di Marco Siragusa –

Pagine Esteri, 28 febbraio 2023 –  “Tutti vogliono andare in guerra e tutti si stanno preparando per la guerra”. Queste le parole pronunciate dal presidente serbo Aleksandar Vučić durante la sua visita ad Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti) per la sedicesima convention sulle armi, l’International Defence Exhibition and Conference (IDEX2023), una delle più importanti al mondo, che si è tenuta dal 20 al 24 febbraio 2023. Le parole di Vučić non erano però dettate dalla preoccupazione di un’escalation militare e il coinvolgimento diretto di altri paesi nel conflitto ucraino o, ancora peggio, per l’apertura di un nuovo fronte di guerra. No, le sue parole nascondevano una certa soddisfazione legata alle possibilità economiche derivanti dal commercio di armi.

La Serbia, infatti, negli ultimi anni ha notevolmente aumentato le spese per l’ammodernamento del proprio esercito. Se nel 2018 la spesa militare aveva pesato per circa 800 milioni di dollari nel bilancio complessivo dello stato, nel 2022 questa cifra era salita a 1,2 miliardi di dollari. Durante la sua visita a IDEX2023, il presidente serbo ha dichiarato esplicitamente di voler continuare a rafforzare l’industria militare investendo ulteriori 750 milioni di dollari nel 2023, che si aggiungono al miliardo e mezzo già stanziato per quest’anno. L’obiettivo dichiarato è di portare la spesa complessiva al 3% del PIL dall’attuale 2%. Un impegno economicamente non indifferente per un paese piccolo come la Serbia.

Tutto questo mentre il paese si appresta a raggiungere un accordo sulla normalizzazione dei rapporti con il Kosovo, dopo le tensioni dei mesi passati nel nord del paese a maggioranza serba.

 

Dai droni emiratini ai caccia francesi

Il presidente Vučić è ormai ospite gradito negli Emirati. Da anni intrattiene infatti un proficuo e sempre più profondo rapporto con lo sceicco Muhammad bin Zayed al-Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti e tra le persone più influenti e potenti al mondo. Dal 2012, anno della prima vittoria elettorale di Vučić, i due si sono incontrati ufficialmente ben 20 volte, cui si aggiungono gli innumerevoli incontri tra diplomatici delle delegazioni dei due paesi.

Gli Emirati sono economicamente presenti in Serbia già da qualche anno. Tra gli investimenti più consistenti, circa 4 miliardi di euro, rientra il famoso Belgrade Waterfront, un quartiere di lusso costruito sulle rive del fiume Sava nella capitale serba dalla società emiratina Eagle Hills. Recentemente, alla fine del 2022, i due paesi hanno sottoscritto ben dieci accordi nei settori della giustizia, della cultura, della sicurezza informatica, della lotta alla tratta di esseri umani e della cooperazione diplomatica. L’accordo più importante riguardava però il sostegno finanziario degli Emirati sottoforma di un prestito di 1 miliardo di euro a un tasso di interesse favorevole del tre percento. Con l’ultima visita del presidente serbo ad Abu Dhabi, la cooperazione tra i due paesi si è allargata anche al settore militare. Vučić ha infatti annunciato l’acquisto di munizioni e droni kamikaze prodotti nel paese arabo.

Questo non sarà però l’unico investimento serbo per l’ammodernamento delle proprie forze armate. Negli scorsi mesi il presidente ha avviato una trattativa con la Francia per l’acquisto di 12 caccia Rafale per un valore complessivo di circa 3 miliardi di euro. Il doppio del budget previsto per tutto il 2023. A differenza della Croazia, che modernizzerà la sua aeronautica con caccia francesi di seconda mano, i Rafale acquistati dalla Serbia dovrebbero essere completamente nuovi. Uno scarto qualitativo che, stando alle parole di Vučić, serve solo come forma di deterrenza verso possibili attacchi esterni. Serbia e Francia avevano recentemente concluso un accordo per l’acquisto da parte delle Serbia dei missili Mistral, un sistema di difesa aerea portatile a infrarossi.

 

Meno Russia, più Cina

Che la politica estera di Vučić, al comando della Serbia ininterrottamente dal 2012 prima come premier e poi come presidente della Repubblica, si basi sul concetto di multilateralismo non è certo una novità. La prospettiva europea, costantemente ribadita in questi anni nonostante lo stallo del processo di adesione all’Unione, viene accompagnata da relazioni sempre più strette con i competitor europei come Russia, Cina e Turchia.

