di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 8 febbraio 2022 – Mentre la Nato è da mesi impegnata in un’escalation con la Russia, accusata di preparare un’imminente invasione dell’Ucraina che lo stesso governo di Kiev ha più volte smentito, la Turchia cerca di ritagliarsi un difficile ruolo di mediazione tra i contendenti.
Uno spericolato esercizio di equilibrismo, quello di Recep Tayyip Erdoğan, in un momento di forte tensione che potrebbe scardinare la complessa tela di relazioni intessuta negli ultimi anni da un membro sempre più recalcitrante dell’Alleanza Atlantica.
Ankara tenta in queste settimane di conservare una tendenziale neutralità che gli consenta di perseguire i suoi obiettivi geopolitici di potenza regionale, accreditandosi come paciere tra Mosca e Kiev. Un conflitto potrebbe infatti danneggiare pesantemente gli interessi economici e militari turchi nell’area.
Un piede in due staffe
Alle prese con una crisi economica senza precedenti e con una svalutazione galoppante della Lira, Ankara teme ad esempio che un conflitto affossi le entrate generate dall’industria turistica (già pesantemente colpita dalla pandemia) che rappresenta circa il 13% del PIL turco e che nel 2021 è stata trainata da 5 milioni di visitatori russi e da 2 milioni di ucraini.
Erdoğan intende assolutamente evitare, inoltre, che una vittoria russa su Kiev estenda il controllo di Mosca sui territori che si affacciano sul Mar Nero – sulla quale Ankara esercita il ruolo storico di guardiano, controllando il Bosforo e i Dardanelli – ridimensionando l’influenza turca. L’annessione della Crimea alla Federazione nel 2014 ha già rappresentato un duro colpo per la Turchia, che fino ad allora schierava nello strategico bacino la flotta più importante – 44 navi – prima che la Russia decidesse di portare le proprie da 26 a 49 tra vascelli e sottomarini.
Anche un ridimensionamento, territoriale ed economico, dello stato ucraino, con il quale la Turchia intrattiene ottime relazioni militari e commerciali, è considerato con apprensione dal ‘sultano’. D’altra parte, Ankara non vuole neanche mettere a rischio il complesso equilibrio, basato al tempo stesso sulla collaborazione e la competizione, creato negli ultimi anni con Mosca.
Nonostante i due paesi abbiano spesso obiettivi contrapposti, sono spesso riusciti a comporre accordi che soddisfano entrambi, ad esempio dopo il conflitto tra Azerbaigian e Armenia o nello scenario siriano, o più recentemente nella crisi esplosa in Kazakistan. La Turchia ha finora tratto un notevole profitto dalla sua capacità di tenere il piede in due staffe e di giocare contemporaneamente su più tavoli, ma è proprio per questo che teme un conflitto tra Russia e Ucraina.
Il fragile compromesso con Mosca
Ankara dipende in maniera consistente dalle forniture di gas russo, aumentate nel 2021 del 63%: il Bluestream e il Turkstream (realizzato bypassando l’Ucraina) trasportano infatti in Turchia il 40% del fabbisogno totale del paese.
La competizione in Siria o in Libia o nel Caucaso non ha finora intaccato il flusso energetico, ma uno scontro militare diretto forzerebbe la Turchia a schierarsi con Kiev esponendola a pesanti rappresaglie russe, a partire dalla chiusura dei rubinetti del gas. Difficilmente Azerbaigian e Iran – secondo e terzo fornitore con il 21 e il 17% – potrebbero evitare il collasso energetico dell’ex tigre anatolica. Senza contare che la prima e unica centrale nucleare turca, il cui completamento ad Akkuyu è previsto solo nel 2023 (e che dovrebbe generare il 9% del fabbisogno di elettricità del paese), la sta costruendo l’impresa statale russa Rosatom, alla quale Ankara ha chiesto di realizzarne altre due.
Finora il rapporto tra Russia e Turchia, per quanto tormentato, è stato vicendevolmente conveniente. Mosca ha fornito negli ultimi anni una fondamentale sponda alle crescenti prese di distanza di Ankara rispetto alle strategie di Washington.
Nonostante le rimostranze e le minacce statunitensi, nel 2019 Ankara ha acquistato da Mosca alcune batterie del sistema antimissile russo S-400; Washington ha reagito sospendendo la programmata vendita alla Turchia di alcuni caccia F-35 e varando delle sanzioni contro l’industria bellica di Erdoğan. In sostituzione dei caccia della Lockheed-Martin la Russia potrebbe vendere alla Turchia i suoi nuovi Checkmate. Inoltre i russi hanno offerto ai turchi la loro assistenza per realizzare il caccia TF-X progettato dagli ingegneri di Ankara e per mettere in piedi il programma spaziale annunciato in pompa magna dal ‘sultano’ un anno fa.
Turchia e Ucraina sempre più vicine
Non sfugge ovviamente a Mosca l’alleanza sempre più stretta tra Ankara e Kiev, incentivata da retaggi storici e ideologici, che però la Russia ha fin qui tollerato in cambio del crescente distanziamento di Erdoğan da Washington.
