di Caterina Maggi*
Pagine Esteri, febbraio 2022– Se prima il piccolo paese era scosso dalle divisioni nell’ “accozzaglia”, sembra essersi ora ricostruito intorno alla leadership uscente. Le urne lusitane infatti riconsegnano lo scettro al premier uscente del Partito socialista Antonio Costa, che con tutte le schede scrutinate ha portato a casa il 41,68% delle preferenze, un buon margine per costruire la maggioranza.
Resta però da vedere come si comporteranno gli ex alleati, che sembravano decisi fino all’ultimo a non resuscitare la gerigonça, l’ “Accozzaglia” appunto di partiti di sinistra (Comunisti e Bloco da Esquerda uniti ai socialisti) che ha guidato il governo di minoranza di Costa fino allo scorso ottobre, quando la bocciatura dell’orçamento (la legge di Bilancio) ha provocato una crisi di governo. Sono state elezioni strane, quelle di domenica. Infatti la pandemia ha portato a un problema non preventivabile, cioè la presenza di elettori positivi; un intoppo a cui si è cercato di ovviare dedicando una determinata fascia oraria (dalle 18 alle 19) di oggi al voto degli aventi diritto in quarantena. La difficoltà incontrata dal sistema elettorale portoghese nel gestire una sfida elettorale in periodo di Covid è dovuta anche a interventi che si sarebbero dovuti anticipare, come ha lamentato nel suo discorso pre elettorale il presidente della Repubblica Marcelo Rebeiro de Sousa: manca infatti un disegno di legge sull’emergenza sanitaria e una modifica alla legge elettorale per permettere il voto in orari più flessibili e giorni diversi dai festivi. Modifiche mancate che secondo de Sousa: «Hanno chiuso la porta a situazioni eccezionali» come appunto l’emergenza sanitaria.
Il vero problema però non è la deriva centrista del Partito Socialista, ma l’emergere di una forza politica inquietante.
A queste elezioni si è registrato l’exploit di un accanito partitino populista alleato di Salvini e Meloni. Chega (cioè “Basta!”) è uno dei tanti partiti europei della corrente populista, la cui ricetta è trita e ritrita: xenofobia, una buona dose di machismo, slogan forti contro “nemici della patria” e difesa di presunti “valori nazionali”. Ines Pereira, 28 anni, una traduttrice di testi scientifici, riassume la loro filosofia: «Sostanzialmente non fanno che dire che metà del Paese lavora per mantenere l’altra metà, che passa il tempo nei caffè grazie ai sussidi statali. Come facciano questi a essere falsi poveri – aggiunge – quando hanno a malapena di che mettere nel piatto, vorrei saperlo. E comunque è esilarante vedere una persona che ha basato la propria campagna elettorale sulla lotta alla corruzione difendere i propri amici corrotti».
Eppure, nonostante scivoloni abbastanza notevoli soprattutto sul tema della corruzione (con il leader del partito André Ventura in difficoltà di fronte alla posizione di Chega su conti off-shore e visti gold) il partito di estrema destra che correndo insieme a monarchici e cattolici era arrivato a un magro 1,3% nel 2019, oggi ha fatto un balzo in avanti toccando quota 7,14%. E questo è un dato preoccupante, soprattutto per i democratici d’Europa e soprattutto in vista di altri appuntamenti elettorali (la Francia e le sue presidenziali in primis) che potrebbero spostare a destra l’asse europeo. Un risultato del genere potrebbe riaccendere le speranze di partiti e leader che su xenofobia e populismo hanno fondato il proprio corpo politico, come Orbàn in Ungheria – anche lui tra l’altro in attesa delle urne. Per non parlare dell’Eliseo, i prossimi in termini di tempo per quanto riguarda il capitolo elettorale, con una campagna elettorale dominata da cinquanta sfumature di destra. Inoltre, si tratta di uno dei primi voti scaturiti da un tema piuttosto caldo: l’indirizzo dei fondi europei per la ripresa dell’Unione dopo la batosta economica causata dalla crisi pandemica. «Il motto di Ventura è ‘Dio, patria, famiglia e lavoro’, cioè lo stesso di Salazar con l’aggiunta del tema della disoccupazione» rincara Rafael. La sua compagna Beatrice, una modenese emigrata a Coimbra, parla però anche di una certa ‘stanchezza’ dell’elettorato. La stessa che vede, con maggiore disillusione, anche in Italia: «A volte io mi dico che sarebbe bello tornare, ma soprattutto dopo le ultime cose che ho visto in Italia mi rendo conto di aver fatto la scelta giusta. Per quanto non ci sia troppa differenza. Forse loro (i portoghesi) sono meno disillusi di noi».
