Di Lisa Hajjar
(traduzione di Sara Cimmino)
Pagine Esteri, 21 aprile 2021 – In qualità di sociologa del diritto e giornalista, ho passato gli ultimi due decenni a fare ricerche e scrivere sui tipi di battaglie legali che il film “The Mauritanian” ritrae accuratamente. La mia ricerca ha incluso 13 viaggi per osservare i processi della commissione militare nella base della Marina degli Stati Uniti a Guantanamo Bay, Cuba.
Il film vede Tahar Rahim nei panni di un mauritano di nome Mohamedou Ould Slahi che viene catturato e trattenuto nel centro di detenzione di Guantanamo, dove sono stati inviati molti sospettati terroristi. Jodie Foster e Shailene Woodley interpretano Nancy Hollander e Teri Duncan, gli avvocati di Slahi. Benedict Cumberbatch interpreta il tenente colonnello Stuart Couch, incaricato del caso Slahi.
Hollander è, nella vita reale, uno delle centinaia di avvocati che ho intervistato per il mio libro in prossima uscita, “The War in Court: The Inside Story of the Fight against Torture in the War on Terror”, della University of California Press. Questo libro ripercorre il lavoro degli avvocati che hanno lottato contro il governo degli Stati Uniti per il programma di tortura post 11 settembre e come, contro ogni previsione, abbiano vinto alcune battaglie chiave e cambiato il modo in cui gli Stati Uniti hanno condotto la cosiddetta guerra al terrorismo.
Sfidare la detenzione segreta
Nel novembre 2001, dopo l’11 settembre, l’amministrazione del presidente George W. Bush ha emesso un ordine che creava un processo mediante il quale le persone sospettate di legami con il terrorismo sarebbero state detenute, trattenute e potenzialmente processate. Questo non sarebbe il processo consueto, che prevede che vengano processati in un tribunale federale.
A dicembre di quell’anno, la base navale di Guantanamo è stata designata come il sito principale per la detenzione a lungo termine e l’interrogatorio di uomini sospettati di avere legami con il terrorismo. I prigionieri catturati in Afghanistan e altrove hanno iniziato ad arrivare lì°l’11 gennaio 2002. Guantanamo è stata scelta perché era sotto il pieno controllo dell’esercito e relativamente vicina alla terraferma, ma fuori dagli Stati Uniti e quindi fuori dalla portata dei tribunali americani – o almeno così pensava l’amministrazione Bush.
L’idea era che se i detenuti non fossero stati sul suolo statunitense, non avrebbero avuto alcun diritto legale di richiedere l’ordine di habeas corpus di un giudice. Questo principio è una protezione contro la detenzione illegale e una pietra angolare dello Stato di diritto. Consente a un prigioniero di affermare di essere tenuto prigioniero illegalmente e di richiedere al governo di dimostrare a un giudice che c’è motivo di continuare a trattenerlo. Quasi tutto ciò che riguardava i detenuti è stato ritenuto riservato, compresi i loro nomi e il fatto stesso che fossero sotto la custodia degli Stati Uniti.
Nel febbraio 2002, tuttavia, il Center for Constitutional Rights, un’organizzazione legale di sinistra, ha collaborato con due avvocati, Joseph Margulies e Clive Stafford Smith, per presentare una petizione di habeas alla corte federale per conto di diversi detenuti che si sapeva essere a Guantanamo. Quella causa chiedeva al governo degli Stati Uniti di spiegare perché tratteneva quegli uomini.
Nel giugno 2004, la Corte Suprema ha stabilito che i prigionieri di Guantanamo avevano, in effetti, diritti habeas.
Quello stesso mese ha visto la pubblicazione dei memorandum del Dipartimento di Giustizia e delle direttive politiche del Pentagono che denunciavano il fatto che la tortura di sospetti terroristi, compresi i detenuti di Guantanamo, era stata autorizzata dalla Casa Bianca. Insieme, la sentenza e i documenti, che sono diventati noti come “promemoria sulla tortura”, hanno spinto gli avvocati a offrirsi volontari per rappresentare i detenuti di Guantanamo. Il loro lavoro comprendeva la ricerca di informazioni per sfidare le basi del governo per la detenzione dei loro clienti, comprese le prove che erano stati torturati durante la custodia.