Però l’avvicinamento sempre maggiore tra Turchia e Ucraina sta generando apprensione in Russia. Il 3 febbraio, in piena crisi, il primo ministro ucraino Denis Shmyhal e il ministro del Commercio turco Mehmet Mus hanno firmato un accordo commerciale per la realizzazione di un’area di libero scambio tra i due paesi, con l’obiettivo di stimolare il commercio bilaterale, il cui volume è salito nel 2021 a 7 miliardi di dollari. Ankara, inoltre, non ha mai riconosciuto l’annessione russa della Crimea ed anzi si erge a paladina della minoranza tartara, turcofona e musulmana.
Si potrebbe citare, poi, il riconoscimento, da parte turca, dello scisma della chiesa ortodossa ucraina dal patriarcato di Mosca (2018), il quale sta ora valutando l’opportunità di istituire un esarcato in Turchia, dopo l’analogo passo operato in Africa. Anche la richiesta avanzata da Kiev nel 2020 di essere ammessa come membro osservatore al Türk Keneşi, il “Consiglio Turco”, non è passata inosservata al Cremlino.
Ma è soprattutto sul piano militare che la cooperazione tra Kiev ed Ankara procede spedita, con la seconda che sostiene l’adesione dell’Ucraina – e della Georgia – all’Alleanza Atlantica, incontrando l’opposizione di Mosca.
La Turchia sostiene su vari fronti le forze armate ucraine; dopo la firma di un accordo di cooperazione militare nel 2016, Ankara ha venduto a Kiev 12 esemplari del drone armato Bayraktar TB2, prodotto dalla Baykar Technologies, il cui ingegnere capo, Selçuk Bayraktar, ha sposato la figlia minore di Erdoğan, Sümeyye.
L’esercito ucraino ha già utilizzato questi droni per bombardare le postazioni dei miliziani delle repubbliche indipendentiste del Donbass e lo scorso anno ne ha ordinati altri 48. Questi però saranno in parte prodotti in uno stabilimento ucraino, realizzato vicino alla base militare di Vasylkiv, dalla jointventure “Black Sea Shield” formata dalla Baykar e dall’impresa statale di Kiev Ukrspecexport; i motori dei droni sono intanto già prodotti dalla Ukrainian Motor Sich. La Turchia è in trattativa per acquisire il 50% della Motor Sich, azienda leader a livello mondiale nella produzione di motori per aerei, elicotteri, missili e droni; la mossa permetterebbe a Erdoğan di rimediare ai danni prodotti dall’embargo statunitense proprio su queste fondamentali componenti per l’industria bellica nazionale.
La “Black Sea Shield” ha già in programma anche la produzione di aerei da trasporto e di un certo numero di corvette, da realizzare nei cantieri navali di Mykolaiv e da schierare nel Mar Nero, dove Ankara ha scoperto un consistente giacimento di gas.
Sul filo del rasoio
«Abbiamo ottimi rapporti con entrambi, bisogna assolutamente agire per evitare una guerra tra Russia e Ucraina» ha detto il presidente turco appena rientrato da Kiev, dove ha incontrato il suo omologo Volodymyr Zelenskiy. «Vogliamo far sedere allo stesso tavolo Putin e Zelenskiy per un vertice di alto livello. Purtroppo i tentativi di mediazione dell’Occidente non hanno portato a nessun risultato. La tensione aumenta e siamo pronti a essere il valore aggiunto per far calare questa tensione» si è vantato Erdoğan, il quale ci ha tenuto a precisare che le relazioni con Mosca sono «eccellenti» pur ribadendo il sostegno turco all’integrità territoriale dell’Ucraina.
Ma il “sultano” cammina sul filo del rasoio. Come già detto, non può sbilanciarsi ancora di più a favore dell’Ucraina senza incorrere nelle ritorsioni russe. Mosca potrebbe pesantemente contrastare il ruolo turco nei vari quadranti dove i due paesi convivono. In Siria potrebbe dare il via libera ad un’offensiva dell’esercito siriano contro l’enclave jihadista di Idlib e i territori occupati dalle truppe di Ankara, che potrebbe scatenare l’esodo di centinaia di migliaia di profughi verso la frontiera turca. Anche nel Caucaso, un massiccio sostegno russo alle forze armene potrebbe annullare il vantaggio prodotto dal sostegno turco alle truppe azere.
D’altra parte, Ankara non può neanche pensare di schierarsi completamente dalla parte della Russia senza provocare la rottura con la Nato e serie ripercussioni nei rapporti con l’Unione Europea, che allo stato è il principale partner commerciale della Turchia.
A Erdoğan, quindi, non rimane che sperare che un abbassamento della tensione nell’area continui a permettergli di barcamenarsi in uno spregiudicato gioco di alleanze con i due contendenti. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive tra le altre cose di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.
FONTI E LINK DI APPROFONDIMENTO
https://www.nytimes.com/2022/02/03/world/europe/ukraine-turkey-russia-drones.html
https://www.theguardian.com/world/2022/feb/03/turkish-president-erdogan-mediate-ukraine-russia
https://www.france24.com/en/live-news/20220202-erdogan-seeks-payoff-from-russia-us-clash-on-ukraine
https://www.bbc.com/afrique/region-60287521