C’è anche chi vede addirittura una minaccia nell’ascesa in solitaria di Costa alla maggioranza. Ad esempio Bruno Sacramento, commerciale ed elettore di Iniciativa Liberal (centro-destra liberale), non vede di buon occhio la maggioranza assoluta socialista. «Penso che il risultato delle elezioni sia stato pessimo per il Paese. Una maggioranza assoluta non è un bene per nessuna democrazia. Storicamente, tutte le maggioranze assolute che abbiamo avuto sono finite in bancarotte. Il partito al potere farà passare, o boccerà, quello che vuole, e questo non è positivo in un sistema in cui dovrebbero convivere diverse visioni e opinioni» e non ha troppa fiducia nell’elettorato della sinistra, «persone che dicono che il capitalismo è il grande male del mondo, ma poi hanno un Iphone» e aggiunge sprezzante: «Mio padre diceva che i giovani sono di sinistra finché non tocca loro pagare le tasse – anche se ammette – i principi della sinistra sono più umani e solidi di quelli della destra. Ma la verità è che questo si è tramutato in un enorme vuoto e per me la sinistra, quella vera, non esiste più». La colpa però, in conclusione, non è dei giovani: «La colpa del clima di queste elezioni, è dei vecchi. Vecchi per età e giovani vecchi. Persone che hanno paura del cambiamento, di scommettere su qualcosa di nuovo, di scontrarsi e di lottare. Persone dallo spirito vecchio». Meno negativa è Vanessa, traduttrice di Porto, anche se non risparmia critiche all’immobilismo del sistema politico lusitano: «Vorrei che il governo facesse del Portogallo un paese dove i cittadini vogliono vivere. I miei genitori – racconta – sono emigrati in Francia quando avevo 12 anni a causa dello stato di questo Paese. Sono tornata ora, a 28, e trovo che poche cose siano cambiate». Anche lei spera che Costa tenga fede alla sua promessa di rispettare il pluralismo:« Mi auguro che tenga fede a ciò che ha detto quando ha dichiarato di non voler governare da solo».
C’è almeno un dato in miglioramento, che soprattutto rivela la buona salute della società civile portoghese nonostante tutto: l’affluenza in crescita rispetto alle ultime urne del 2019, con una percentuale di astenuti del 43% contro il quasi 50% delle ultime elezioni. «Quando ho compiuto io 18 anni – spiega Ines – non sono andata a votare. Non era un tema su cui noi giovani ci confrontavamo e di politica si parlava molto poco. Oggi ho in casa l’esempio di mio fratello, che invece comunicava su Whatsapp e si scambiava opinioni sulle elezioni coi suoi amici».
Il Portogallo con la sua filosofia di ponderata lentezza, a volte lungimirante ma spesso anche frustrante, ha dato una prova di fiducia importante a Costa e alla sua strategia, ma anche un segnale forte: non sottovalutare la sofferenza di un paese che ce la sta mettendo veramente tutta per uscire da questa pandemia tutto intero. La sfida di Antonio Costa e del suo futuro esecutivo ora è dimostrare ai portoghesi che si è meritato questa fiducia. E che saprà dare nuova speranza a un paese che, pur premiando in parte la politica di Chega, ancora non si è arreso.
In copertina il premier riconfermato Antonio Costa (FraLiss)
*Laureata in Lettere all’Università di Genova e diplomanda alla Scuola di Giornalismo di Bologna, giornalista praticante presso l’Istituto Affari Internazionali, si appassionata fin da giovanissima alla questione palestinese e al Medio oriente. Scrive per il sito online Affarinternazionali.