di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 20 settembre 2021 – Era il 29 agosto quando un missile lanciato dagli Stati Uniti in Afghanistan uccise 10 persone, tutti civili, tra cui 7 bambini. Le prime dichiarazioni ufficiali da parte del Pentagono parlarono di successo, di un’operazione compiuta come da programma, con l’uccisione di attentatori suicidi che viaggiavano a bordo di un auto e che avevano l’obiettivo di far esplodere nuove bombe all’aeroporto di Kabul. Le testimonianze raccolte sul luogo dell’attacco, invece, le dichiarazioni dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime hanno subito fatto pensare ad uno scambio di persona. Alcuni giornali, tra i quali il New York Times iniziarono un’inchiesta in base alle immagini raccolte, che sembravano mostrare le attività di un uomo il cui legame con l’ISIS pareva del tutto improbabile. Zemari Ahmadi lavorava anzi da lungo tempo con un gruppo di aiuto americano, il Nutrition and Education International, era un ingegnere e in quell’auto trasportava taniche d’acqua. Proprio quelle taniche sono state scambiate dall’intelligence e dai militari statunitensi per contenitori pieni di esplosivo.
Il Pentagono ha parlato poi del coinvolgimento, nell’attacco, di 3 civili, che sono rimasti uccisi per errore (i famosi danni collaterali), scrivendo di una seconda esplosione, dopo la prima causata dal missile, a riprova della presenza di esplosivo.
Ma anche in questo caso è stato ben presto chiarito che i morti civili, in quella zona residenziale densamente abitata non potevano che essere di più. 7 bambini, tra cui una bimba di 3 anni e una di 2. Zemari Ahmadi, da quanto si è appreso, aspettava di essere imbarcato su un volo umanitario per lasciare l’Afghanistan. Nell’auto con lui c’erano altre 2 persone, tra cui il cognato, uccisi anche loro. Nonostante le evidenze, ci sono voluti 19 giorni perché il Pentagono ammettesse l’errore e chiedesse scusa. Ma la famiglia delle vittime domanda che alle scuse segua un po’ di giustizia, che chi ha sbagliato paghi quanto deve.
Ieri il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha annunciato un’inchiesta su quello che il generale Kenneth McKenzie ha chiamato “un tragico errore”. Sarà un ufficiale militare di alto grado a condurre le indagini, con lo scopo di chiarire l’esistenza di possibili errori procedurali per capire cosa “eventualmente debba essere modificato per il futuro e ovviamente per accertare eventuali responsabilità e capire a quali livelli siano riferibili”. Ma è lo stesso Dipartimento della Difesa ad ammettere che all’ufficiale è stato ordinato di “formulare raccomandazioni, piuttosto che intraprendere azioni” e che se dovesse scoprire l’esistenza di alcune responsabilità non dovrebbe far altro che segnalarlo nel suo rapporto.
Intanto, però, queste morti non hanno rallentato né messo in discussione la strategia USA delle uccisioni mirate né quella delle altre potenze che seguono sicure i passi degli Stati Uniti.
Così, solo 5 giorni fa Emmanuel Macron annunciava l’uccisione di un leader dell’ISIS nel Sahel, anche se i primi bombardamenti con droni da parte dei francesi in quella fascia di terra africana risalgono al 2019. Stesso copione: grande successo, i morti francesi sono stati vendicati.
Secondo l’Osservatorio Siriano per i diritti umani, ieri la coalizione internazionale a guida USA ha effettuato un attacco con i droni che avrebbe colpito e ucciso 3 persone tra cui un militante di Al Qaeda e 2 jihadisti. L’automobile sulla quale viaggiavano è stata colpita e distrutta da un missile lanciato da un drone. L’unica dichiarazione ufficiale parla al momento solo di un’operazione antiterrorismo vicino Idlib, nel nord-ovest della Siria e che dalle “prime indicazioni” pare abbiano colpito il bersaglio a cui stavano mirando, probabilmente senza vittime civili.