Presunto colpevole
Quando la sentenza della Corte Suprema è stata emessa, Slahi era uno dei detenuti più “preziosi” a Guantanamo. Era stato arrestato in Mauritania nel novembre 2001, su richiesta del governo degli Stati Uniti, perché sospettato di aver reclutato Marwan al-Shehhi , uno dei dirottatori dello United Flight 175, il secondo dei due aeroplani a colpire il World Trade Center a New York City l’11 settembre. Nel luglio 2002, la CIA lo ha mandato nella prigione di Bagram in Afghanistan prima di mandarlo a Guantanamo il mese successivo.
Il caso di Slahi è stato uno dei primi a essere perseguito nell’ambito del sistema della commissione militare che consente ai pubblici ministeri di utilizzare prove che non sarebbero mai state consentite nei tribunali statunitensi,°comprese le confessioni coatte e le dicerie. Couch, il pubblico ministero, era personalmente legato al caso di Slahi perché era un caro amico del pilota dell’aereo che al-Shehhi aveva dirottato. Gli fu detto che Slahi aveva confessato tutto ciò di cui era stato accusato. Couch ha insistito per vedere le prove di persona. Non gli sarebbe piaciuto quello che avrebbe trovato.
Conoscere sporchi segreti
Quando l’avvocato Hollander ha incontrato Slahi nel 2005, lei sapeva molto poco di lui o del suo caso e ha avuto solo una breve finestra di opportunità per convincerlo a firmare un documento che la autorizzava a rappresentarlo. Il suo incontro, come i colloqui di altri detenuti con i loro avvocati, si è svolto nelle stesse stanze di Guantanamo dove sono stati interrogati i prigionieri, pieni di dispositivi di monitoraggio.
Slahi, che aveva imparato l’inglese da solo durante la detenzione, ha accettato l’aiuto di Hollander e ha iniziato a scrivere le sue lunghe lettere che spiegavano cosa gli era successo, ma come il pubblico del film scopre, non tutto. Hollander, anche in qualità di avvocato di Slahi, ha dovuto combattere il governo per ottenere i file del suo caso, che un tempo includevano più di 20.000 pagine che erano quasi completamente oscurate per nascondere le informazioni che erano state classificate, inclusi i dettagli della detenzione di Slahi e le circostanze delle sue confessioni.
Torture e bugie
Il culmine del film arriva quando entrambi gli avvocati – perseguendo e difendendo – ottengono i documenti a lungo ricercati. Le pagine rivelano il grande segreto del caso di Slahi: è stato brutalmente torturato su ordine diretto del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. Tutti i detenuti di Guantanamo sono stati sottoposti ad abusi, umiliazioni e molestie come parte dei loro interrogatori. Ma Slahi è stato anche sottoposto a 70 giorni di quelle che il governo ha chiamato “misure speciali” – che includevano una finta esecuzione in cui è stato portato in mare su una barca e minacciato di annegamento.
I suoi rapitori hanno anche costruito un elaborato inganno secondo cui la sua amata madre era stata arrestata e si stava recando a Guantanamo dove sarebbe stata violentata da altri detenuti. Solo dopo quelle esperienze Slahi iniziò a “confessare” ogni accusa mossa contro di lui. Hollander sapeva che il governo non avrebbe voluto rendere pubbliche le prove che le sue presunte confessioni erano state costrette con la tortura e ha spinto ancor più per il rilascio di Slahi.
Parte di questo sforzo includeva la pubblicazione delle lettere di Slahi come un libro,”Guantanamo Diary”, che divenne un best-seller. Couch ha deciso di non perseguire Slahi perché le confessioni non avrebbero superato l’esame legale. Accusato dal procuratore capo di essere un traditore, Couch è stato uno dei numerosi avvocati militari che hanno lasciato le commissioni militari per motivi etici.
La lunga strada verso casa
Nel 2010, la lotta di Hollander ha dato i suoi frutti – o almeno così sembrava – quando un giudice federale ha ordinato il rilascio di Slahi. Ma l’amministrazione Obama ha fatto appello, e sarebbero passati altri sei anni prima che a Slahi fosse permesso di tornare a casa in Mauritania. Ha trascorso un totale di 14 anni sotto la custodia militare degli Stati Uniti senza dover affrontare una sola accusa penale.
Il film ha un lieto fine, con scene della vera casa di Mohamedou Slahi in Mauritania che sorride mentre recensisce le traduzioni del suo libro in molte lingue – e con foto di lui e di una delle guardie, diventate amiche , in visita in Mauritania. Ma non c’è un lieto fine a Guantanamo, che resta aperto.
Dei 779 uomini e ragazzi detenuti lì,rimangono 40 prigionieri, inclusi sei che, come Slahi, sono stati autorizzati al rilascio anni fa. Pagine Esteri
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Jadaliyya.