Comunicato di Amnesty International

Pagine Esteri, 17 maggio 2023 – Hakamada Iwao, giapponese ormai quasi novantenne, ha trascorso 45 anni nel braccio della morte, perlopiù in isolamento. Amnesty International segue la sua vicenda da decenni, perché Hakamada non solo è stato il prigioniero che ha trascorso più tempo al mondo in un braccio della morte, ma anche perché la sua è la condanna di un innocente.

Nel 1968 Hakamada è stato giudicato colpevole dell’omicidio del suo datore di lavoro, della moglie e dei loro due figli. Per i decenni successivi, ha lottato per dimostrare che la sua confessione di colpevolezza era stata estorta dopo interminabili interrogatori gestiti con costanti pestaggi e intimidazioni. Dopo alterne vicende giudiziarie, uscito dal braccio della morte nel 2014, finalmente nelle ultime settimane l’Alta Corte di Tokio ha ammesso che ha diritto a un nuovo processo.

Proprio quando la Dichiarazione universale dei diritti umani compie 75 anni, la notizia della revisione del processo di Hakamada apre alla speranza di un lieto fine per questa storia lunga quasi mezzo secolo. Un lieto fine che è frutto anche dell’impegno incessante di Amnesty International contro la pena di morte e altre violazioni dei diritti umani. Per sostenere ogni giorno questo impegno, fondamentale è stato il supporto di chi negli anni ha donato all’Organizzazione il suo 5×1000. “Per molti anni, attraverso il 5×1000 in favore di Amnesty International Italia, abbiamo finanziato iniziative, mobilitazioni, appelli ed eventi in favore di Hakamada Iwao. Anche grazie alle tante persone che hanno deciso di sostenerci in questo modo, finalmente ce l’abbiamo fatta” dichiara Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.

Scrivere ancora tante altre storie a lieto fine: questo l’impegno dell’Organizzazione, che ha di recente pubblicato il Rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo. Dall’analisi di Amnesty International, emerge come il numero delle esecuzioni registrate nel 2022 sia il più alto da cinque anni. L’organizzazione per i diritti umani ha registrato 883 esecuzioni in 20 stati, con un aumento del 53% rispetto al 2021. Il notevole incremento, che non tiene conto delle migliaia di condanne a morte presumibilmente eseguite in Cina, i cui dati rimangono un segreto di stato, dipende dagli stati dell’area Medio Oriente – Africa del Nord, il cui totale è salito da 520 nel 2021 a 825 nel 2022. Nell’ultimo anno, sono cinque gli stati in cui sono state riprese le esecuzioni: Afghanistan, Kuwait, Myanmar, Palestina e Singapore.

“Non si può mai accettare – spiega Noury – che lo stato uccida per mostrare che non si deve uccidere. Ma quando a rischiare l’esecuzione è un innocente o addirittura viene messo a morte un innocente, è ancora più inaccettabile. Hakamada Iwao per ora è salvo. La vita di tante persone, condannate alla pena capitale per reati che non hanno commesso, è ancora in pericolo: come quella dello scienziato Ahmadreza Djajali, che da sette anni rischia l’impiccagione per ciò che non ha mai fatto: la spia. Per questo, il 5×1000 in favore di Amnesty International Italia può salvare vite umane”.