di Tiziano Ferri*
Pagine Esteri, 14 giugno 2023 – Le difficoltà per attuare il programma progressista del presidente Gabriel Boric erano previste, dati i numeri al congresso di Santiago. Nella patria del liberismo latinoamericano, il primo “governo ecologista” del Cile doveva necessariamente scendere a patti col vecchio sistema; non solo ben rappresentato in parlamento, ma addirittura egemone in economia, potere mediatico, apparato militare. L’unico punto a favore di Boric era il percorso partecipato, frutto delle rivendicazioni sociali espresse dal 2019 in poi, che stava redigendo una nuova costituzione. L’approvazione di questo testo avrebbe sostituito lo Stato liberista ereditato dalla dittatura con uno “Stato sociale e democratico di diritto”. Il suo rigetto nel referendum del settembre scorso (62% di contrari) ha privato Boric del sostegno popolare, aprendo la strada alla controffensiva delle forze reazionarie.
In quanto presidente e capo del potere esecutivo, l’ex leader studentesco avrebbe potuto limitarsi a favorire l’autonomia del processo costituente, anziché parteggiare per l’approvazione della costituzione popolare. Così facendo, ha coalizzato nel rifiuto tutti i suoi oppositori (politici e mediatici), finendo per essere associato alla sconfitta di tutto il percorso. Le elezioni del 7 maggio per il nuovo Consiglio costituente, infatti, hanno decretato una maggioranza di destra, riconoscendo un ruolo di primo piano allo sconfitto delle presidenziali, José Antonio Kast, incarnazione della tradizione pinochettista. Questa consultazione, largamente boicottata dall’elettorato (al 16,5% di astensione – in un’elezione con voto obbligatorio – va sommato un inedito 21,5% di schede nulle e bianche), ha pure permesso alla destra autoritaria di marginalizzare la destra liberale. Con gli attuali rapporti di forza, il nuovo testo costituzionale non includerà le innovazioni contenute nella “costituzione popolare” respinta, quali diritto all’aborto, formazione basata sui diritti umani per chi integra polizia e forze armate, stato plurinazionale, diritti dei popoli originari su territori e risorse.
Al di là del tema costituente, è proprio nell’azione di governo che Boric sembra aver subito l’egemonia culturale della destra, non riuscendo a imporre la “sicurezza sociale” sulla “sicurezza pubblica”. Sebbene abbia ottenuto alcuni provvedimenti cari al suo elettorato di riferimento (indulto per i manifestanti incarcerati negli anni scorsi, settimana lavorativa di 40 ore, innalzamento del salario minimo di circa 100 euro), la sua politica economica mira a rassicurare mercati e ceto medio, mentre sul piano della sicurezza accetta e rilancia il discorso sull’ordine pubblico con affermazioni come “abbiamo bisogno di più carabinieri nelle strade”. Allo stesso modo, ha imposto lo stato d’eccezione nei territori mapuche, parlando di vittime di “violenza e terrorismo”. Sulla sentita questione dei migranti, il presidente cileno sottolinea la diminuzione degli ingressi illegali nel paese e l’aumento dei provvedimenti di espulsione, ringraziando il patriottismo delle forze armate. E annuncia una nuova politica sulle migrazioni “per dare dignità a chi lo merita”, mentre non ha ancora messo mano alla promessa riforma dei carabineros, ed è stata approvata una legge che garantisce loro una legittima difesa privilegiata.
Col recente discorso annuale di fronte al Congresso, Boric abbandona la prospettiva di fare del Cile “la tomba del neoliberismo”, come annunciato il giorno in cui fu eletto. Al contrario, rivendica una gestione economica responsabile che ha portato a un avanzo di bilancio per la prima volta in 10 anni, all’aumento degli investimenti esteri, e all’apprezzamento sul dollaro. L’aspirazione del governo è di fare del Cile il primo produttore mondiale di litio; quanto all’annuncio relativo alla sua nazionalizzazione, di difficile approvazione al Congresso, riguarderebbe comunque le concessioni di licenze di sfruttamento future, garantendo i profitti delle attuali imprese, nazionali e straniere. Il paese andino, inoltre, ha aderito al partenariato Trans Pacifico (TTP), un’alleanza commerciale contro le tariffe doganali che include diversi stati che si affacciano sull’oceano, tra cui Giappone, Australia, Canada e Messico; accordo osteggiato da Boric nella passata esperienza da parlamentare. Per finire, ancora non si intravede un sistema pensionistico alternativo al contestato sistema dei fondi pensione privati (AFP); al contrario, il governo si è opposto alla restituzione dei prelievi forzati, richiesta dai lavoratori.
Questo approccio ha fatto perdere a Boric molto dell’appoggio popolare a sinistra, senza peraltro convincere l’elettorato moderato, che ha preferito rafforzare, sia per le ricette economiche che per le politiche sulla sicurezza, l’estrema destra del Partido republicano di Kast. Dall’altro lato, la classe dirigente progressista, occupando i posti di governo, ha lasciato sguarnita la canalizzazione della protesta, in cui si è inserita la destra reazionaria. Pagine Esteri
*Collaboratore per L’antifascista (ANPPIA). Social media manager. Tesi: “Il Plan Colombia e la politica strategica statunitense nella regione amazzonica”. Reportage: “Dentro e fuori la redazione: i 50 anni del quotidiano comunista”. Video inchiesta: “Pfas, dall’acqua al sangue”.