di redazione
Pagine Esteri, 7 febbraio 2023 – Continua inesorabilmente a crescere il bilancio dei morti e dei feriti provocati dall’ondata sismica che ieri notte e poi durante la giornata di ieri ha colpito una vasta zona al confine tra la Turchia e la Siria.
Mentre scriviamo le autorità sanitarie dei due paesi parlano complessivamente di più di 5700 vittime (circa 3700 in Turchia e quasi 2000 in Siria) e di decine di migliaia di feriti.
L’area investita dalle fortissime scosse – due delle quali vicine all’ottavo grado della scala Richter – è abitata, affermano fonti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, da più di 23 milioni di persone.
Secondo l’Afad, l’Autorità per la Gestione delle Emergenze di Ankara, nelle dieci province del paese interessate dallo sciame sismico sarebbero crollati almeno 6200 edifici. Solo nella città di Kahramanmaras – vicinissima all’epicentro della prima forte scossa di domenica notte – sarebbero ben 941 gli edifici sbriciolati. Migliaia di persone sono ancora intrappolate sotto le macerie e spesso chi prova a tirarli fuori deve farlo scavando a mani nude o con attrezzi di fortuna.
Per quanto riguarda la Siria, invece, manca ancora un bilancio preciso dei danni comunque ingentissimi nelle regioni del centro-nord.
A rendere più lenti e difficili i soccorsi e ad accanirsi su una popolazione ferita e stremata le condizioni meteo proibitive (neve e pioggia), ma anche la difficoltà per i convogli dei soccorritori di raggiungere le zone più disastrate. Le linee ferroviarie e molte strade e autostrade infatti non sono percorribili a causa dei danni provocati dai terremoti. Anche numerosi aeroporti – Gaziantep, Hatay, Adana e Kahramanmaras – hanno dovuto bloccare i voli perché le piste sono inagibili. Anche il flusso degli aiuti predisposti dalle Nazioni Unite è per ora interrotto: «Alcune strade sono interrotte, altre sono inaccessibili. Ci sono problemi logistici che devono essere risolti”, ha detto all’agenzia Reuters Madevi Sun-Suona, portavoce dell’Ufficio dell’Onu per il coordinamento dell’assistenza umanitaria (Ocha). «Non abbiamo un quadro chiaro di quando riprenderà”, ha detto».
Intanto ieri sera un grande incendio è divampato nel porto di Iskenderun (Alessandretta), località costiera del sud est della Turchia.
Le autorità locali hanno segnalato tagli alle forniture di gas ed elettricità in alcune aree e la compagnia petrolifera statale ha tagliato le forniture di petrolio alla regione come “misura precauzionale”.
Oggi il presidente turco Erdogan ha dichiarato lo stato d’emergenza per i prossimi tre mesi in tutte e dieci le province devastate dal terremoto. Una misura che non tutte le opposizioni hanno commentato favorevolmente, temendo che il provvedimento serva a mettere l’ennesimo bavaglio al dissenso.
Ieri Erdogan aveva rivolto un appello all’unità nazionale per far fronte alle conseguenze del sisma. Il 14 maggio sono previste le elezioni parlamentari e quelle presidenziali in un contesto di forte polarizzazione politica.
Ma dalla maggior parte delle aree sconvolte dai terremoti si levano le proteste della popolazione e delle autorità locali per i ritardi nei soccorsi e la disorganizzazione della macchina degli aiuti.
Ad Adana questa mattina, informa la corrispondente di Repubblica Gabriella Colarusso, il Ministro dell’Agricoltura appena arrivato sul posto è stato contestato dalla popolazione al grido di «Perché non siete arrivati prima?». La giornalista ha segnalato che la maggior parte degli edifici crollati sono stati costruiti dopo gli anni ’80 e si trovano nella zona nuova della città, mentre la città vecchia ha retto molto meglio.
