della redazione
Pagine Esteri, 26 Aprile 2021 – La politica fiscale ed economica attuata dal regime del presidente Abdel Fattah el Sisi, che accelera il trasferimento della ricchezza dalle classi medio-basse alle élite imprenditoriali, sta provocando un rapido impoverimento della popolazione egiziana. L’Agenzia centrale egiziana per le statistiche aveva già riportato nel 2019 un aumento dei tassi di povertà dal 27,8% nel 2015 al 32,5% nel 2018. E la Banca mondiale ha registrato un andamento simile, osservando un incremento da 22,7 milioni di persone che vivevano in povertà nel 2012 a 32,5 milioni nel 2017. In altre parole, 9,8 milioni di egiziani sono precipitati nella miseria nell’arco di cinque anni. Conseguente il calo del 9,7% nel consumo generale di beni e servizi e una spesa inferiore per istruzione, sanità e cultura. Le aree urbane sono state le più colpite, con consumi di generi primari in calo del 13,7% rispetto al 5,1% nelle aree rurali.
La politica svolta dal regime si basa su diversi pilastri. In primo luogo, il governo fa affidamento sui prestiti, al posto della tassazione, per finanziare operazioni e mega progetti infrastrutturali. Le entrate fiscali sono utilizzate in modo sproporzionato per il pagamento di prestiti e interessi. Ciò porta a un trasferimento di ricchezza dalle classi medio-basse ai creditori del regime, sia stranieri che locali. In secondo luogo, il governo continua a tagliare i sussidi e la spesa sociale. Terzo, c’è l’uso continuato di una tassazione regressiva che sposta il carico fiscale sulle spalle delle classi medie e inferiori. Allo stesso tempo, il governo persegue mega progetti infrastrutturali guidati dai militari, fungendo da strumento per l’appropriazione di fondi pubblici piuttosto che per la spesa sociale e programmi di riduzione della povertà.
Il primo aspetto di questa politica è il debito. La dipendenza dai prestiti combinata a un sistema di tassazione regressivo significa che i contribuenti egiziani sono obbligati pagando le tasse a rimborsare questi prestiti più i loro interessi. In sostanza il contribuente medio diviene un veicolo per il trasferimento di ricchezza alle classi abbienti – che possono permettersi di prestare ingenti capitali al governo – e ai creditori internazionali. Questi ultimi includono organizzazioni internazionali come il FMI (Fondo monetario internazionale), la Banca mondiale, gli alleati regionali e il mercato internazionale.
Alla fine del 2019, in Egitto il rapporto tra debito e Pil ha raggiunto il 90%, che, sebbene inferiore al 108% raggiunto nel 2017, rimane elevato per gli standard regionali. Lo stesso rapporto ha raggiunto il 66% in Marocco e il 76% in Tunisia nel 2019. La politica del governo ha reso l’Egitto il più grande destinatario africano di obbligazioni estere con prestiti per 22 miliardi di dollari tramite Eurobond tra il 2017 e il 2019 sul mercato internazionale. Tra il 2011 e il 2019, il regime di Abdel Fattah el Sisi ha ricevuto sostegno finanziario dai suoi alleati regionali per 92 miliardi di dollari e continua a prendere in prestito ingenti somme dalle istituzioni internazionali. Allo stesso tempo i proprietari del debito interno beneficiano direttamente di questo processo. Il regime agisce anche per esentare o concedere aliquote fiscali basse alle imprese, in particolare a quelle controllate dai militari. Così facendo nega uno dei principali vantaggi della tassazione: la ridistribuzione della ricchezza dai più ricchi ai più poveri.
Il secondo pilastro dell’approccio del governo egiziano è la riduzione della spesa sociale e dei sussidi pubblici. Nonostante l’impatto del COVID-19 sulle famiglie egiziane, il 2020 è stato contrassegnato da drastiche riduzioni. Il governo ha introdotto un taglio di venti grammi delle dimensioni del pane sovvenzionato, alimento base per circa 60 milioni di egiziani. E ha annunciato un aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana del Cairo per il secondo anno consecutivo e l’aumento del 19% del costo dell’elettricità. Con la legge 170 è stato introdotto anche un prelievo dell’1% dallo stipendio dei lavoratori dipendenti e dello 0,5% dalle pensioni. Fondi che ufficialmente sono utilizzati per contrastare i danni economici della pandemia ma che nei fatti fanno ricadere il peso della crisi sulle spalle delle classi medio-basse. Senza dimenticare l’aumento dell’inflazione nell’ultimo anno: il 15,1% sui prodotti alimentari di base.
Non ci sono dubbi sul fatto che il sistema fiscale avvantaggi i ricchi. Nel 2017, il 44% del gettito fiscale derivava da imposte sul valore aggiunto e imposte su beni e servizi. Nel 2020 il parlamento egiziano ha approvato una nuova legge che impone un’aliquota fiscale del 25% agli egiziani più ricchi che guadagnano annualmente 400.000 sterline egiziane (circa 25.000 dollari). Si tratta di un tasso relativamente modesto per le fasce di reddito più elevate secondo gli standard regionali e internazionali. Per fare un confronto, l’Egitto ha il settimo tasso più basso in Africa, con i vicini regionali come la Tunisia e il Marocco che hanno rispettivamente il 35% e il 38% per la stessa fascia di reddito. Inoltre, l’aliquota dell’imposta sulle società è del 22,5%, il che rende l’Egitto la quinta aliquota dell’imposta sui redditi delle aziende più bassa in Africa. Ne deriva che l’onere si appoggi in gran parte sulle spalle degli egiziani a basso reddito.
È degna di nota anche la sovvenzione garantita dallo Stato all’espansione delle imprese commerciali militari. L’impero in crescita dei militari è protetto da una miriade di esenzioni fiscali ed è al riparo dai doveri e dai regolamenti esistenti sugli appalti imposti alle imprese civili. Un esempio notevole è l’esenzione del 2016 dall’Iva per le aziende di proprietà militare. L’esercito, ad esempio, gode di sgravi fiscali sui profitti generati dai suoi hotel e sulle vendite di prodotti alimentari di base. Infine, la spesa del regime dà la priorità ai mega progetti infrastrutturali guidati e controllati dai militari, agendo efficacemente come strumento per l’appropriazione di fondi pubblici. L’esercito svolge anche un ruolo di primo piano nella costruzione e manutenzione delle infrastrutture dando lavoro a circa due milioni di civili e a 1.100 aziende ma i progetti realizzati sono poi utilizzati dai militari per penetrare ulteriormente l’economia e appropriarsi di ulteriori fondi pubblici. Questa politica va a scapito del settore privato civile che fatica a competere. Tra il 2014 e il 2019 sono stati completati progetti a guida militare per un valore di 200 miliardi di dollari (il Pil egiziano è stato di 303 miliardi di dollari nel 2019). Pagine Esteri
Questo articolo è stato scritto sulla base di informazioni e dati pubblicati da
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