di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 3 novembre 2021 – Etiopia. I combattenti del Tigray conquistano terre e città. Il premier Abiy Ahmed dichiara lo Stato di Emergenza e chiama il popolo alle armi, oggi le Nazioni Unite hanno reso pubblico il report sulle atrocità, gli abusi e i crimini di guerra commessi dalle varie parti coinvolte nel conflitto.
Dessie e Kombolcha sono due città strategiche nella regione Amara, la loro conquista, comunicata dai portavoce del Fronte di liberazione del Tigray (TPLF) avvicina i combattenti alla capitale Addis Abeba, che dista comunque ancora circa 400 chilometri. L’allargamento del fronte era, in realtà, prevedibile per la situazione di isolamento in cui si trovava la regione del Tigray, con gravissime conseguenze sulle condizioni di vita della popolazione. L’Unicef e le Nazioni Unite avevano già a giugno parlato della situazione disperata in cui viveva la popolazione, con ¼ dei bambini della regione tigrina che soffriva di malnutrizione. “Dobbiamo fare in modo che l’assedio del Tigray venga rotto”, ha comunicato il TPLF, “dobbiamo assicurarci che i nostri figli non muoiano di fame, di avere accesso al cibo. Se marciare su Addis è quello che serve per rompere l’assedio allora è quello che faremo”. E la conquista delle due città, anche se in parte negata dal governo etiope (afferma che il combattimento non sia ancora terminato), è strategicamente importante proprio perché intacca la rotta commerciale vitale per l’economia nazionale. Controllare quel corridoio significa limitare gli scambi e far quindi forte pressione sul governo. Ma non solo. Gli aiuti umanitari per la popolazione tigrina, che affronta una grave carestia, devono passare per forza di cose per le rotte controllate da Addis Abeba. Sono state numerose le denunce riguardanti il blocco degli aiuti da parte del governo che non ha dato segnale di voler collaborare con le organizzazioni umanitarie internazionali. Anzi. Ma la conquista delle due città della regione Amara potrebbe garantire la nascita di un nuovo corridoio che bypassi le rotte controllate dal governo e che riesca quindi ad assicurare l’arrivo dei soccorsi umanitari.
“Lo Stato di Emergenza è stato dichiarato per proteggere i civili dalle atrocità commesse in diverse parti del paese dal gruppo terroristico TPLF”, si legge sui media di stato e le autorità di Addis Abeba, tramite l’Ufficio per l’Amministrazione della Pace e della Sicurezza della città, hanno lanciato un appello ai propri residenti, perché si organizzino in blocchi, in coordinamento con le forze di polizia, per “proteggere la pace e la sicurezza” in previsione dell’arrivo dei combattenti del Tigray. “I giovani della città di Addis Abeba saranno reclutati e tutti i settori della società dovranno cooperare”. Il ministro della giustizia ha dichiarato che il Paese “sta affrontando un grave pericolo per la sua esistenza, sovranità e unità. E non possiamo scongiurare questo pericolo utilizzando le procedure consuete che prevede la legge”. Ha annunciato, inoltre, che chiunque non rispetterà le indicazioni date con l’applicazione dello Stato di Emergenza subirà dai 3 ai 10 anni di carcere per aver fornito sostegno a gruppi terroristici.
E oggi, qualche ora dopo la proclamazione dello Stato di Emergenza, l’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite, in collaborazione con la Commissione etiope per i diritti umani, ha pubblicato un report sulle atrocità commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto. Nonostante l’accesso alla zona del Tigray sia estremamente difficile e limitato, anche per i giornalisti e per i volontari delli organizzazione umanitarie, l’indagine delle Nazioni Unite parla di crimini contro l’umanità e crimini di guerra, accusando tutte le parti di aver torturato e ucciso civili, di aver commesso stupri di gruppo. Ancora, sono stati operati arresti su base etnica. Il report copre il periodo che va da novembre 2020 a giugno 2021 e tiene quindi in considerazione il comportamento delle forze armate del Tigray, dell’esercito etiope e dei suoi alleati, ossia le truppe provenienti dalla regione Amara e i soldati eritrei. Questi ultimi, nonostante il premier Ahmed ne avesse inizialmente negato la presenza, hanno avuto un ruolo di primo piano, soprattutto nei primi mesi del conflitto, quando già le Organizzazioni Internazionali, tra cui Amnesty International ne denunciavano i crimini. Oggi il report delle Nazioni Unite definisce le forze eritree le “principali responsabili delle violazioni dei diritti umani”. L’inchiesta contiene dettagli approfonditi sugli stupri e le mutilazioni commessi proprio dalle truppe eritree.
Pur annunciando la formazione di una commissione di inchiesta per indagare sugli eventuali crimini di guerra, il presidente Ahmed ha manifestato “serie riserve” sul rapporto delle Nazioni Unite che, ha detto, in ogni caso non accusa il governo di genocidio né di utilizzare il cibo come un’arma di guerra. Se da un lato sminuisce le accuse poste al suo governo, dall’altro, prevedibilmente, sottolinea con forza le colpe di cui si sarebbero macchiati i combattenti del Tigray, presentando ufficialmente l’inchiesta quasi come fosse conferma e legittimazione per le azioni governative.
Il conflitto ha causato la morte di migliaia di persone, circa 2 milioni e mezzo di sfollati e un’enorme crisi umanitaria.