di Giulia Daniele*
Pagine Esteri, 17 aprile 2021– Sin dalla nascita dello stato ebraico nel 1948 intere comunità vennero poste ai margini della nuova società israeliana. Dai palestinesi cittadini di Israele agli ebrei mizrahi, dai beduini agli ebrei etiopi, fino a giungere al periodo più recente, con i rifugiati africani principalmente provenienti dal Sudan e dall’Eritrea. Caso chiave risultante da un sistema di “settler colonialism” (Veracini 2006, Wolfe 1999), Israele da sempre rappresenta una realtà molto eterogenea, divisa da asimmetrie di potere e privilegi, e caratterizzata da diverse forme di discriminazione, oppressione, marginalizzazione, disuguaglianza, non solo nei confronti della popolazione nativa palestinese ma anche al suo interno. Nonostante si tratti di uno stato storicamente proclamatosi come paladino del processo di integrazione delle differenti ondate di immigrazione ebraica e come promotore di un sistema melting-pot, Israele è sempre stato guidato da una elite minoritaria di ebrei ashkenazi (ebrei originariamente provenienti dall’Europa centrale e orientale) in grado di controllare ogni area della vita quotidiana, dall’economia ai media, dalla politica alla cultura. Il resto della popolazione, seppure rappresentando la maggioranza demografica, è stato relegato ai margini e continua tuttora a trovarsi in una posizione svantaggiata e esclusa dalle principali decisioni prese dal potere centrale.
Tra loro, attori cruciali sono gli ebrei mizrahi – emigrati in Israele dai paesi arabi e musulmani – e anche conosciuti come ebrei orientali o sefarditi[1]. Il modo di definire questa componente significativa della popolazione ebraica israeliana è sempre stato molto controverso. Tuttavia, a partire dalla metà degli anni Novanta, il termine “mizrahi” è diventato il più usato e riconosciuto dall’opinione pubblica israeliana al fine di rivendicare la loro origine araba in contrapposizione con quella europea/occidentale degli ebrei ashkenazi (Shohat 1988). In particolare, attraverso l’utilizzo di questo termine si è voluto evidenziare lo status di marginalizzazione e la privazione di condizioni di vita accettabili vissute da queste comunità di ebrei in Israele.
La prima ondata di immigrazione di ebrei mizrahi si può datare già alla fine del 1880, in parallelo ai primi arrivi di ebrei ashkenazi dall’Europa orientale (Lavie 2014). È l’inizio degli anni Cinquanta che segna un’immigrazione più massiccia degli ebrei mizrahi, i quali venivano dislocati in veri e propri campi per immigrati (Ma’abarot, in ebraico), e in seguito trasferiti in campi di transito o nelle cosiddette “development towns” (Yiftachel 2000). Se è vero infatti che gli ebrei mizrahi sono stati incorporati nelle principali funzioni della società israeliana, è anche vero che hanno sempre vissuto in condizioni svantaggiate e sofferto discriminazioni da diverse prospettive, cosa che ha permesso agli ebrei ashkenazi di mantenere relazioni e strutture di potere gerarchiche. Per tali motivi, quando si vuole definire la posizione degli ebrei mizrahi nel contesto sionista, si parla spesso di una posizione a metà tra l’essere parte integrante del sistema ed esserne invece ai margini, in condizioni sfavorevoli. Ciò ovviamente senza disconoscere lo status dei nativi palestinesi, il loro ruolo, le loro pratiche di resilienza e resistenza nei confronti dei coloni israeliani.
Un altro momento significativo nella storia degli ebrei mizrahi risale alla fine degli anni Sessanta e inizio anni Settanta, quando le seconde generazioni di ebrei mizrahi iniziarono ad avere un ruolo di primo piano nelle proteste politiche e sociali all’interno di Israele. Fu proprio in quegli anni che iniziò ad apparire sulla scena il movimento israeliano delle Pantere Nere. In particolare, nei quartieri periferici delle principali città israeliane, a partire da Gerusalemme, cominciarono a organizzare numerose manifestazioni che riuscirono a far scendere in strada migliaia di persone e a consolidare le lotte per la casa, per il lavoro e per l’educazione, non solo per gli ebrei mizrahi ma per tutte le comunità più marginalizzate, tra cui anche i palestinesi. Definite come la “grande speranza per la sinistra israeliana” (Greenstein 2014), le Pantere Nere, insieme a altri movimenti guidati da ebrei mizrahi nati dal basso negli anni successivi, non sono però riusciti a rafforzare le proprie basi e a riunire le differenti istanze e lotte sotto un’unica voce. Al contrario, la maggioranza degli ebrei mizrahi si è riconosciuta e continua a riconoscersi attualmente nell’estrema destra nazionalista, sia laica che ultra-ortodossa (Chetrit 2010, Lavie 2014). Ciò dimostra come da un lato gli ebrei mizrahi siano stati oppressi e marginalizzati, ma come, dall’altro, si siano alleati con il sistema sionista vigente per farne parte e essere accettati a pieno titolo come cittadini, nello stesso modo degli ebrei ashkenazi.
