Davide Matrone – da Quito, Ecuador –
Pagine Esteri – 4 Maggio 2021 – Il 28 aprile del 2021 la Corte Costituzionale dell’Ecuador, dopo una lunga giornata di discussione, ha dato via alla legalizzazione dell’aborto in caso di stupro. Con sette voti a favore e due contrari, si è giunti ad una sentenza storica per il paese che dà nuovo slancio alla lotta del movimento femminista ecuadoregno.
Grazie alla pressione incessante dei movimenti femministi, l’11 marzo scorso il Difensore Civico inviò alla Corte Costituzionale una domanda d’incostituzionalità degli articoli 149 e 150 del Codice Organico Penale. Ora spetterà alla nuova Assemblea Legislativa il compito di discutere e promulgare la legge sull’aborto e questo avverrà non prima di 4 mesi. Il movimento femminista festeggia per il parziale trionfo ma resta ancora molto da fare, visto che l’obiettivo finale rimane la legalizzazione totale dell’aborto. In America Latina solo Argentina, Uruguay, Guyana e Guyana Francese permettono l’aborto in tutti i casi e in un tempo stabilito dalla legge, mentre gran parte degli altri paesi restano su posizioni ancora retrograde e l’Ecuador è tra quelli più in ritardo sul tema.
Ci sono ancora molte resistenze nella società ecuadoregna da parte di alcuni settori conservatori vicini all’Opus Dei e alla Chiesa Cattolica, alle chiese protestanti in crescita negli ultimi 10 anni e presenti su tutto il territorio nazionale e ai movimenti pro-vita che sono agguerriti e determinati.
Per saperne di più, ho intervistato Diana Almeida, una militante femminista dell’Ecuador e coeditrice della Rivista Crisis.
Ripercorriamo brevemente il cammino di questo pronunciamento storico per l’Ecuador.
Prima di giungere a questa sentenza storica ci sono stati alcuni passaggi importanti. Il 18 settembre del 2019 il Parlamento dell’Ecuador, dopo la proposta di modifica del COIP (Codice Organico Penale) avanzata da alcuni parlamentari, bocciò la depenalizzazione dell’aborto in caso di stupro per mancanza del quorum legale. In quell’occasione mancarono solo 5 voti per approvare la legge. Nei tre mesi successivi alla bocciatura del Parlamento, sotto la spinta del movimento femminista, un’osservatrice dell’ONU prima e un’altra dell’Organizzazione Mondiale della Salute poi, avevano redarguito il governo dell’Ecuador sulla mancata legalizzazione dell’aborto in caso di violenza carnale sulla donna. Entrambi i richiami non sortirono alcun effetto, vista l’assoluta passività del governo Moreno. Finalmente, lo scorso 11 marzo il Difensore Civico raccolse nuovamente la domanda d’incostituzionalità dei 2 articoli del COIP e la presentò alla Corte Costituzionale, dichiarando che si oltraggiava il diritto alla vita dignitosa, all’integrità fisica, morale e sessuale della donna, ad una vita libera dalla violenza nell’ambito pubblico e privato, alla proibizione della tortura, al diritto del libero sviluppo della personalità, al diritto di decidere sulla propria sessualità e sulla salute riproduttiva. Sulla base di queste richieste del Difensore Civico e della società civile, la Corte Costituzionale si è pronunciata in nostro favore.
La votazione è stata schiacciante: sette voti a favore e due contrari. Cosa cambia ora?
La sentenza elimina la causale numero due dell’articolo 150 e quindi si permette l’aborto in caso di violenza sessuale anche quando la donna è mentalmente sana. Prima era possibile solo nel caso in cui la donna avesse degli handicap mentali. Inoltre, si elimina la privazione di libertà sia per la donna che abortisce che per il personale medico ospedaliero. Ora il Difensore Civico, insieme ai collettivi femministi, deve redigere una normativa che sarà trasmessa al Parlamento per essere poi discussa e votata. Questo avverrà non prima dei prossimi quattro mesi. La nostra preoccupazione è che il nuovo Parlamento, che s’insedierà il prossimo 24 maggio, possa modifica la normativa e generare ostacoli burocratici al procedimento dell’aborto e addirittura generare una legge ancor più conservatrice di quella esistente. La nostra è una preoccupazione fondata perché qualcosa di analogo è successo in Argentina dopo l’approvazione della legge in Parlamento nel 2020, con l’istituzione di una serie di normative burocratiche che ritardano il procedimento abortivo.
Si tratta di una vittoria parziale perché l’obiettivo è la legalizzazione dell’aborto in qualsiasi caso. È cosi?
Sì, è un trionfo parziale perché in realtà noi chiediamo, da sempre, che l’aborto sia gratuito, legale, sicuro, libero ed accompagnato. Comunque è un obiettivo minimo conquistato molto importante ed era urgente arrivare a questo risultato.
Come vedi questo pronunciamiento nell’attuale fase di congiuntura politica?
Sebbene la sentenza si sia data nel Governo Moreno, sarà la nuova assemblea legislativa a discuterla e approvarla. Sappiamo già che la Sinistra Democratica, nel Parlamento si alleerà con i partiti di destra, CREO (Movimiento Político Creando Oportunidades) del neo-eletto Presidente Guillermo Lasso e il Partito Social Cristiano di Nebot. Ci sono alcuni parlamentari della Sinistra Democratica che appartengono al movimento femminista liberale e lavorano il tema dell’equità di genere e dell’uguaglianza salariale. Tuttavia, manca, nella stessa istituzione, una rappresentanza del femminismo popolare che sostiene le disuguaglianze strutturali e l’accesso all’aborto totale come un problema di lotta di classe. Io penso che quest’atto della Corte Costituzionale generi delle ripercussioni politiche dirette nella prossima Assemblea Legislativa.
Pensi che in Ecuador si otterrà l’aborto legale come in Argentina?
Innanzitutto, bisogna chiarire alcune cose sui femminismi dei due paesi. La differenza tra l’Ecuador e l’Argentina è importante. Il femminismo in Argentina ha un processo organizzativo più antico ed ha anche una forte matrice di carattere popolare. Il femminismo in Ecuador, come in Perù, è cooptato maggiormente dalle Organizzazioni Non Governative e dalle Organizzazioni Internazionali. Inoltre, i movimenti femministi dell’Ecuador sono composti da membri dall’Accademia e non dai settori popolari. La legalizzazione dell’aborto in Argentina è stata raggiunta grazie alla forza propulsiva della componente popolare del movimento femminista. E questo è stato rappresentato chiaramente dalle marce oceaniche nelle piazze di tutto il paese. Qui, in Ecuador non abbiamo questa capacità di movimentare, proprio per la mancanza propulsiva del femminismo popolare. A mio avviso, non ci sono ancora le condizioni perché in Ecuador ci sia la depenalizzazione totale dell’aborto.
Qual è la prossima sfida del movimento femminista dell’Ecuador?
Il nostro prossimo obiettivo è quello di garantire che il pronunciamento della Corte Costituzionale resti tale fino alla promulgazione della legge che avverrà tra quattro mesi, piú o meno. Questa è la sfida più importante di qui in avanti.