondita del… proprio ruolo come difensori della Costituzione”, come recita il sito del gruppo. A tutti i nuovi agenti dell’FBI e ai nuovi analisti dell’intelligence è richiesta la partecipazione al Programma dell’ADL, che è parte integrante del Programma di formazione dell’FBI stesso. Nei documenti usati per il reclutamento, l’FBI scrive che “tutti i nuovi agenti speciali devono visitare il Memoriale USA dell’Olocausto, per vedere di prima mano ciò che può accadere quando le forze dell’ordine non proteggono gli individui.

Combattere i “crimiterroristi”

Tra le più eminenti figure del Governo israeliano che hanno influenzato le pratiche dei poliziotti americani c’è Avi Dichter, un ex capo dello Shin Bet e attuale membro della Knesset, dove ha presentato di recente una legge assai criticata per il suo carattere antidemocratico. Durante la Seconda Intifada, Dichter aveva ordinato pesanti bombardamenti su zone palestinesi densamente popolate da civili, fra cui quello sul quartiere di al-Daraj a Gaza, che avevano provocato la morte di 15 persone innocenti, fra cui 8 bambini, e 150 feriti. “Dopo ogni successo, l’unico pensiero era: ‘Bene, chi è il prossimo?’”, disse Dichter degli omicidi “mirati” che aveva ordinato.

Nonostante la sua storia discutibile in materia di diritti umani e la sua visione apparentemente fragile dei valori democratici, o forse proprio a causa di queste, Dichter è stato una figura-chiave nell’orchestrare la cooperazione fra le forze di sicurezza israeliane e le forze dell’ordine USA. Nel 2006, mentre era Ministro di Pubblica Sicurezza in Israele, Dichter tenne un discorso a Boston (Massachussets), alla convenzione annuale dell’Associazione Internazionale dei Capi della Polizia. Seduto affianco al Direttore dell’FBI Robert Mueller e al Ministro della Giustizia, Dichter fece notare ai 10.000 agenti presenti che esisteva “un’intima connessione fra la lotta contro i delinquenti e la lotta contro i terroristi”. Dichter dichiarò che i poliziotti americani stavano allora “combattendo dei crimiterroristi”. Il Jerusalem Post riferì che Dichter “fu accolto da applausi scroscianti, fu abbracciato da Mueller, che lo descrisse come il suo mentore in materia di tattiche antiterrorismo”.

L’anno dopo il discorso di Dichter, lui e l’allora Segretario del Dipartimento di Sicurezza Interna Michael Chertoff firmarono un memorandum congiunto in cui Stati Uniti e Israele si impegnavano a collaborare in materia di sicurezza, su questioni che andavano dalla sicurezza degli aeroporti ai piani di emergenza. Nel 2010, il Segretario della Sicurezza Interna Napolitano autorizzò un nuovo memorandum congiunto col Ministro israeliano dei Trasporti e della Sicurezza Stradale di Israele, Katz, rafforzando la cooperazione fra l’Agenzia della Sicurezza dei Trasporti degli Stati Uniti – incaricata fra l’altro della sicurezza degli aeroporti – e il dipartimento di Sicurezza di Israele. Quel memorandum consolidava inoltre la presenza di personale delle forze dell’ordine statunitensi su suolo israeliano. “Il legame fra Stati Uniti e Israele non è mai stato così forte”, dichiarò Napolitano a Scottsdale (Arizona), in un recente vertice dell’AIPAC, il principale gruppo di pressione della lobby israeliana in America.

L’unità demografica

Per il Dipartimento di Polizia di New York, la collaborazione con gli apparati di sicurezza e di intelligence di Israele ha acquisito alta priorità dopo l’11 settembre. Già pochi mesi dopo l’attacco a New York City, il NYPD inviò a Tel Aviv un ufficiale di collegamento permanente. Sotto la guida del Commissario Ray Kelly, da quel giorno i legami fra il NYPD si sono approfonditi. Kelly ha fatto il suo primo viaggio in Israele all’inizio del 2009, per mostrare il suo sostegno a Israele impegnata allora nell’attacco alla Striscia di Gaza, un attacco unilaterale che fece più di 1400 morti fra i residenti di Gaza in tre settimane e condusse poi a una Commissione d’indagine delle Nazioni Unite, giunta alla conclusione che militari e funzionari del governo israeliani avevano commesso crimini di guerra.