Tuttavia, la cosiddetta “questione mizrahi” continua ad esistere e, negli ultimi anni, sono state promosse iniziative che hanno suscitato interesse sia locale che internazionale. Tra queste, l’impegno di attivisti ebrei mizrahi, guidati dall’associazione Amram, nel portare alla luce casi di sparizione di migliaia di neonati portati via da famiglie mizrahi, specialmente yemenite, per darli in adozione a famiglie ashkenazi, e l’esperienza della coalizione tra ebrei mizrahi e palestinesi chiamata “Mizrahit Meshutefet”, per dare spazio a una nuova alternativa politica. Sebbene riguardanti una piccola parte delle comunità di ebrei mizrahi, questi esempi sono comunque rilevanti nell’attuale contesto politico e socio-economico israeliano per l’intento di unire differenti lotte e stabilire un legame più forte tra questioni politiche e questioni sociali.
Al fine di comprendere la complessità della colonizzazione politica ed economica della Palestina, è infatti necessario comprendere anche la complessità della stessa società israeliana, delle divisioni e delle diseguaglianze interne, delle relazioni asimmetriche di potere che esistono tra le diverse comunità, così come all’interno della realtà eterogenea degli ebrei mizrahi.
[1] Un’altra componente significativa della società israeliana, che costituisce il 20 per cento della popolazione, è rappresentata dai palestinesi cittadini di Israele, anche definiti cittadini di seconda o addirittura terza classe, in seguito alle continue discriminazioni subite dal governo israeliano e aumentate nel corso degli ultimi anni con la legge dello stato-nazione approvata nel luglio 2018.
Letture consigliate:
Chetrit, Sami S. (2010) Intra-Jewish Conflict in Israel: White Jews, Black Jews. London and New York, Routledge.
Greenstein, Ran (2014) Zionism and Its Discontents: A Century of Radical Dissent in Israel/ Palestine. London, Pluto Press.
Lavie, Smadar (2014) Wrapped in the Flag of Israel: Mizrahi Single Mothers and Bureaucratic Torture. New York and Oxford, Berghahn.
Shohat, Ella (1988) “Sephardim in Israel: Zionism from the standpoint of its Jewish victims”, Social Text, 19/20: 1-35.
Veracini, Lorenzo (2006) Israel and Settler Society. London, Pluto Press.
Wolfe, Patrick (1999) Settler Colonialism and the Transformation of Anthropology. London, Cassell.
Yiftachel, Oren (2000) “Social control, urban planning and ethno-class relations: Mizrahi Jews in Israel’s ‘development towns’”, International Journal of Urban and Regional Research, 24 (2): 418-438.
*Giulia Daniele è attualmente ricercatrice e docente presso l’Instituto Universitário de Lisboa (ISCTE-IUL). Dal 2005 ha condotto numerosi periodi di ricerca sul campo in Medio Oriente e Nord Africa, principalmente nei Territori Occupati Palestinesi, Israele e Tunisia. I suoi principali interessi di ricerca coprono questioni relative alla politica del Medio Oriente (con specializzazione in Palestina e Israele), studi di genere, movimenti sociali, risoluzione dei conflitti, identità etno-nazionali. Il suo primo libro è intitolato “Women, Reconciliation and the Israeli-Palestinian Conflict: The Road Not Yet Taken” (Routledge 2014, 2018). Sulla “questione mizrahi” ha pubblicato i seguenti articoli: “Political and Social Protests From The Margins: The Role of Mizrahi Jews in Israeli Grassroots Activism” (Etnográfica, 2019) e “Mizrahi Jews and the Zionist Settler Colonial Context: Between Inclusion and Struggle” (Settler Colonial Studies, 2020).