Anche ad Hatay (Antiochia), testimonia la corrispondente del Guardian, si sono levate proteste contro i ritardi nei soccorsi. Di fatto i convogli dei soccorritori sono giunti in città, tra le più colpite dal sisma, solo questa mattina. «Le persone stanno cercando di estrarre i propri cari intrappolati sotto le macerie. Fa freddo, piove, manca l’elettricità» scrive la giornalista.
Secondo il sindaco di Hatay, Lütfü Savaş, le scosse nella sua città avrebbero distrutto quasi duemila edifici, compresi tre ospedali. «Con il sostegno dei sindaci di Ankara, Istanbul e Smirne, ora possiamo fornire cibo, tende e acqua potabile. La maggior parte degli edifici pubblici, il nostro edificio, i vigili del fuoco, l’edificio della protezione civile locale, tre ospedali sono stati gravemente danneggiati, le nostre perdite sono molto elevate. L’aeroporto è inagibile» ha detto Savaş al servizio in lingua turca della Bbc. In sindaco ha fortemente criticato la gestione dell’emergenza da parte delle autorità: «È stato un terremoto molto forte, ma avremmo potuto sopravvivere con meno danni».
Alle proteste l’apparato statale turco sta già reagendo con la repressione. La polizia turca ha dichiarato stamattina di aver arrestato quattro persone per i post «provocatori che miravano a creare paura e panico» pubblicati sui social media.
Nelle regioni del centro-nord della Siria – alcune controllate dal governo centrale, altre dalle Forze Democratiche Siriane ed altre ancora da milizie jihadiste e dalle truppe di occupazione turche – la situazione è forse ancora più difficile perché il terremoto ha sconvolto territori che negli ultimi 12 anni hanno patito le conseguenze e le distruzioni causate dai combattimenti e dai bombardamenti delle diverse parti in conflitto. Ad entrambi i lati della frontiera sopravvivono da anni milioni di rifugiati siriani in un contesto di povertà, abbandono, mancanza quasi assoluta di servizi.
Sebastien Gay, capo missione in Siria per Medici Senza Frontiere, ha riferito all’agenzia AP che le strutture sanitarie nel nord della Siria sono state letteralmente sopraffatte dall’enorme numero di vittime.
L’agenzia ufficiale siriana SANA ha denunciato i gravi danni riportati dalla cittadella di Aleppo, risalente al XIII secolo e patrimonio mondiale dell’UNESCO, già dichiarata in pericolo anni fa a causa del conflitto armato che ha insanguinato il paese per 11 anni. È crollata parte della torre del minareto della moschea di Ayyubid e alcuni tratti delle mura difensive nel nord est della cittadella.
Il rappresentante permanente della Siria presso le Nazioni Unite, Bassam Sabbagh, ha chiesto agli Stati membri e ai partner internazionali di «rendersi solidali per sostenere gli sforzi del governo siriano per far fronte al disastro umanitario, soprattutto per quanto riguarda la ricerca dei sopravvissuti e il salvataggio di coloro che intrappolato sotto le macerie».
Sono intanto arrivati a Damasco i primi aiuti, provenienti dalla Russia e dall’Iraq.
La Siria è però ancora investita dalle conseguenze delle dure sanzioni imposte ormai da anni dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e da altri paesi. Se le sanzioni non saranno eliminate o quantomeno sospese, a farne le spese sarà la popolazione civile.
«Questa è una catastrofe che aggraverà le sofferenze dei siriani, che stanno già affrontando una grave crisi umanitaria. Milioni di siriani sono stati costretti a fuggire dalla guerra e ora molti altri dovranno trasferirsi a causa del disastro naturale» ha affermato in un comunicato l’ONG Norwegian Refugee Council (NRC). «Nel bel mezzo di una tempesta invernale e di una carestia senza precedenti, è fondamentale che i siriani non siano lasciati indietro nell’affrontare le conseguenze del terremoto». – Pagine Esteri
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