Kelly tornò in Israele l’anno dopo, per prendere la parola durante l’Herziliya Conference, un convegno annuale di esperti neoconservatori di sicurezza e funzionari di governo ossessionati da supposte “minacce demografiche”. Dopo il discorso di Kelly, si rivolse al pubblico della Conferenza il professor Martin Kramer, filo-israeliano, il quale sostenne che il blocco di Gaza da parte di Israele stava aiutando a ridurvi “l’eccesso di giovani in età di combattere”. Kramer aggiunse: “Se uno Stato non riesce a controllare questi giovani, qualcun’altro dovrà farlo”.

Tornato a New York, il NYPD costituì una “Unità Demografica”, segreta, incaricata di spiare e monitorare le comunità musulmane in tutte le zone della città. L’Unità fu potenziata con apporti e l’intenso coinvolgimento della CIA, che tuttavia rifiuta di ammettere di aver collocato l’ex capo della propria “stazione” in Medio Oriente in un ruolo elevato all’interno del reparto di intelligence del NYPD. Dal 2002, il NYPD ha spedito agenti sotto copertura, noti come “rastrellatori” e “rettili da moschea”, nelle librerie e ristoranti pachistani, per soppesare la rabbia della popolazione in seguito agli attacchi americani con droni in territorio pachistano, e nelle moschee e nei bar di narghilè palestinesi, a caccia di indizi di finanziamento e di reclutamento di terroristi. “Se un rastrellatore avesse notizia che un cliente legge letteratura radicale, potrebbe chiedere al titolare, e vedere cosa riesce a saperne” – riporta l’Associated Press – “La libreria, o il cliente stesso, potrebbero dover subire un’ulteriore investigazione”.

L’impronta israeliana sull’Unità Demografica del NYPD è inconfondibile. Come dichiarato all’Associated Press da un ex Ufficiale di Polizia, l’Unità Demografica ha tentato di “mappare l’ambiente umano della città” secondo un programma “modellato in parte su come operano le autorità israeliane nella West Bank.”

Compra finché non ti fermano

All’Aeroporto Internazionale Ben Gurion in Israele il personale di sicurezza ha come prassi d’ufficio quella di concentrarsi sui passeggeri non-ebrei e non-bianchi, soprattutto arabi. I passeggeri più spesso vessati sono i palestinesi residenti in Israele, che devono attendersi sessioni di interrogatorio anche di 5 ore e perquisizioni corporali, prima di volare. Coloro che i funzionari dello Shin Bet selezionano per controlli ulteriori vengono inviati a quella che molti palestinesi d’Israele chiamano la “stanza araba”, dove sono sottoposti a umilianti sessioni di interrogatorio (la ex ministra della Salute e dei Servizi Umani, Donna Shalala, fu vittima di un tale trattamento durante la sua visita in Israele). Ad alcuni palestinesi è impedito di parlare con alcuno prima del decollo, e durante il volo possono essere intimiditi dagli assistenti di volo israeliani. In un caso documentato, un bambino di sei mesi è stato svegliato da agenti dello Shin Bet per una perquisizione corporale. I casi di discriminazione anti-araba al Ben Gurion sono troppo numerosi per citarli tutti – accadono vari incidenti al giorno – ma una piccola selezione dei più rilevanti è stata presentata nel 2007 dall’Associazione per i Diritti Civili in Israele, in una petizione presentata davanti alla Corte Suprema del Paese.

Benché il sistema israeliano di sicurezza aerea comporti dubbi benefici e implicazioni manifestamente deleterie per le libertà civili, esso sta tranquillamente e silenziosamente migrando verso i maggiori aeroporti americani. Il personale di sicurezza dell’Aeroporto Internazionale Logan di Boston ha ricevuto un ampio addestramento da parte di personale israeliano di intelligence imparando ad applicare a cittadini statunitensi le tecniche di profilazione e di analisi dei comportamenti già testate sui palestinesi. Le nuove procedure hanno avuto inizio ad agosto, quando dei cosiddetti Agenti per la Rilevazione comportamentale sono stati dislocati lungo le file per i controlli del transitatissimo Terminal A del Logan. Sebbene le procedure abbiano arrecato stress ai viaggiatori, mentre hanno intercettato zero terroristi, è facile che si estendano ad altre città. “Mi piacerebbe vedere molti più procedimenti di profilazione” negli aeroporti americani, ha detto Yossi Sheffi, nato in Israele, analista del rischio presso il Centro per i Trasporti e la Logistica del Massachussets Institute of Tecnologies (MIT).

