di Michelangelo Cocco*
Questo articolo è apparso in origine sulla newsletter Rassegna Cina
Pagine Esteri, 5 giugno 2023 – Secondo le autorità cinesi, le politiche “anti cinesi” hanno avuto un profondo impatto sull’industria turistica nazionale, riducendo bruscamente il numero di visitatori dall’estero. A sostenerlo è stato Xiao Qianhui, presidente della China smart tourism association, nel corso di un seminario organizzato a Wuxi dall’Associazione del turismo cinese. E, in effetti, qualsiasi laowai (straniero) residente nelle metropoli tradizionalmente preferite dai visitatori stranieri – come Pechino e Shanghai -, ha notato che, a tre mesi dalla completa riapertura del paese dopo le chiusure anti-Covid, i turisti stranieri sono, al momento, una rarità.
La cosa interessante è che Xiao ha avanzato l’ipotesi che a tenere i laowai lontani dal paese non sia solo l’onda lunga della pandemia. «Il turismo in entrata sta affrontando enormi difficoltà in questo momento e di solito pensiamo che ciò sia dovuto alla pandemia – ha dichiarato Xiao -. È vero, poiché il Covid-19 ha premuto il pulsante di arresto in modo scioccante. Ma il problema non è causato unicamente dalla pandemia». Secondo il funzionario, «le politiche anti-cinesi adottate dai paesi occidentali e guidate dagli Stati Uniti hanno avuto un impatto profondo e di lungo termine sull’intero settore dei viaggi inbound». Secondo i dati ufficiali, il turismo in arrivo da Europa, Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud è crollato, mentre è aumentato quello da paesi amici come la Russia e Myanmar.
Nello stesso tempo – secondo Xiao – far ripartire il turismo internazionale può aiutare a contenere «la crescente maggioranza anti-cinese nelle opinioni pubbliche occidentali».
Seppur in mancanza di un quadro fatto di dati ufficiali, è evidente che le tensioni geopolitiche si stanno ripercuotendo sul complesso delle relazioni (economia-ricerca-turismo) tra popoli.
Durante una sessione di studio dell’Ufficio politico del Pcc di lunedì 29 maggio, Xi Jinping ha toccato anch’egli, da un altro punto di vista, l’argomento, assieme agli altri componenti l’organismo apicale del partito e con gli esperti che vengono invitati a partecipare a queste riunioni. Il presidente cinese e segretario generale del Pcc ha sostenuto che la Cina deve rafforzare il sistema dell’istruzione, con l’obiettivo principale di raggiungere l’autosufficienza tecnologica, e attirare un maggior numero di studenti stranieri in Cina.
Nello stesso tempo Xi ha chiarito che l’educazione degli studenti cinesi sarà sempre più guidata dal partito comunista cinese (Pcc), per il quale il controllo sul sistema dell’istruzione – in questa fase di trasformazione economica e politica del paese – serve sia a promuovere l’innovazione sia a rafforzare il governo del Pcc.
Nel 2018 la Cina ha ospitato 500 mila studenti stranieri, pochi per un paese che aspira a sfidare l’egemonia culturale e poitica statunitense. Ma la pandemia ha ridotto drasticamente anche gli studenti stranieri (soprattutto gli occidentali). Eppure – secondo Xi – è necessario fare della Cina uno hub globale dell’istruzione che sia estremamente attraente. «È necessario che noi partecipiamo attivamente alla governance globale dell’istruzione – ha sostenuto il numero uno del Pcc -, dobbiamo inoltre promuovere con decisione il brand “studiare in Cina”, raccontare storie positive sulla Cina, diffonderne l’esperienza e far sentire la nostra voce, per rafforzare l’influenza internazionale dell’educazione del nostro paese».
La gestione della pandemia e le tensioni geopolitiche – come ha riconosciuto il funzionario Xiao – stanno rafforzando la maggioranza an ti-cinese nelle opinioni pubbliche occidentali, ma la seconda economia del pianeta, un paese che aspira a diventare “ricco e forte”, si trova apparentemente sprovvisto di strumenti per fronteggiare questa diffidenza montante, che in alcuni settori si tramuta in ostilità. Si tratta di una difficoltà insormontabile, in quanto attiene alla natura stessa del sistema politico cinese, che prevede la comunicazione esterna come semplice proiezione internazionale della propaganda interna. In sostanza, che si tratti di promuovere il turismo, gli scambi di studenti, oppure di difendere le ragioni della Cina nel contesto diplomatico, il governo cinese impiega lo stesso tipo di comunicazione che utilizza con la sua popolazione, un discorso ufficiale “indiscutibile”, in quanto tale indigeribile per opinioni pubbliche sempre più complesse e sfaccettate come quelle delle democrazie liberali. Pagine Esteri
*Giornalista professionista, China analyst, scrivo per il quotidiano Domani. Ho pubblicato “Xi, Xi, Xi – Il XX Congresso del Partito comunista e la Cina nel mondo post-pandemia (Carocci, 2022), e “Una Cina perfetta – La Nuova era del Pcc tra ideologia e controllo sociale (Carocci, 2020). Habitué della Repubblica popolare dal 2007, ho vissuto a Pechino nel 2011-2012, corrispondente per il quotidiano il manifesto nello scoppiettante e nebbioso crepuscolo della tecnocrazia di Hu Jintao & Co. Sono rientrato in Cina nel gennaio 2018, anno I della Nuova era di Xi Jinping, quella in cui il Partito-Stato regalerà a tutti “una vita migliore” e costruirà “un grande paese socialista moderno”. Racconto storie, raccolgo dati e cito fatti evitando di proiettare le mie ansie e le mie (in)certezze su un popolo straordinario che se ne farebbe un baffo.