Per decenni la Serbia ha potuto contare su un canale privilegiato con la Russia, anche in campo militare. Gran parte dell’esercito serbo è composto da mezzi di origine sovietica e russa. Tra i mezzi a disposizione, può contare infatti su diversi caccia ed elicotteri russi. La guerra in Ucraina ha provocato una netta chiusura verso la Russia da parte dell’Unione Europea. Tra i requisiti per l’adesione, l’UE chiede ai paesi candidati di adeguarsi alla politica estera comunitaria e applicare le sanzioni al governo di Mosca. Belgrado però, è uno dei pochi paesi europei a non aver ancora adottato misure restrittive nei confronti della Russia, anche se, circa un mese fa, il ministro degli Esteri Ivica Dačić ha sorprendentemente comunicato che il suo paese è pronto ad applicare le sanzioni contro Mosca. Un cambio di strategia non indifferente che si lega a doppio filo con gli investimenti in campo militare degli ultimi dodici mesi. La decisione di acquistare i caccia francesi è dovuta soprattutto alla difficoltà di acquistare, a causa delle sanzioni, i materiali necessari all’ammodernamento e al mantenimento dei caccia russi acquistati in passato.

Non è un caso quindi che, anche in campo militare, Vučić stia cercando di “fare affari con tutti”. Oltre a Francia ed Emirati, l’attenzione si è recentemente spostata anche verso la Cina con cui il paese intrattiene già fortissimi legami economici. Nell’aprile 2022, Belgrado ha ricevuto da Pechino un sistema missilistico terra-aria di difesa aerea FK-3. La consegna seguiva quella di due anni prima dei droni CH-92. L’importanza di questi scambi non riguarda solo il piano militare, con il trasferimento di tecnologie e know-how, ma anche quello geopolitico. Con la consegna dei droni infatti, la Serbia è stato il primo e unico paese europeo a utilizzare tecnologie militari cinesi.

Come se non bastasse, nel settembre 2022, Vučić ha annunciato che la Serbia diventerà presto un cliente turco per l’acquisto dei famigerati droni Bayraktar, diventati famosi per il loro utilizzo nel conflitto in Ucraina. Il presidente serbo, in occasione dell’incontro con il turco Erdogan, si era detto pronto a stanziare “diverse centinaia di milioni di euro” per acquistare i droni.

 

E la NATO?

Che Serbia e NATO non abbiano avuto in passato rapporti pacifici è dimostrato dai bombardamenti dell’Alleanza Euro-Atlantica contra la Serbia di Milošević nel 1999. Una missione considerata da più parti illegittima, sia da un punto di vista politico che di diritto internazionale. Dal 2007 Belgrado persegue la neutralità militare, cosa che gli ha permesso nell’ultimo anno di condannare l’invasione russa alle Nazioni Unite senza applicare le sanzioni europee contro Mosca. Eppure, tra NATO e Serbia si è andata strutturando negli ultimi anni una costante collaborazione. Il primo importante passo si è avuto già nel 2006, quando il paese ha aderito al Partenariato per la pace e al Consiglio di partenariato euro-atlantico (EAPC). Una cooperazione che si è ulteriormente approfondita a partire dal 2015, quando la Serbia ha concordato il suo primo piano d’azione di partenariato individuale biennale.

I dati sulle esercitazioni militari compiute da Belgrado contribuiscono a una parziale decostruzione dell’idea di una Serbia inequivocabilmente filo-russa. Nel 2021, infatti, il paese ha partecipato a quattro esercitazioni congiunte con la Russia e a ben quattordici esercitazioni con membri della NATO.  Tra questi, ben otto esercitazioni hanno coinvolto anche gli Stati Uniti. La situazione non cambia di molto se si considerano le donazioni di natura militare fate da paesi terzi. Anche in questo caso, nel biennio 2019-2020, al primo posto si trovano gli Stati Uniti con 13 milioni di euro stanziati, seguiti dalla Cina con 755 mila euro e dalla Corea del Sud (167 mila euro).

Su un piano prettamente militare, l’invasione russa dell’Ucraina ha avuto come conseguenza quella di un allentamento della cooperazione militare tra Serbia e Russia in favore di nuovi accordi con altri partner strategici. Il fatto che questi partner facciano parte del blocco Occidentale (Francia e Stati Uniti), del mondo arabo (Emirati) o siano grandi potenze globali (Turchia e Cina) dimostra la capacità del presidente serbo di differenziare le relazioni e di mantenere buoni rapporti con tutti gli attori dello scacchiere internazionale. Una strategia che potrebbe però subire modifiche consistenti qualora la Serbia dovesse aderire pienamente alla politica estera europea. Cosa che provocherebbe probabilmente una riduzione della cooperazione con la Cina e altri “rivali” europei.