Le tecniche israeliane dettano ancora le procedure di sicurezza del Mall of America, un gigantesco centro commerciale che si trova a Bloomington, Minnesota, e che è diventato un’importante attrazione turistica. I nuovi metodi hanno preso piede nel 2005, quando il centro assunse un ex sergente israeliano per dirigere una nuova unità speciale di sicurezza. Costui, che aveva già lavorato con un’unità cinofila all’Aeroporto Ben Gurion in Israele, insegnò agli impiegati del centro commerciale a visualizzare i profili di tutti i consumatori, esaminando le loro espressioni in cerca di segni sospetti. La sua squadra di sicurezza ferma e interroga una media di 1200 consumatori l’anno, secondo il Centro per il Giornalismo d’Inchiesta.

Una delle migliaia di persone cadute nella rete è stato Najam Qureshi, un venditore del centro, il cui padre aveva accidentalmente scordato il cellulare sul tavolo di un ristorante del Centro. Il giorno dopo l’incidente, agenti dell’FBI si sono presentati all’abitazione di Qureshi per domandargli se conoscesse qualcuno intenzionato a recare danno agli Stati Uniti. Un veterano dell’esercito interrogato per due ore per aver girato un video all’interno del centro commerciale singhiozzava apertamente con i giornalisti, per l’esperienza fatta. “Penso che la minaccia del terrorismo negli Stati Uniti stia diventando una parte sgradevole della vita americana”, ha dichiarato l’agente all’American Jewish World. E intanto che la minaccia persiste nella mente del pubblico, i securitocrati israeliani non avranno da temere per la prossima busta paga.

‘Occupy’ incontra l’occupazione

Quando una squadra antisommossa del NYPD ha distrutto e sgombrato l’accampamento di protesta di ‘Occupy Wall Street’ a Zuccotti Park, nel centro di Manhattan, la direzione del Dipartimento ha fatto ricorso a tattiche antiterrorismo che venivano perfezionate dall’11 settembre. Secondo il New York Times, il NYPD ha utilizzato “misure antiterrorismo” per poter mobilitare un grande numero di poliziotti per l’attacco lampo a Zuccotti Park. L’utilizzo di tecniche antiterrorismo per reprimere una protesta civile è avvenuto a integrazione dei duri interventi di polizia esibiti in giro per il Paese contro il movimento nazionale ‘Occupy’: da sparare granate lacrimogene e pallottole di gomma su gente disarmata fino all’uso di cannoni sonici LRAD contro i manifestanti.

Data la quantità di addestramento militare che il NYPD e tanti altri corpi di polizia hanno ricevuto da parte dell’apparato di intelligence militare di Israele, e la gratitudine profusa dai capi della polizia americana ai loro mentori israeliani, è il caso di domandarsi quanto la formazione israeliana abbia influenzato il modo in cui la polizia ha tentato di reprimere il movimento ‘Occupy’, e quanto essa modellerà la repressione poliziesca dei prossimi futuri esempi di protesta di piazza. Ciò che si può dire con certezza è che l’israelizzazione delle forze dell’ordine americane ha intensificato il timore e l’ostilità della polizia nei confronti della popolazione civile, cancellando le distinzioni fra manifestanti, criminali, e terroristi. Come ha detto Dichter, tutti semplicemente “crimiterroristi”.

*Max Blumenthal è un giornalista che ha ricevuto vari premi ed è autore di vari libri, fra cui i più conosciuti “Republican Gomorrah”, “Goliath”, “The Fifty One Day War”, e “The Management of Savagery”. Ha scritto articoli per diverse riviste, ha firmato numerosi reportages in video e vari documentari, fra cui “Killing Gaza”. Blumenthal ha fondato Grayzone nel 2015 per mettere in evidenza, dal punto di vista giornalistico, lo stato di guerra perpetua degli Stati Uniti e le sue pericolose ripercussioni interne.